- Gianpasquale Santomassimo
Elogio della compostezza.
Tra 18 aprile e 25 aprile. La spinta a “sostituire” il 25 con il 18 aprile è affiorata più volte nella Seconda Repubblica, se ne fece interprete la batteria di opinionisti “liberali” del Corriere e di Liberal dopo l’89. Ma è una storia più antica, che affiorò precocissima già nell’immediato.
Nel 1948 per il “Corriere della sera” il 25 aprile torna ad essere una festa legittima, perché c’è stato il 18 aprile, coronamento di una effettiva “liberazione” ancora in divenire, e le due date da ora in poi vanno legate assieme: «Oggi, a tre anni dal 25 aprile 1945, seppure molte nubi ancora oscurano l’orizzonte di Europa, si travede un filo di luce: ed esso proviene in gran parte dalla giornata del 18 aprile 1948. Leghiamo assieme queste date, facciamone una sola volontà, e rechiamo questo nostro contributo alla pace, alla libertà ed al lavoro dei popoli».
E’ da segnalare, all’opposto, la notevole sobrietà con la quale, generalmente, il Popolo commemora nel tempo e fin dall’inizio lo straordinario successo del 18 aprile. Nel 1949 il 18 aprile verrà ricordato soprattutto come la data di “rinascita del Parlamento” e di avvio della prima legislatura repubblicana.
Per la verità anche immediatamente dopo la vittoria elettorale il 25 aprile era stato celebrato come giorno che andava ricordato «con la compostezza severa che gli si conviene» in uno spirito nel quale di fronte all’esito della votazione del 18 aprile «la Democrazia cristiana ha voluto, vuole e vorrà vedere non la vittoria di un partito, ma la vittoria di tutto il popolo affratellato…».
In ogni caso nel rifiuto di accogliere l’invito che viene dalla stampa “moderata” a sostituire (o sovrapporre) il 18 al 25 aprile, si possono percepire diversi elementi, che vanno dalla consapevolezza di una funzione di governo acquisita alla volontà di non “stravincere” e prevaricare gli sconfitti. Ma emerge anche qualcos’altro di duraturo, che è molto significativo e che a distanza di molti decenni si tende a dimenticare: cioè la volontà di non appiattire la propria storia e il proprio ruolo sulla dimensione dell’anticomunismo