Quale può essere il punto di partenza per affrontare la grande questione del rapporto tra intellettuali e politica posta da Giorgio Caravale nel suo agile “Senza Intellettuali – politica e cultura in Italia negli ultimi 30 anni”(Laterza 2023)?
Analizzate le ragioni del discredito che ha investito le figure del politico e dell’intellettuale negli ultimi trent’anni nel testo in questione si pone in rilievo la dissoluzione di quel nesso tra politica e cultura, cruciale nella storia d’Italia.
Occorre fare chiarezza: Il recupero di un’identità passa da una ripresa del rapporto tra cultura e politica, dalla ricostituzione di un nucleo intellettuale che riprenda l’idea di una politica considerata anche come oggetto di studio e sede di riflessione sulle grandi prospettive epocali, sulla storia, sull’approfondimento del pensiero.
Dalla “filosofia della prassi” gramsciana va recuperata in pieno l’idea di fondo del ruolo dell’intellettuale: “Elemento vitale è l’unità di teoria e pratica. Questo, però, non è un problema filosofico ma, una “quistione” che deve “essere impostata storicamente, e cioè come un aspetto della quistione politica degli intellettuali”.
Gramsci si pone così il problema di elaborare una teoria generale della funzione e del ruolo degli intellettuali , il cui concetto principale è quello di “intellettuale organico”. Esso sta a indicare che gli intellettuali, contrariamente a come generalmente si autorappresentano, non costituiscono “un gruppo sociale autonomo e indipendente”, ma “ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico” . Le funzioni degli intellettuali sono eminentemente “organizzative e connettive”, e dipendono dal ruolo che essi hanno in rapporto al mondo della produzione, all’organizzazione della società e dello Stato.
Partendo dall’attualità delle affermazioni gramsciane si tratta allora di lavorare, con tutti gli strumenti disponibili, intorno al rapporto tra cultura e politica superando quell’assemblaggio di un insieme di tecnicismi che vengono definiti come “modernità”.
Insomma: riportare il pensiero oltre la sudditanza all’algoritmo.
Si tratta di partire per una ricognizione di fondo, anche muovendoci dal proposito di sviluppare una “ricerca di parte”, con l’ambizione di ottenere il risultato di provocare una riflessione complessiva tale da superare le settorializzazioni, gli schematismi oggi imperanti che, alla fine, hanno danneggiato non soltanto gli studi e le ricerche, ma soprattutto la qualità dell’“agire politico”.
Il riferimento è rivolto a un pensiero politico in grado di esprimere interessi, finalità aspirazioni ben individuabili che, a partire da precisi punti di vista di soggettività determinate, è capace di interpretare le sfide reali della storia, e vi risponde in base a parametri e a esigenze di volta in volta mutevoli.
Serve legarsi a un filo conduttore, coscienti del fatto che ciò non significa che il pensiero politico si sia rivolto sempre ai medesimi problemi attraverso le medesime categorie.
Al contrario è necessario prestare grande attenzione e insistenza nel mettere in luce che, se è vero che i concetti politici sono la struttura-ponte di lungo periodo è anche vero che solo le trasformazioni epocali, il mutare degli orizzonti di senso, il modificarsi catastrofico degli scenari sociali e politici, oltre che intellettuali, hanno consentito ai concetti politici di assumere di volta, in volta, il loro significato concreto.
Insomma, è necessario mettere in rilievo che la concretezza del pensiero politico consiste proprio nel fatto che esso aderisce alle drammatiche discontinuità dell’esperienza storica, e anzi le riconosce, le interpreta, le mette in forma.
Si deve avere fiducia, ed è questa l’unica nota di ottimismo permessa, nell’importanza e nell’efficacia formativa della storia del pensiero politico, nel suo senso più vasto: tutto il contrario dell’impreparazione improvvisata che oggi appare di scena nell’arena del sistema politico italiano.