di Fabrizio Poggi per l’AntiDiplomatico
Al secondo vertice del relativamente nuovo carrozzone chiamato Comunità politica europea che, oltre ai paesi UE, riunisce anche Gran Bretagna, Azerbaijan, Armenia, Islanda, Ucraina, Moldavia, Turchia e Georgia, e che si è tenuto il 1 giugno alla ex fattoria e ora “castello Mimi”, non lontano da Kišinëv, è intervenuto anche Vladimir Zelenskij: ancora per chiedere soldi e armi, in particolare caccia F-16. Ma non solo.
Ha sentenziato che tutti i paesi europei che confinano con la Russia, devono entrare in UE e NATO: non abbiamo scelta, ha detto il nazi-golpista capo, «o la guerra aperta, o un’occupazione passo dopo passo. Vediamo cosa accade in Bielorussia e Georgia». Su questa linea, ha anche preteso di venire a capo della situazione in Transnistria, in cui continuano a stazionare «gli aggressori russi».
Ma, al nocciolo dei discorsi, Zelenskij ha chiesto di nuovo che il vertice NATO di luglio a Vilnius decida l’ingresso dell’Ucraina nell’alleanza, e ha anzi “minacciato” di non andare nella capitale lituana senza aver ricevuto preventive «concrete garanzie di sicurezza e una road map di adesione» all’Alleanza atlantica. Questo, nonostante abbia lui stesso dovuto riconoscere che le speranze per Kiev «si fanno sempre più aleatorie». L’ammissione è venuta dopo che, per la seconda volta (la prima, era successo al recente vertice della Lega araba), Zelenskij ha notato che alcuni dei presenti non portavano gli auricolari per la sincronizzata, pur non conoscendo la lingua ucraina: «Non avete traduzione e non capite? Grazie per essere con noi», ha recitato sconsolato lo showman. D’altronde, rispondendo indirettamente sia a Zelenskij, che a Joseph Borrell, che ha di nuovo farfugliato dell’ingresso della Moldavia nella UE, il presidente rumeno Klaus Johannis ha suggerito a Kiev e a Kišinëv di non farsi troppe illusioni su un prossimo ingresso, dal momento che «le procedure sono molto complesse e può aversi l’impressione che non si concludano mai».
Tutto ciò, in coppia con le precedenti parole di Jens Stoltenberg, secondo cui la Nato non ha assunto alcuna decisione sulle garanzie di sicurezza all’Ucraina, dato che, per questo, è necessario che il regime di Kiev conquisti la vittoria nel conflitto, rappresenta «uno schiaffo» per Zelenskij, scrive l’osservatore della russa Vzgljad, Vasilij Stojakin; ma non significa affatto la perdita di ogni speranza di futura adesione a UE e NATO, forse con il successore dell’attuale golpista-capo. In ogni caso, la NATO non ha fretta e, indipendentemente dalle sbandierate “garanzie” offerte a Kiev, il succo della questione è dato dagli obblighi reciproci e da quella che appare come una “dipendenza” dal furfantesco (non parliamo della sua natura neo-nazista che, per l’Alleanza atlantica, è “garanzia” di ordine liberal-democratico) regime di Kiev. E una tale “dipendenza” è già da tempo visibile; tanto che, a parere di Stojakin, «in questo senso, la NATO ha più paura dell’Ucraina che della Russia».
Russia, per la quale, in sostanza, non fa molta differenza se l’Ucraina sia o meno membro NATO: per dislocare missili americani a Khar’kov non c’è stato bisogno dell’ingresso di Kiev nell’Alleanza: per ora, però, quei missili non portano testate nucleari e, formalmente, sono “ucraini”. Importante per Mosca è che, a Khar’kov, non vi siano missili “con targa” americana.
Intanto, però, la questione principe all’ordine del giorno è quella dei caccia F-16 e, in questi giorni, alle considerazioni del Segretario all’aeronautica USA, Frank Kendall, o del politologo americano Stephen Brien, oppure del capo degli Stati Maggiori riuniti Mark Milley, si aggiungono quelle esposte da Brynn Tannehill, ex pilota della Marina USA e ora analista per la RAND Corporation. Secondo la Rand, la pretesa di Washington di addestrare piloti ucraini per gli F-16 in un tempo record di quattro mesi è quantomeno dubitativa. Ma, soprattutto, afferma Tannehill, i piloti non sono l’unico fattore di utilizzo di tali velivoli: al momento, Kiev «non è in grado di utilizzarli, assicurarne la manutenzione e l’efficienza». La catena di approvvigionamento prevede la possibilità di assicurare pezzi di ricambio in quantità adeguata, mezzi e fondi per uso degli aerei e loro manutenzione, addestramento di personale e, soprattutto, costante fornitura di armamenti specifici per F-16.
Tutto questo, afferma Tannehill, significa che «la situazione è molto più complicata del semplice addestramento di piloti ucraini e la consegna di alcuni F-16 fortemente obsoleti»; perché, è noto che i paesi che forniranno tali velivoli a Kiev, a partire dall’Olanda, lo faranno per sbarazzarsi di vecchie versioni di F-16 e acquisirne di moderne. Inoltre, dice l’ex pilota, «Senza piani di supporto, questi velivoli, andrebbero rapidamente fuori uso e si trasformerebbero in bersagli immobili per i missili aria-terra russi. L’Ucraina probabilmente non sarà in grado di schierare operativamente F-16 fino alla fine dell’anno, se non più tardi».
L’F-16, dice ancora Tannehill, è stato «progettato per consentire all’aviazione USA di vincere quella russa. Bisogna però ammettere che i nostri aerei sono inferiori agli aerei d’epoca sovietica in servizio alle forze armate ucraine e sono un obiettivo da ragazzi per i caccia russi».
Tannehill si dice convinto che i velivoli ucraini non abbiano chances contro i MiG-31 e Su-35 russi, che sono in grado di intercettare e colpire gli F-16 ucraini, prima ancora che i piloti ucraini possano individuarli: «vecchi Su-27 e MiG-29 d’epoca sovietica, o vecchi F-16 non possono mutare l’equilibrio delle forze a favore dell’Ucraina».
Secondo la Rand, uno dei possibili impieghi degli F-16 da parte ucraina, potrebbe essere quello di servirsene quali vettori di missili americani JASSM, oltre ai britannici Shadow Storm e tedeschi TAURUS, oppure come rinforzo della difesa antiaerea, vista la non brillante figura fatta sinora dai “Patriot”. Altra variante ipotizzata da Tannehill, è quella della fornitura al regime nazi-golpista, oltre agli F-16, anche di F-22, considerato il passaggio dell’aviazione yankee agli F-35.
Quello che la Rand ipotizza come elemento del tutto “naturale”, sarebbe la dislocazione degli F-16 forniti a Kiev, in aeroporti di paesi NATO, come ad esempio Polonia o Romania, da cui decollerebbero per attaccare la Crimea, facendovi poi ritorno. Per questo motivo, osserva Vladimir Karasëv su News Front, Mosca potrebbe considerare «del tutto normale prendere in considerazione il lancio di russi “Kinžal” dal territorio russo per attaccare aeroporti militari NATO in Polonia e Romania. L’importante è che poi la NATO non domandi: e noi che c’entriamo?