La democrazia liberale è un regime della verità tanto quanto un paese a partito unico, in cui tutte le opinioni valgono e sono tollerate, solo fino a quando la maggioranza crede alla verità condivisa in modo religioso.
Gli Ayatollah della democrazia liberale
Leggo valutazioni su Putin e sulla politica russa che partono da Stalin e dai gulag; sarebbe come valutare la storia degli Stati Uniti basandosi sulle guerre indiane o la storia d’Italia sul ventennio fascista (sic!), di suo l’approccio non sarebbe errato, ma andrebbe applicato egualmente ad ogni contesto e non scelto strumentalmente in base all’argomento e nemico di turno.
Questo è un brutto vizio della dialettica liberale: demonizzare l’altro, proiettando psicoanaliticamente i propri problemi, e applicando un doppio-pesismo evidente a qualsiasi terzo.
Ad esempio, giorni fa leggevo un articolo che che faceva riferimento a come l’unico modello economico possibile fosse il capitalismo neoliberista e che persino Cina e Vietnam avessero dovuto piegarsi a questo.
Siamo davanti al classico caso in cui il pensiero liberale confonde le aspirazioni con la realtà, riproponendo una tesi trita e ritrita negli anni ’90. Nessun conoscitore, anche minimo, dell’economia vietnamita o cinese lo scambierebbe per neoliberismo, non serve aggiungere altro.
Inoltre, che la Russia non sia fallita in due settimane dal febbraio 2022 o che Putin non stia morendo di qualche misteriosa malattia, direi che è sotto gli occhi di tutti; così come gli articoli, di ormai più di un anno fa, che riferiscono in termini iperrealistici informazioni simili sono altrettanto facilmente reperibili: come si può credere ancora alle stesse bugie?
A mio avviso la risposta risiede nelle contraddizioni interne all’approccio liberale, la supposta pretesa di imparzialità confermata, secondo la retorica liberale stessa, dal detenere potere e denaro (vittoria della Guerra Fredda).
La democrazia liberale diventa quindi l’ennesimo regime della verità tanto quanto l’Iran degli Ayatollah o un paese a partito unico, in cui tutte le opinioni valgono e sono tollerate, solo fino a quando la maggioranza crede alla verità condivisa in modo religioso.
Discutendo oggi, con un interlocutore che un anno e mezzo fa avesse mostrato dati sul presunto fallimento russo, probabilmente questo sarebbe ancora convinto dell’imminenza dello stesso, in attesa messianica di un Messia destinato a non arrivare o almeno non per i motivi da lui supportati.
Arriviamo a uno dei punti più oscuri della storia occidentale -quelli per cui in passato mi sono definito un “illuminista oscuro”- ovvero il non superamento dell’approccio storicista e messianico della religione.
L’approccio alla scienza, alla politica e all’economia è un eredità di quella omologazione messa in atto prima con la riforma/controriforma, poi con lo stato-nazione, infine con la rivoluzione industriale.
Quella grande trasformazione dell’uomo in ingranaggio.
L’illuminismo è tradito nella sua opera di disvelamento reale, non si è fatta luce, perché non si sono ammesse le tenebre.
Come chiaro nel Vangelo di Giovanni, la luce brilla nelle tenebre:
In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l’hanno accolta
Non può esservi un Illuminismo solo apollineo, bisogna per forza di cose riconoscerne un aspetto dionisiaco; altrimenti si rinuncia all’Illuminismo nel suo insieme.
Il laicismo, lo scienticismo, i diritti umani e amenità simili sostituiscono il motore ideologico in passato rappresentato dal cristianesimo (che quindi viene sepolto a fare da operetta per bigotti, i quali fanno la riserva indiana del dissenso tradizionalista non cogliendolo del tutto).
Mi stupisce molto che in questo clima di propaganda assordante non emerga un Bakunin pronto a dire che gli Stati sono tutti poco più che bande criminali di successo, che con i secoli si sono trasformate in classe dirigente. Gli Stati sono bande di predoni che ce l’hanno fatto.
Non esistono Presidenti buoni, esistono blocchi di interesse, gruppi in competizione a livello nazionale e internazionale; scelta saggia è scegliere una classe dirigente equa e preparata, avendo bene in mente che il bene di alcuni è il male di altri.
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