Foto da “Il faro di Roma”
Istruttori militari italiani per i miliziani delle Rfs, che oggi combattono in Sudan. Il 6 aprile l’ultimo accordo tra Roma e i sudanesi ancora uniti. Ma il 15 aprile esplode tutto. Il punto di Remocontro*
In Sudan una milizia ‘tricolore’: “L’Italia addestrò i janjaweed”
È il 6 aprile e mentre a Khartoum la tensione è alle stelle tra le forze armate fedeli al presidente del Consiglio di transizione, il generale Abdel Fattah al-Burhan e le Rapid Support Forces del generale-vicepresidente Mohamed Dagalo ‘Hemeti’, a Roma viene sottoscritto un accordo tra la fondazione ‘Med-Or’ del gruppo Leonardo SpA e la Repubblica del Sudan. «Si stabilisce un mutuo impegno per il sostegno all’educazione, alla formazione professionale e, soprattutto, alla promozione della lingua italiana in Sudan», spiega il presidente di Med-Or, Marco Minniti e riferisce Antonio Mazzeo sul Manifesto. «Erogheremo borse di studio per giovani studenti presso università italiane e realizzeremo progetti di ricerca congiunti con think tank sudanesi». Solo cultura e lingua italiana?
Due colpi di stato e una sanguinosa guerra civile in meno di quattro anni, ma l’Italia non ha mai fatto mancare aiuti di ogni tipo ai leader militari succedutisi alla guida del paese africano. E sempre in nome della ‘lotta all’immigrazione clandestina’.
Nell’agosto 2016 è stato firmato con il Sudan un memorandum sulla gestione dei fenomeni migratori e delle frontiere: a sottoscriverlo l’allora direttore generale della Pubblica sicurezza, Franco Gabrielli, governo Renzi e il sottosegretario alla Presidenza del consiglio con delega alla sicurezza della Repubblica Marco Minniti, poi ministro dell’interno.
A rappresentare la controparte il capo delle forze di polizia sudanesi, generale Hashim Osman el-Hussein, uomo di fiducia del dittatore Omar Hassan al-Bashir, dal 30 giugno 1989 incriminato dalla Corte Penale Internazionale per genocidio e crimini contro l’umanità.
L’accordo Sudan Italia in vigore
L’accordo, ancora in vigore, prevede misure per contrastare il crimine organizzato e il traffico di esseri umani: scambi di esperti, attività addestrative, mezzi ed equipaggiamenti, gestione congiunta di rimpatri anche di cittadini di paesi terzi. Roma impegnata a finanziare programmi allo sviluppo a favore dei campi con oltre un milione e mezzo di rifugiati e sfollati interni.
L’ultima missione umanitaria del ministero esteri, agosto 2022, nei campi di Um Rakuba e Tunyadbah. In quegli stessi giorni anche una decina di militari italiani arrivavano a Khartoum a bordo di un aereo privato (privato Cai, compagnia aerea Aise). «Il loro compito è quello di istruire gli ex janjaweed, i miliziani arabi impiegati durante la guerra in Darfur e che ora si sono riciclati nelle Rapid Support Forces», ha denunciato Massimo Alberizzi, direttore di Africa ExPress.
Addestratori militari italiani
Le attività addestrative sarebbero state formalizzate in occasione di un vertice del gennaio 2022 tra il vicepresidente Hemeti e una delegazione del ‘Dipartimento delle informazioni per la sicurezza’, i Servizi segreti esteri. A guidarla, sempre secondo Alberizzi, il generale Giovanni Caravelli (dal maggio 2020 direttore dell’Aise) e il tenente colonnello Antonio Colella.
«Durante l’incontro è stato confermato l’impegno italiano ad addestrare i janjaweed, ufficialmente per bloccare i migranti che tentano di raggiungere il Mediterraneo e quindi l’Europa attraverso il Sudan e la Libia», conclude il giornalista.
La missione dei servizi segreti italiani era già stata rivelata dal quotidiano Al-Sharq di Doha, Qatar. «Fonti sudanesi ci hanno riferito che ieri 11 gennaio 2022 il vicedirettore dell’intelligence italiana, Giovanni Caravelli, si è recato in Sudan, in una visita ufficiale non annunciata e durata solo alcune ore, durante la quale ha avuto colloqui con il vicepresidente del Transitional Sovereignty Council, il generale Muhammad Hamdan Dagalo e il direttore dell’intelligence sudanese, generale Ahmed Ibrahim Mufaddal», scriveva Al-Sharq.
* Articolo integrale pubblicato su Remocontro