Il mito della “buona amministrazione” si basa sull’ideologia del fare e la presunta concretezza, ma per questo è il più condizionabile dalle scadenze elettorali.
La buona “buona amministrazione”
È stato detto e scritto così tante volte che occorre mettere in sicurezza il territorio che ogni affermazione in quella direzione suona oggi retorica, chiacchiera da grillo parlante.
Eppure non pochi esperti hanno dimostrato che ci sarebbero grandi vantaggi negli investimenti per le infrastrutture: vantaggi sia economici alimentati dall’edilizia, che idrici dal momento che avremmo necessità di recuperare l’acqua piovana per l’agricoltura, l’industria e l’uso domestico.
La mia impressione è che la politica sia concentrata solo in progetti a brevissimo termine.
Anche nella mitica Emilia-Romagna, che mitica non lo è da almeno vent’anni, regioni e comuni non sono in grado di elaborare grandi progetti se non sotto la spinta di forze esterne. Si tratta se ci pensiamo di un bel paradosso.
L’Emilia è la regione in cui è stato teorizzato e applicato il concetto della “buona amministrazione” slegata dalle zavorre dell’ideologia e orientata tutta verso il fare, l’intraprendenza, la presunta concretezza. Bonaccini è il campione di questa concezione postideologica.
Bisognerebbe ora avere il coraggio di ammettere che gli “amministratori” senza ideologia o, anzi, armati dell’ideologia “postideologica” sono i più facilmente orientabili dai potentati economici, sono i più dipendenti dal terrore delle scadenze elettorali, per cui agiscono come se fossero in una campagna elettorale perenne, e infine sono i culturalmente meno armati per comprendere le traiettorie storiche in cui si inseriscono i territori.
Ecco, dunque, quando sentite qualcuno elogiare la “buona amministrazione”, non abbiate paura di dargli del qualunquista.
*Per gentile concessione di Paolo Desogus