Il presidente di destra Guillermo Lasso ha dato vita ad un “mezzo golpe” in Ecuador, dissolvendo il parlamento che stava per destituirlo. Ad agosto le nuove elezioni potrebbero mettere ordine nel Paese.
Nelle scorse settimane, il parlamento di Quito aveva dato il via ad un processo di impeachment contro il presidente Guillermo Lasso, che avrebbe potuto portare alla sua destituzione. In carica dal 2021, Lasso è un imprenditore e banchiere fedele al credo neoliberista e all’obbedienza nei confronti degli Stati Uniti, come ha dimostrato in questi due anni alla guida dell’Ecuador. A metterlo sul banco degli imputati, l’accusa di appropriazione indebita per aver saputo di presunte irregolarità nelle società statali.
Mercoledì 17 maggio, si sarebbe dovuta tenere la sessione decisiva per il futuro di Lasso, in cui il parlamento avrebbe votato quasi sicuramente per la sua destituzione. Infatti, secondo i pareri raccolti dai media ecuadoregni, ben 92 deputati su 137 avrebbero espresso la loro intenzione di votare per l’impeachment del presidente. Secondo quanto dichiarato dalla deputata Viviana Veloz, tra i promotori della mozione di sfiducia, il contratto tra la società statale Flopec EP e Amazonas Tankers avrebbe causato danni allo Stato per oltre sei milioni di dollari. “Tutti questi fatti portano alla responsabilità politica del Presidente della Repubblica, siamo convinti che non solo conosceva e consentiva la corruzione, ma che ne faceva parte, violando le disposizioni dell’articolo 233 della Costituzione”, ha dichiarato Veloz.
Non preparato ad accettare la fine della sua presidenza, nelle ore successive Lasso ha deciso lo scioglimento del parlamento unicamerale di Quito. Il presidente ha giustificato la sua decisione spiegando di applicare l’articolo 148 della Costituzione, la cosiddetta “morte incrociata” che gli conferisce il potere di sciogliere l’Assemblea nazionale e chiedere la convocazione di elezioni legislative e presidenziali a causa della “grave crisi politica e disordini interni” che, a suo modo di vedere, il Paese sudamericano starebbe attraversando. Tuttavia, le tempistiche di questa decisione appaiono quanto meno discutibili, visto che lo stesso Lasso era oggetto della mozione di sfiducia da parte dell’organo legislativo. Inoltre, questo significa che per i prossimi mesi, fino allo svolgimento di nuove elezioni, Lasso potrà governare attraverso decreti presidenziali, senza far approvare le leggi dal parlamento.
In seguito alla decisione di Lasso, le forze dell’ordine hanno circondato l’edificio del parlamento impedendo l’ingresso a chiunque. Come da tradizione in molti Paesi sudamericani, infatti, le forze dell’esercito e della polizia si sono apertamente schierate a favore del presidente di destra e filostatunitense. I vertici militari hanno infatti avvertito che, in caso di atti violenti, agiranno “con fermezza per adempiere alla missione costituzionale di proteggere la vita, i diritti e le garanzie degli ecuadoregni“, un modo elegante per dire che sono pronti a reprimere qualsiasi forma di protesta.
La mossa del presidente Lasso ha naturalmente provocato la reazione indignata dell’opposizione, a partire dal movimento della Revolución Ciudadana, che fa riferimento all’ex presidente Rafael Correa, costretto all’esilio per via della persecuzione giudiziaria alla quale è stato sottoposto. Ma anche il Frente Popular di Nelson Erazo e il Partido Social Cristiano (PSC) hanno presentato le proprie rimostranze alla Corte Costituzionale. Secondo l’opposizione, infatti, il decreto sarebbe incostituzionale in quanto, al contrario di quanto sostenuto da Lasso, non ci sarebbe nessuna forma agitazione interna o crisi interna tale da giustificare lo scioglimento del parlamento. Semplicemente, il presidente Lasso si è sottratto al processo di impeachment.
L’ex presidente Rafael Correa, in carica dal 2007 al 2017, ha sottolineato che la decisione del presidente ecuadoriano di sciogliere l’Assemblea nazionale “non è costituzionale“. Il leader carismatico della Revolución Ciudadana ha spiegato che Lasso ha fatto riferimento a “gravi crisi politiche e disordini interni“, invocando l’articolo 148 della Costituzione, situazione che però “attualmente non sussiste” nel Paese sudamericano. Pertanto, Correa ha ritenuto che “Lasso sta violando la Costituzione“, ma ha anche precisato che l’aspetto positivo del provvedimento è che porta a nuove elezioni, poiché secondo lo stesso articolo devono essere indette le elezioni legislative e presidenziali entro sei mesi dallo scioglimento dell’organo legislativo.
Di fronte alle rimostranze delle opposizioni, la Corte Costituzionale di Quito ha deciso all’unanimità di respingere le domande di incostituzionalità presentate. “Nelle sei ordinanze emesse, si sottolinea che la Corte Costituzionale non è competente a pronunciarsi sull’accertamento e sulla motivazione della causa di grave crisi politica e di agitazione interna invocata dal presidente per sciogliere l’Assemblea nazionale in base all’articolo 148 della Costituzione“, si legge nella motivazione ufficiale.
Allo stesso tempo, è stato deciso che le nuove elezioni avranno luogo il prossimo 20 agosto, quando gli ecuadoregni saranno chiamati ad eleggere il nuovo parlamento e il nuovo presidente. Il Consiglio Elettorale Nazionale (CNE) dell’Ecuador ha infatti convocato ufficialmente le elezioni generali anticipate. Il comunicato del CNE precisa anche che i candidati eletti rimarranno in carica fino a maggio 2025, data in cui il presidente Guillermo Lasso e i membri dell’Assemblea Nazionale avrebbero dovuto concludere i rispettivi quadrienni. Secondo il calendario elettorale diffuso mercoledì sera, il periodo di registrazione delle candidature sarà dal 28 maggio al 10 giugno, mentre la campagna elettorale durerà solo dieci giorni, dall’8 al 17 agosto.
Secondo quanto emerso in queste ore, uno dei principali candidati alla presidenza del Paese dovrebbe essere Leonidas Iza, presidente della Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador, Conaie). Tra gli altri candidati potrebbero figurare un altro leader indigeno, Yaku Pérez, l’uomo d’affari Daniel Noboa, l’ex deputato Fernando Villavicencio, l’uomo d’affari Jan Topic e l’ex vicepresidente Otto Sonnenholzner, questi ultimi tre legati all’ex presidente Lenín Moreno.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog