Il successo di Gabriel Borić nel 2021 aveva forse suscitato eccessive speranze, ma la netta vittoria dei repubblicani alle elezioni per la nuova Assemblea Costituente segna una dura battuta d’arresto per la sinistra cilena.
Era il dicembre del 2021, quando Gabriel Borić, sostenuto da un’ampia alleanza di sinistra, veniva eletto presidente del Cile, sconfiggendo il candidato di estrema destra José Antonio Kast. Un risultato storico per la sinistra cilena, che non otteneva un risultato di questo calibro dai tempi del compianto Salvador Allende, ma che forse ha suscitato un eccessivo entusiasmo, tenendo conto dei numerosi fattori che poi hanno impedito al nuovo governo di dare una svolta reale al percorso del Paese sudamericano, una delle roccaforti del neoliberismo nel continente.
Naturalmente, tali situazioni vanno sempre contestualizzate, ed in ogni caso la vittoria di Borić ha reso possibili alcune politiche che hanno avuto un risvolto positivo per il Paese e per le classi lavoratrici, ma questo non è stato sufficiente per scalfire il controllo strutturale che la destra esercita de facto sul Paese. Nello scorso mese di aprile, ad esempio, il presidente ha annunciato un programma nazionale per il litio, una delle principali risorse economiche del Paese, che, insieme alla Bolivia, dispone delle principali risorse mondiali di questo elemento: “Sarà creata una società nazionale di litio per sviluppare una nuova industria nazionale di questa risorsa, con le comunità che assumono la guida e aggiungono valore alla produzione“, ha detto Borić, nel rispetto del programma con il quale è stato eletto.
“È un passo essenziale per avanzare nelle trasformazioni strutturali di cui il Cile ha bisogno. Ciò consentirà non solo redditi più elevati, ma getterà anche le basi per uno sviluppo industriale sovrano, inserendo il litio nella catena del valore delle batterie e realizzando catene di produzione in Cile, con la partecipazione dei nostri lavoratori, ingegneri, scienziati, tecnici, imprenditori”, ha commentato al riguardo il Partido Comunista de Chile (PCCh), attraverso il proprio sito ufficiale. “Insomma, il popolo cileno potrà mettere la propria intelligenza al servizio del Paese, con un lavoro dignitoso, garantendo il minimo impatto ambientale sulle saline e nel pieno rispetto delle comunità e delle popolazioni indigene. Sarà il degno omaggio al processo di nazionalizzazione del rame portato avanti 51 anni fa dal presidente Salvador Allende”.
Un’altra politica certamente positiva portata avanti dal governo cileno e quella dell’aumento del salario minimo. Il progetto, approvato dalla Commissione Lavoro senza voti contrari e con l’astensione delle opposizioni, prevede un aumento graduale del salario minimo fino a raggiungere i 500.000 pesos (627 dollari) entro il luglio 2024. Attualmente, il salario minimo in Cile è fissato a 410.000 pesos, ma questo dovrebbe passare già a quota 460.000 a settembre, prima dell’aumento a 500.000 pesos il prossimo anno.
Di fronte a questi risvolti positivi, non possiamo però sottolineare il principale fallimento del governo Borić in materia di politica interna, quello riguardante il processo costituente che dovrebbe portare alla riscrittura della Costituzione cilena, visto che la carta fondamentale attualmente in vigore deriva ancora da quella della dittatura militare di Augusto Pinochet. Nel 2020, i cileni si espressero attraverso un referendum per la riscrittura della Costituzione, e successivamente le elezioni per l’Assemblea Costituente premiarono le forze di sinistra. Tuttavia, nel settembre del 2022, un nuovo referendum costituzionale ha visto la popolazione respingere la nuova Costituzione proposta, rendendo necessario il lancio di un nuovo processo costituente.
Evidentemente, in questo processo qualcosa è andato storto, visti i risultati delle elezioni per l’Assemblea Costituente, tenutesi lo scorso 7 maggio, che hanno visto il prepotente ritorno del Partido Republicano di José Antonio Kast, che ha ottenuto il 34,33% delle preferenze e ben 23 seggi sui 51 disponibili. Se si aggiungono anche gli undici seggi conquistati dalla lista liberal-conservatrice Chile Seguro, un’alleanza guidata dal partito Renovación Nacional (RN) dell’ex presidente Sebastián Piñera, appare chiaro il paradosso secondo il quale la Costituzione che dovrebbe cancellare quella pinochettista sarà redatta da nostalgici della dittatura e lacchè dell’imperialismo nordamericano.
La coalizione di sinistra Unidad para Chile ha invece ottenuto il 27,73% dei consensi e 17 seggi complessivi (compreso il seggio della lista indigena), due dei quali conquistati dal Partido Comunista de Chile, fortemente svantaggiato dal metodo di distribuzione degli scranni. I comunisti hanno infatti ottenuto il 7,84% delle preferenze su scala nazioanle, risultando il partito più votato tra quelli della coalizione, ma si sono assicurati meno seggi rispetto a forze che hanno ottenuto centinaia di migliaia di voti in meno. Ad esempio, con solo il 5,78%, il Partido Socialista de Chile ha eletto sei rappresentanti.
Il leader comunista Lautaro Carmona ha commentato i risultati delle elezioni per l’Assemblea Costituente, facendo notare come i comunisti abbiano ottenuto un buon esito nonostante la sconfitta della coalizione di sinistra, soprattutto nella regione metropolitana della capitale Santiago e nella regione di Coquimbo, dove ha eletto i suoi due rappresentanti. In termini percentuali, “abbiamo ottenuto il voto più alto che il Partito Comunista abbia storicamente ottenuto, a questo diamo un valore altissimo e ci riempie di soddisfazione, ma anche di tanta responsabilità”.
Tuttavia, il segretario generale ha anche affermato che i movimenti sociali e le diverse forze di sinistra dovranno giocare un ruolo decisivo di fronte all’assalto dell’estrema destra, continuando “ad approfondire la più ampia unità politica e sociale delle forze di trasformazione. Il Partito Comunista valuterà e agirà insieme ai suoi alleati. Nessuna forza da sola avrebbe ottenuto nulla se non fosse stata in un’articolazione politica come quella che si è costruita”.
Oltre al fallimento del processo costituente, infine, vogliamo sottolineare come la presidenza di Gabriel Borić non abbia portato nessun cambiamento significativo nella politica estera cilena. Il presidente ha espresso posizioni fortemente critiche nei confronti delle esperienze socialiste nel continente latinoamericano, in particolare quella venezuelana, palesando l’incapacità di distaccarsi da una politica estera allineata con gli Stati Uniti. Lo stesso presidente ha spesso espresso pareri poco condivisibili sul Venezuela e sul Nicaragua, peggiorando le relazioni bilaterali con questi e con altri Paesi, come la vicina Bolivia. Questo ha portato una forte perdita di consensi nei confronti del presidente cileno da parte dei movimenti socialisti internazionali, e crediamo che il Partido Comunista de Chile dovrebbe dare una spinta significativa al governo verso una politica estera indipendente, che veda il Cile costruire rapporti positivi con i governi socialisti e progressisti della regione.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog