Nuovo braccio di ferro tra Roma e Bruxelles, con la prima che non si adegua al diritto europeo e la seconda che risponde con gli strumenti politico-giuridici a sua disposizione. In un solo giorno, l’UE si è appellata sette volte alla procedura d’infrazione, accusando l’Italia di non aver rispettato diverse norme del diritto comunitario, come nel mancato recepimento della direttiva europea sui lavoratori stagionali, volta ad assicurare condizioni di vita e di lavoro dignitose, pari diritti e una tutela sufficiente dallo sfruttamento. A ciò si aggiungono poi l’abuso dei contratti precari nel settore pubblico, i ritardi nei pagamenti della Pubblica amministrazione o il mancato rispetto della normativa antiriciclaggio.

L’Unione Europea intende vederci chiaro su diverse misure varate o non recepite (a seconda dei casi) dall’Italia. Per questo motivo ha iniziato quattro nuove procedure d’infrazione nei confronti del nostro Paese e, nel caso di tre vecchi meccanismi politico-giuridici avviati negli scorsi mesi, è passata allo step successivo, cristallizzando il perimetro del presunto fatto illecito. Roma «deve garantire» alle persone con disabilità il pieno accesso a «prodotti e servizi chiave come telefoni, computer, e-book, servizi bancari e comunicazioni elettroniche», scrive Bruxelles in allegato alla lettera di messa in mora (che segna l’avvio della procedura d’infrazione) indirizzata a Italia, Danimarca ed Estonia. La Lettonia e il Portogallo accompagnano, invece, il nostro Paese nel mancato recepimento delle norme comunitarie in materia di antiriciclaggio. Il passo da una violazione di una direttiva all’altra è breve: secondo la Commissione, la legge italiana non rispetta infatti le norme europee sui ritardi di pagamento, in quanto proroga oltre i termini previsti dalla direttiva il termine di pagamento per i debiti delle amministrazioni pubbliche. In particolare, è il settore sanitario nella Regione Calabria a destare maggior preoccupazione a Bruxelles. La direttiva comunitaria sui lavoratori stagionali è stata invece disapplicata, secondo la Commissione, da ben dieci Paesi membri (Italia compresa). «Garantire il pieno rispetto della direttiva è un presupposto importante per attrarre nell’UE la manodopera necessaria per il lavoro stagionale ed eventualmente anche per contribuire a ridurre la migrazione irregolare», ha commentato l’organo esecutivo nell’avviare la procedura d’infrazione.

Dalla notifica della lettera di messa in mora, uno Stato membro dispone di due mesi di tempo per presentare le proprie osservazioni sui fatti contestati. Se il Paese interessato non risponde all’avviso nel termine indicato o fornisce alla Commissione risposte non soddisfacenti, quest’ultima può emettere un parere motivato con il quale cristallizza l’inadempimento contestato, invitando lo Stato a porvi fine entro una certa data. Nelle ultime ore, Roma è stata destinataria di tre diversi pareri motivati con oggetto violazioni in materia di contratti precari, spazio marittimo e acquisti internazionali. L’Italia è da tempo osservata speciale dell’UE per le condizioni di lavoro nel settore pubblico: nel 2019 ha ricevuto una lettera di messa in mora per il mancato rispetto della direttiva 1999/79/CE che “impone di non discriminare a danno dei lavoratori a tempo determinato e obbliga gli Stati membri a disporre di misure atte a prevenire e sanzionare l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”. Secondo la Commissione, la legge italiana «non previene né sanziona in misura sufficiente l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico del Paese».

In poche parole, la precarietà del lavoro causerebbe non solo l’instabilità per i salariati ma anche non trascurabili perdite economiche per il nostro Paese sotto forma di multe che la Corte di giustizia dell’Unione europea potrebbe disporre, se attivata, alla fine della procedura d’infrazione: oltre al danno anche la beffa. Allo stesso modo, anche la mancata attuazione della direttiva sulla pianificazione dello spazio marittimo potrebbe costare cara all’Italia, così come a Bulgaria, Grecia, Cipro e Romania. I cinque Paesi membri non avrebbero organizzato le attività nelle rispettive zone marine non conseguendo così i vari obiettivi ecologici, economici e sociali fissati dalle normative UE, tra cui lo sviluppo di un’economia blu sostenibile e la conservazione di ecosistemi marini sani e della biodiversità. L’ultimo dei pareri motivati inviati all’Italia riguarda, infine, «la mancata inclusione del noleggio di apparecchiature per intercettazioni telefoniche nelle indagini penali nella definizione di transazioni commerciali prevista nella normativa nazionale».

Se l’Italia, così come gli altri Paesi membri interessati, non dovesse adeguarsi alle leggi europee, la Commissione potrebbe decidere di passare alla “fase contenziosa” della procedura d’infrazione, attivando la Corte di giustizia dell’Unione europea. Quest’ultima sentenzia sulla presunta violazione del diritto comunitario da parte del Paese membro accusato da Bruxelles, avendo la facoltà di disporre sanzioni economiche in caso di accordo con l’organo esecutivo dell’UE.

[di Salvatore Toscano]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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