Fabrizio Russo

Quest’estate, ad inizio agosto, avevamo prospettato in due articoli su La Fionda l’ipotesi – dapprima in chiave largamente ipotetica successivamente in chiave meno dubitativa – della composizione “in progress” di uno scenario di fondo stagflattivo. Le vicende che da allora si sono susseguite non hanno fatto che rafforzare questa convinzione, sino a farla divenire oggi sostanzialmente una certezza.

Prima di addentrarci nei dettagli è però opportuna – lo sento – una puntualizzazione: non è che proviamo un piacere perverso nell’andare a disegnare scenari che presentano risvolti negativi e sgraditi. Il punto è che la fase storica in atto sta assumendo sempre di più i contorni di un passaggio epocale: un ciclo economico-finanziario secolare si chiude come nella storia economica del mondo si è ripetuto più e più volte. Le nostre vite limitate hanno però difficoltà a cogliere i passaggi di tali cicli che, nella loro interezza, si sviluppano nell’arco di più generazioni. Questo – nella mia personalissima view – rende allotrio ai più qualsiasi discorso che vada toccare similia spetti secolari, senza però che questi vengano meno.

In particolare, se assumiamo una simile prospettiva (anche “secolare”, oltre che contingente), diventa meno difficile “prevedere il futuro” anche senza la mitica “palla di vetro”. Il punto centrale è che: “Le persone odiano pensare che le cose brutte accadono, quindi sottovalutano sempre la loro probabilità[1]”. Questa frase – perdonatemi se cito un film, che rimane pur sempre un’opera di fantasia anche se saldamente ancorata nella realtà di fatti storicamente accaduti – mi ha sempre colpito: in effetti è più facile riuscire a trovare una palla di vetro funzionante (che fornisce, si fa per dire e per ridere, “previsioni corrette”) piuttosto che far cambiare opinione a tutti coloro che rifiutano di pensare alla possibilità che “le cose brutte” hanno una certa probabilità di accadere. Tanto più quando si parla di cicli economico-finanziari secolari, che possiedono tanto fasi di prosperità che fasi di decadenza (verso il loro compimento) prima che di lasciare il campo ad uno nuovo.

Quindi avrete capito, no? Il primo vero ostacolo per riuscire a “prevedere il futuro” (passatemi questi “frizzi e lazzi”) è riuscire ad avere una mente aperta: senza rifiutare la probabilità diversa da zero che “cose brutte” in economia e finanza possano accadere (come invece succede nelle fasi declinanti dei cicli economico-finanziari secolari).   

Gioca invece a sfavore del pubblico in generale, e purtroppo troppo spesso anche di decisori importanti, la tendenza a rifiutare le ipotesi sgradite. Il medesimo elemento gioca, invece, a favore di quegli “arbitraggisti” – se così possiamo definirli – che possono approfittare di simili errori marchiani per conseguire vantaggi in termini di decisioni economiche e risultati (si spera positivi) di portafoglio.

In questo contesto il lavoro dell’economista serio (non dell’adulatore che dice le cose che il suo pubblico o il suo capo vuole sentire) riteniamo sia, in primis, quello di osservare la realtà per quello che è – non per nulla l’economia politica è anche definita “la scienza triste”.

Questo è infatti il primo fondamentale passo per rilevare e delineare al meglio gli scenari avversi: i più utili di tutti perché sono quelli che regalano le peggiori amarezze e i maggiori danni se non identificati. Questo ovviamente senza confondere, come succede invece talvolta ai più, ciò che è necessario sapere, anche se sgradito, con ciò che è opportuno comunicare a terzi.

Un simile comportamento virtuoso affonda le radici in motivi pratici che in realtà nascondono anche forte, anzi fortissimo, ottimismo di fondo: se hai il quadro autentico della situazione è più probabile che tu riesca ad individuare la soluzione favorevole e meno costosa di un problema. Non si tratta infine di un’affermazione paradossale se consideriamo l’adagio: se puoi fare qualcosa, non te ne preoccupare; se non puoi fare nulla, non te ne preoccupare!

Non preoccuparsi non significa però rassegnarsi all’inazione, anzi! Non preoccuparsi significa piuttosto concentrare tutte le risorse per impegnarsi alacremente ed a fondo, eliminando l’ansia e la componente emotiva, nell’azione. Le prime rappresentano infatti una dispersione inutile di energie. Un’impostazione che quindi corrisponde all’ottimizzazione dei propri comportamenti verso il raggiungimento degli obiettivi desiderati.

Il quadro attuale richiede in effetti proprio una linea d’azione di questo tipo: il lavoro è tanto ed i rischi molteplici e rilevanti. Quindi: meno preoccupazione e più azione! Le evidenze che spingono verso l’ipotesi stagflattiva – in primis per l’economia USA ma anche per l’Eurozona e, più in generale, per l’economia globale – sono molteplici.  In primis, per gli USA: la Fed di Atlanta ha mostrato che il chiaro rallentamento del PIL statunitense impostosi nelle ultime settimane. Le sue stime di crescita del PIL USA sono scese da oltre il 3% a fine marzo a solo l’1,1% di questa settimana (oggi è il 9 maggio 2023),

Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa

L’evidenza è lampante: l’economia statunitense sta rapidamente rallentando, in gran parte a causa della “depressurizzazione” delle piccole e medie banche regionali, con collegato credit crunch (che a questo punto è il minore dei mali). 

Sempre la scorsa settimana la maggior parte delle banche si aspettavano un dato intorno al 2,0%, la previsione mediana era dell’1,9%. C’è invece stato un sussulto di sorpresa quando alle 8:30 ET il BEA (Bureau of Economic Analysis) ha riferito che nel primo trimestre il PIL reale è aumentato solo dell’1,1% (1,070% per la precisione e proprio “al top” di quanto aveva indicato la Fed di Atlanta), con un forte calo rispetto al 2,6% del PIL nel quarto trimestre. Il dato di crescita del PIL è stato anche il più basso dal secondo trimestre del 2022, quando la variazione è risultata negativa e nell’ordine del -0,6%,

Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa

Per non menzionare il fatto che il risultato ha segnato una differenza di oltre un sigma rispetto alla stima mediana dell’1,9%:

Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa

La decelerazione riflette principalmente un calo degli investimenti in scorte e un rallentamento degli investimenti delle imprese (maggiori dettagli di seguito). Questi movimenti sono stati in parte compensati da un’accelerazione dei consumi, da una minore diminuzione degli investimenti immobiliari e da una ripresa delle esportazioni. Sono però aumentate anche le importazioni.

Osservando le varie componenti, scopriamo che mentre la spesa in consumi personali è stata solo un po’ più debole del previsto fermandosi al +3,7% annualizzato rispetto al +4,0% atteso (e in netto aumento rispetto al +1,0%) nell’ultimo trimestre. E’ stato invece il crollo delle scorte private a “martellare verso il basso” il PIL. Nello specifico, nel primo trimestre, le scorte private hanno sottratto un consistente 2,3% al PIL (dopo aver contribuito con l’1,5% nell’ultimo trimestre).

Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa

Il grande evento, tuttavia, è stata la variazione delle scorte private, che ha sottratto il 2,26% al PIL in termini di contributo, con il più grande impatto dal crollo avvenuto durante la Pandemia di Covid-19.

Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa
Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa

Mentre la crescita è stata ben al di sotto delle aspettative, ciò per cui il mercato è andato davvero “fuori di testa” sono stati i dati relativi a PCE e PCE core che hanno consegnato un quadro d’inflazione inaspettatamente calda.

Il primo dato si è fermato al +4,0% nel 1° trimestre ‘23, sopra il +3,7% atteso ed al 3,9% del quarto trimestre. Il core PCE si è attestato al +4,9%, ben al di sopra del +4,4% del quarto trimestre e anch’esso oltre il +4,7% previsto. In effetti, come evidenziato di seguito, questo è stato il quinto “balzo” consecutivo delle aspettative PCE core mediane, 

Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa

Qualche dettaglio in più dal rapporto:

I prezzi di acquisto interni lordi – i prezzi di beni e servizi acquistati dai residenti negli Stati Uniti – sono aumentati del 3,8% nel primo trimestre dopo essere aumentati del 3,6% nel quarto trimestre. Escludendo cibo ed energia, i prezzi sono aumentati del 4,3%, dopo il precedente aumento del 4,1%.

I prezzi della spesa personale per beni di consumo (PCE) sono aumentati del +4,2% nel primo trimestre ’23 dopo essere aumentati del +3,7% nel quarto trimestre ‘22. Escludendo cibo ed energia, l’indice dei prezzi “core” PCE è aumentato del +4,9% dopo essere aumentato del +4,4%:

Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa

Chris Zaccarelli, chief investment officer di Independent Advisor Alliance, ha dato  una view piuttosto pessimistica. Ha detto che ” i dati relativi al primo trimestre sono stati i peggiori dei due mondi, con la crescita in calo e l’inflazione in aumento… Dato che il Core PCE non è neanche lontanamente vicino all’obiettivo del 2% della Fed (in particolare salendo al 4,9% dal 4,4%), la Fed ha chiaramente bisogno di continuare ad aumentare i tassi (per combattere l’dell’inflazione) ed i tassi aumenteranno verosimilmente proprio durante una fase di rallentamento: ciò rende la stagflazione – come noi pensiamo – una possibilità reale”.

Da questi dati emerge, in effetti, che Stati Uniti sono ora in una fase di “stagflazione leggera” poiché la crescita vacillante si è unita all’inflazione elevata e persistente, confermando che molti asset sono scambiati “a prezzi non di equilibrio” e sono potenzialmente soggetti a correzioni prossime venture anche considerevoli.

La piena stagflazione si manifesta, invece, quando anche la disoccupazione inizia ad aumentare. Questo purtroppo ha una probabilità diversa da zero – e, nella mia opinione, elevata – di accadere: si stanno profilando già i primi segnali di “riequilibrio” del mercato del lavoro.

I precedenti casi di stagflation-lite indicano che i rendimenti degli asset sono frequentemente assai diversi da quelli registrati sinora quest’anno. Ciò significa che ci sono molte attività che probabilmente sottovalutano o sopravvalutano in modo significativo la situazione economica. Tra queste sono comprese le azioni delle compagnie petrolifere, le materie prime e i titoli finanziari; e le aziende del settore aurifero, della tecnologia e dell’auto.

In particolare, il mercato azionario (USA e quindi anche quelli globali ex-Cina), stanno andando meglio di quanto ci si potrebbe aspettare rispetto ai precedenti regimi di stagflazione leggera, mentre le obbligazioni sono più in linea.

Per dimostrarlo, dobbiamo prima definire i regimi di stagflazione leggera utilizzando i seguenti criteri:

  • La media mobile di un anno dell’IPC principale su base annua > la media di due anni;
  • La media mobile su un anno dell’IPC principale è > 4,5%;
  • La volatilità dell’inflazione è al di sopra del trend su base persistente; E
  • La media mobile su un anno del PIL reale su base annua è inferiore alla media su 10 anni

Ciò produce quattro distinti periodi storici:

  • 1969-1971: un periodo in cui la Federal Reserve stava allentando eccessivamente la politica monetaria, nell’errata convinzione che l’economia fosse più lontana dal tasso di disoccupazione che porta all’accelerazione dell’inflazione;
  • 1974-1975: la fine della recessione del 1973-1975 e l’aumento dell’inflazione dopo l’embargo petrolifero arabo;
  • 1979-1981: il secondo grande shock petrolifero degli anni ’70 dopo la rivoluzione iraniana del 1979 e una recessione indotta dagli aumenti dei tassi di Volcker; 
  • 1990-1991: una “scossa inflattiva” all’inizio del mandato di Greenspan alla Fed e la recessione del 1990.

Sulla base della definizione di cui sopra, gli Stati Uniti sono entrati nella stagflazione leggera all’inizio di quest’anno:

Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa

C’è un detto nell’esercito USA secondo cui i dilettanti parlano di strategia, i professionisti parlano di logistica. È giusto o ingiusto allora “etichettare” i diversi stati economici? In primis quali sono i vantaggi pratici? In primo luogo la possibilità di “comparare”, confrontare.

Il punto è che il comporsi di un quadro stagflattivo, anche se per ora light, non è solo un problema nordamericano! I segnali di deriva stagflattiva si intensificano anche in Europa e, più precisamente, in Eurozona.

In particolare, la Germania potrebbe essere sull’orlo di una recessione poiché i dati pubblicati venerdì di due settimane fa hanno mostrato che l’economia ha ristagnato nel primo trimestre. La crisi energetica ha notevolmente ostacolato la crescita economica nella più grande economia europea. Anche i dati sull’inflazione sono diminuiti ad aprile ma rimangono elevati, con crescenti timori per la stagflazione. 

Secondo i dati preliminari dell’agenzia federale di statistica Destatis, il prodotto interno lordo è rimasto piatto da gennaio a marzo rispetto al trimestre precedente, dopo essersi contratto dello 0,5% nell’ultimo trimestre del 2022, scongiurando di poco una “recessione tecnica”. Tuttavia, una lettura piatta potrebbe essere riadattata a una contrazione quando i dati finali saranno pubblicati alla fine del mese (25 maggio). 

La lettura preliminare è stata inferiore alla crescita trimestrale dello 0,2% prevista dagli economisti intervistati dal Wall Street Journal. Destatis ha affermato che le spese delle famiglie e del governo sono crollate nei primi tre mesi dell’anno. 

“L’economia tedesca è rimasta bloccata nel fango all’inizio del 2023, evitando solo a malapena la recessione “, ha detto Claus Vistesen, capo economista della zona euro di Pantheon Macroeconomics. Alla notizia, i rendimenti decennali tedeschi sono scesi di ben 13 punti base al 2,352%, 

Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa

Dopo la pubblicazione dei dati preliminari sul PIL, i dati sui prezzi al consumo di aprile hanno mostrato che l’inflazione stava diminuendo. I prezzi al consumo sono aumentati del 7,6% rispetto a un anno fa, in calo rispetto al 7,8% di marzo. L’inflazione ancora elevata e la crescita economica vacillante sono segni di stagflazione. 

Soffiano venti di stagflazione dagli USA all’Europa

Il responsabile macro globale di ING, Carsten Brzeski, ha avvertito che il rischio di recessione deve ancora passare:

“Il recente rinascimento della produzione industriale potrebbe benissimo sostenere l’economia per tutto il secondo trimestre.

“Tuttavia, temiamo che guardando alla seconda metà dell’anno, l’economia tedesca continuerà a flirtare con la recessione “.

Il più rilevante risultato del deterioramento del PIL e di un’inflazione costantemente elevata è che la più grande economia europea sta inciampando nella stagflazione. Una prospettiva che non può che allarmare – ma che fornisce anche l’opportunità di prepararsi opportunamente – gli osservatori economici ed i decisori di politica economica europei. Che forse anche questa volta i secondi metteranno la testa sotto la sabbia? Magari fornendoci un quadro edulcorato della situazione complessiva? Il timore è che la risposta sia positiva: come successo in passato molti – ed ovviamente il grande pubblico in generale – se ne accorgerà a cose fatte ed allora il capro espiatorio sarà “il caso” o “l’imprevedibile”, sempre un ottimo alibi per attori di politica economica che o non sanno che pesci pigliare o non ne hanno il coraggio. 


[1] Citazione di una frase di C. Geller nel movie “The Big Short”

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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