L’Italia ha revocato le limitazioni all’export di bombe e missili verso l’Arabia Saudita, disposte dal governo Conte I per prevenirne l’utilizzo nella guerra in Yemen. La decisione è stata ufficializzata durante l’ultimo Consiglio dei Ministri, tra disposizioni per “valorizzare il Made in Italy” e modifiche al codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Palazzo Chigi “ha attestato che l’esportazione di bombe e missili verso l’Arabia Saudita non ricade nei divieti di esportazione stabiliti dall’articolo 1, commi 5 e 6, della legge 9 luglio 1990, n. 185, essendo conforme alla politica estera e di difesa dell’Italia”. Un’interpretazione del diritto destinata a far discutere, sia per lo scenario bellico persistente in Yemen sia per le politiche condotte da Riad.

La guerra in Yemen è uno dei tanti conflitti dimenticati dall’Occidente, nonché tra i più sanguinari della storia recente: tra marzo 2015 e settembre 2021, nel Paese si sono registrati circa 10 attacchi aerei al giorno, che hanno causato l’uccisione o il ferimento di oltre 18.000 civili. Nel 2014, il movimento ribelle musulmano sciita Houthi prese il controllo della capitale costringendo il presidente Abdrabbuh Mansour Hadi all’esilio; qualche mese dopo, nel marzo 2015, il conflitto si internazionalizzò attraverso la partecipazione della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, che si schierò a favore del presidente Hadi bollando le forze Houthi come dei terroristi sostenuti dall’Iran.

Nell’estate del 2019 il governo Conte I decise di sospendere la vendita di bombe aeree e missili, oltre alla loro componentistica, ad Abu Dhabi e Riad a causa dei crimini di guerra commessi contro la popolazione civile yemenita. Venne stabilita inoltre la clausola end-user certificate (Euc) rafforzata, che consisteva sostanzialmente in un impegno dei due Paesi a non usare le armi (esclusi missili e bombe d’aereo, già colpite dalla sospensione) acquistate dall’Italia nel conflitto in Yemen. Nel 2021, il Conte II decise di revocare definitivamente le autorizzazioni sospese due anni prima, cancellando diverse licenze concesse dal governo Renzi all’Arabia Saudita nel 2016. Tra queste, figurava la licenza MAE 45560 relativa a quasi 20mila bombe aeree della serie MK per un valore di oltre 411 milioni di euro.

Nell’estate del 2021, il governo Draghi decise di eliminare la clausola end-user certificate (Euc) rafforzata, lasciando in vigore il divieto di esportazione di bombe aeree e missili. Una decisione facilmente ricollegabile al tentativo di riallacciare i rapporti con i ricchi Paesi del Golfo che si erano deteriorati nei mesi precedenti, complice la stretta commerciale. Si pensi allo sfratto disposto il 2 luglio 2021 dagli Emirati Arabi nei confronti dei militari italiani di stanza ad Al Minhad, in una base utilizzata dal 2003 per le missioni in Afghanistan, Kuwait e Iraq. Due anni dopo, il governo Meloni ha raccolto l’eredità dell’Agenda Draghi e ha revocato tutte le limitazioni all’export di armi prima verso Abu Dhabi e poi verso Riad. Nel comunicato stampa, Palazzo Chigi afferma che le motivazioni alla base delle limitazioni imposte tra il 2019 e il 2021 “sono oggi venute meno”. Dopo aver elogiato l’Arabia Saudita “per aver portato avanti una intensa attività diplomatica a sostegno della mediazione delle Nazioni Unite e al contempo ha agito anche sul fronte economico e dell’assistenza umanitaria in maniera determinante”, il governo ha parlato di una “mutata situazione del conflitto”. Il riferimento è ai tentativi di dialogo verificatisi lo scorso aprile tra le parti, quando, complice l’avvicinamento diplomatico tra Riad e Teheran su mediazione di Pechino, una delegazione saudita ha incontrato i ribelli Houthi nella capitale yemenita Sana’a. Ad oggi però i negoziati versano in una fase di stallo e le varie fazioni continuano a combattere, allontanando la pace.

A smuovere l’indirizzo politico di Palazzo Chigi è stata la volontà di rafforzare le relazioni bilaterali con Arabia Saudita ed Emirati in una regione sempre più cruciale per l’Italia, alla ricerca di un maggior peso nel “Mediterraneo allargato” e della diversificazione energetica in seguito alle sanzioni a Mosca per l’invasione dell’Ucraina. A febbraio, il ministro della Difesa Guido Crosetto si è recato ad Abu Dhabi per rilanciare la «cooperazione bilaterale nei settori della difesa e della sicurezza». Temi trattati anche durante il colloquio telefonico tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il principe ereditario saudita, Mohamed bin Salman, accusato tra le altre cose di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. La riunione tra i due è stata preceduto dalla missione diplomatica del capo di Stato maggiore saudita, Fayyad bin Hamed al Ruwaili, in Italia. Il 27 gennaio scorso, Al Ruwaili ha dialogato con Crosetto su come rafforzare la cooperazione militare e di difesa. Inoltre, c’è stato tempo per la visita ad alcuni vertici militari italiani, come Giuseppe Cavo Dragone e Francesco Paolo Figliuolo, e alle sedi delle imprese Fincantieri e Leonardo, dove ad Al Ruwaili sono stati presentati i prodotti militari italiani.

L’ultima decisione del governo solleva non pochi dubbi di legittimità nei confronti della legge 9 luglio 1990, n. 185, che in Italia disciplina il commercio delle armi. Secondo l’articolo 1 della norma, citata anche da Palazzo Chigi nell’ultimo comunicato stampa, “l’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato” […]; “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa”. Nell’estate del 2021, proprio quando il governo Draghi allentò le limitazioni verso i Paesi del Golfo, il Parlamento europeo approvò una risoluzione in cui condannava l’Arabia Saudita per l’uso della pena di morte e “per il modello di dure pene detentive”. Nel 2022, Riad ha realizzato 196 esecuzioni, confermandosi come secondo Paese in questa triste classifica, dietro soltanto all’Iran che l’anno scorso ha condannato a morte 576 persone.

[di Salvatore Toscano]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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