Il governo e la sua maggioranza parlamentare si scrutano, si impalmano su proposte di legge, su decretazioni di urgenza che finiscono per avere i connotati di pastrocchi gettati in pasto alle contraddizioni interne alle destre e al fuoco di fila delle opposizioni e, alla fine del grande circo di una democrazia vilipesa e resa inutile agli occhi dei cittadini, si arenano come balene spiaggiate, come carcasse di poveri viventi sottratti al loro ambiente.
Esattamente come gli orsi del Trentino che sono degli immigrati a cui nessuno imputa, almeno quello…, la “sostituzione etnica” con gli orsi (inesistenti) dell’Italia del Nord.
Insomma, il governo, tanto quando tratta del PNRR sia quando mette mano alle misure sulla rivedibilità (si tratta di un voluto eufemismo) della protezione speciale per i migranti, non riesce mai a concretizzare qualcosa che anche lontanamente si avvicini alle promesse elettorali.
Mese dopo mese, appare sempre più evidente l’impreparazione di quella che doveva essere la “classe dirigente” di Fratelli d’Italia e della Lega in sostituzione alla precedente struttura-apparato di Forza Italia e del lungo periodo berlusconiano della storia della destra dello Stivale.
Non si tratta soltanto di una mancanza di approcci tecnici, di sottovalutazioni grossolane dei tempi di svolgimento dei lavori e di rapporti col Parlamento, costretto ad essere uno strumento di ratifica delle decisioni dell’esecutivo e non più un luogo di discussione aperta e anche decisa sulla formazione delle leggi.
Comportamenti eterodossi, al limite di ogni decenza istituzionale e ben oltre ogni linea di demarcazione tra i fatti e il revisionismo sia contemporaneo sia storico, fanno presagire un peggioramento ulteriore nell’equilibrio tra i poteri dello Stato, una disarmonizzazione dei rapporti interni e del funzionamento della nostra Repubblica.
Che il Presidente del Senato fosse dedito alla coltivazione di una memoria tutt’altro che condivisa, anzi svilente i valori della Costituzione e declamante quelli della parte sbagliata della Storia, lo si sapeva fin da prima che divenisse ministro nei governi Berlusconi.
Che ministri e sottosegreteri del governo fossero portatori di una eccentricità – per così dire… – largamente condivisa dagli Interni agli Esteri, dalla Difesa all’Agricoltura, dalle Infrastrutture ai Porti, per non parlare della Scuola e della Sanità, tale da preoccupare persino Giorgia Meloni, non è proprio una novità nemmeno questa.
Messe insieme, tutte queste note stonate e caratteristiche negative della comportamentalità a-istituzionale dei più alti rappresentati delle istituzioni stesse, tracciano un quadro allarmante per la dicotomia evidente tra essere ministro e sembrare ministro. Tra essere classe dirigente nazionale e sembrare ancora in campagna elettorale.
Dell’esuberanza postfascista, nostalgica e rivendicatrice di un passato che non passa si può anche sorridere, dire che rientra nei cardini del personaggio dai tratti somatici mefistofelici, provare a sottovalutarla per minimizzarne la distonia con un rigore istituzionale e costituzionale che dovrebbe invece essere il piano di perfetta aderenza tra il dire e il fare, tra l’essere e l’apparire, piuttosto che il sembrare.
Così si può anche fare spallucce e sospirare innanzi alle parole di un ministro che ripete quello che già è stato detto dalla sua Presidente del Consiglio in comizi a Milano, in conferenze stampa. Dov’è la novità sul fatto che la destra sia persuasa che è in atto una perniciosa “sostituzione etnica” di una parte del mondo ad opera di un’altra parte?
Dov’è la novità per cui, invece di analizzare seriamente i problemi epocali delle migrazioni, dalle guerre alla fame, dallo squilibrio economico tra nord e sud (d’Italia, d’Europa e del pianeta in generale) alla forbice delle diseguaglianze che il liberismo impone a miliardi di persone e di esseri viventi non umani, si preferisce addossare la colpa di tutto a chi sale su un barchino e tenta di arrivare (in)fortunosamente sulle coste del Bel Paese?
E ancora: dove mai starà la novità in merito al comportamento coerentemente ruffiano tra nazionalismo esasperato ed esasperante e compatibilità internazionali di sistema? Parliamo dell’assoluta condiscendenza del governo Meloni riguardo l’atlantissima linea politico-militare di Biden e Stoltenberg, condivisa dal premier britannico di orgini indiane ma integratissimo nel belligerantissimo (per procura, si intende) occidente democratico.
E parliamo anche della fine di ogni anatema contro l’Unione Europea matrigna crudele che, benedicente la BCE e la Commissione di von der Leyen, ha concesso al governo italiano un altro po’ di tempo per “mettere a terra” una parte del PNRR. Il ministro Fitto assicura che una parte dei fondi (comunque a caro prestito…) andranno scadenzati diversamente, perché le resistenze tra e negli ambiti dell’esecutivo sono tante.
Neppure in ambito economico la presunta “classe dirigente” delle destre riesce a fare quadrato, a disporsi in favore di quelle larghe fasce sociali cui in campagna elettorale aveva promesso mari, monti, oceani e cieli sempre stellati, recuperando un armamentario da MSI tra difesa dei sacri confini nazionali dalle cineserie, dai migranti di ogni dove ma soltanto se scuri di pelle, e protezionismo familistico eterosessualissimo, cattolicamente inteso, molto poco laicamente tradotto, infatti, nelle politiche di questi mesi.
Dove questi mettono mano, non fanno che riportarci indietro di decenni: diritti sociali, civili, morale quotidiana, speculazione antietica, aggiornamento diseguale dei valori condivisi, spacchettamento delle fondamenta egualitarie del Paese nell’arlechineggiante controriforma calderoliana sull’”autonomia differenziata“, rave party, assembramenti, diritto (quindi libertà) di riunione, concepimento di figli, coppie omogenitoriali, riesumazione dei decreti incostituzionali salviniani…
Non c’è una sola cosa, una che sia una, per cui si possa affermare che il governo ha al suo attivo una classe dirigente degna di questo nome. Si può anche non condividere l’impostazione politica di una maggioranza: come ai tempi del Pentapartito, del regno quasi cinquantennale del democristianesimo.
Ma non è ammissibile che ogni atto dell’esecutivo sia volto a cambiare radicalmente il perimetro dei diritti, dei doveri, dei valori ed anche della Storia che uniforma la Costituzione, che danno senso alla Repubblica.
Quella di Meloni e dei suoi ministri non è una classe dirigente: è una squadra di guastatori politici che aprovono varchi in una società profondamente in crisi per immettervi nuovi elementi conflittuali, del tutto gratuiti, senza che esista un vero senso per queste azioni, per queste prese di posizione. Non c’è nessun compromesso tra il portare avanti il “programma” (molto tra virgolette) della maggioranza e lo stare a sentire, ad esempio, le rimostranze delle opposizioni parlamentari e le proteste di piazza. Che non sono poche.
A cominciare da chi fa tanto rumore e non per niente e viene bollato come “terrorista” o “amico dei mafiosi” in trasmissioni televisive: è toccato ai giovani di Ultima generazione, le cui modalità di agire possono essere criticate e stigmatizzate quanto si vuole, ma che hanno certamente il pregio di aver costretto i mass media a parlare tanto e sovente di crisi climatica, di disastro ambientale e di inadempienza governativa in merito.
Anche in questo caso, la “classe dirigente” meloniana risponde con la repressione, con la durezza imperturbabile della Legge con la elle maiuscola, promette multe salatissime per chi farà blocchi stradali, per chi imbratterà monumenti con la vernice lavabile e non concede nulla a questi giovani che chiedono di essere ricevuti dal governo per discutere, per aprire un confronto molto più ampio di quello che riguarda solamente gli ambiti istituzionali.
Invece, Palazzo Chigi tratta chi protesta come una seccatura: vale per gli antifascisti e vale per Ultima generazione. Vale per i lavoratori e vale per gli studenti. Berlusconi, quando gli operai scioperavano, affermava che si doveva lavorare e non scendere in piazza a lagnarsi, a urlare, a battere pentolame e soffiare nei fischietti.
A chi studia e poi non trova uno straccio di occupazione decente, i ministri e i sottosegretari del governo rispondono di studiare e non di occuparsi di un cambiamento climatico di cui, rinverdendo pure qui certe teorie complottiste e negazioniste, la destra poi non è del tutto convinta che esista, che sia veramente tale.
Può una classe dirigente di governo adoperare questi linguaggi, questi metodi e scrollare le spalle davanti alle proteste e alle proposte? Questa arroganza è incompatibile con l’ufficio della Presidenza del Consiglio, così come con quella della Presidenza del Senato, e così pure con qualunque carica dello Stato.
Disprezzare le opinioni diverse dalle nostre non ci rende diversamente democratici ma, al contrario, nemici della democrazia e sovraordinati ad un principio di uguaglianza che, via via, diviene consuetudine non considerare poi così necessario: a partire dalle idee e dalle parole per finire nella concretezza dei rapporti civili, sociali e prettamente umani di una comunità nazionale.
Il degrado a cui questo governo ci sta portando si arricchirà in questi giorni di nuove antinomie nei confronti del vivere civile, del rispetto degli ideali antifascisti, libertari, resistenziali. Lo vedremo con sufficiente chiarezza nelle manifestazioni per il 25 aprile e il Primo maggio. Ne abbiamo un assaggio dal dibattito parlamentare proprio riguardante i giorni di festa nazionali.
Questo insieme di devastazioni sociali e civili, morali e politiche ci dovrebbe spronare a rimettere insieme un’azione condivisa di lotta su vari livelli, collaborativa al massimo proprio nelle differenze, per cacciare quanto prima da Palazzo Chigi le destre che degradano lo Stato, inaridiscono lo spirito repubblicano, sovvertono la memoria, attaccano la misera esistenza dei più poveri e trasformano i diritti sociali in doveri economico-finanziari al servizio delle imprese e del profitto.
Tutto questo esige una risposta di sinistra, popolare e di massa. Nessun partito da solo può darla. Un coordinamento di salute pubblica, nazionale e locale, che metta insieme antifascisti, democratici, anticapitalisti, libertari ed ecologisti potrebbe – usiamo il condizionale – fare davvero la differenza e ristabilire quegli equilibri che si stanno, molto, troppo velocemente perdendo.
MARCO SFERINI