Sulla “fascia verde” romana
In una ordinanza sindacale del sindaco Gualtieri, giustamente osteggiata dai cittadini romani, si trova en passant una confessione sintomatica dei reali interessi delle Istituzioni circa la salvaguardia del proprio bene pubblico: nell’ambito delle assurde limitazioni al traffico volte a ridurre le emissioni inquinanti in territorio romano – sulla relazione tra mobilità privata ed effettiva capacità di inquinamento rimando alle evidenze raccolte da Eugenio Pavarani su queste stesse pagine – si trova ad un certo punto questa considerazione, assai degna di nota: «[…] occorre tutelare prioritariamente la salute della popolazione, avendo un riguardo particolare per i soggetti maggiormente a rischio (bambini, donne in gravidanza, persone anziane, […] fumatori […])» (O.S. n°27 del 28 feb.2023)[1]. Tutelare la salute dei fumatori è un giro di boa verso l’ammissione spudorata dei propri interessi impliciti, cioè sulla selezione arbitraria dei pericoli che l’Istituzione sceglie, di volta in volta, di capitalizzare. Non sono mai la reale “sicurezza” o la “salute” o il vero “benessere” di qualcuno o qualcosa che il Potere col suo operato vuole preservare o migliorare: è piuttosto la sicurezza di un certo profitto che viene anzitutto perseguita – ne ho parlato più diffusamente qui –, e ciò per esempio tanto da un punto di vista ambientale (la transizione green ne è del resto un caso esemplare) quanto da quello della salute individuale (si pensi all’acquisto quantomeno sovradimensionato – oltre che, dati alla mano, inutile se non dannoso – dei “vaccini” Covid-19). Tali fumatori allora, in questo contesto, sono da preservare in quanto anzitutto consumatori, nella misura in cui apportano cioè direttamente alle casse dello Stato un profitto ingente e continuativo (14 miliardi circa nel 2021[2]), rinsaldando per giunta quel legame imprescindibile tra grandi capitali privati da un lato (la lobby del tabacco in questo caso) e amministrazione pubblica dall’altro. Il punto allora è che, posta sul tavolo una questione (per esempio: quella dell’inquinamento) il Potere travisa sempre volontariamente il plesso centrale del discorso, per portarlo tacitamente lì dove può generare dei profitti. Se la questione da affrontare è quella dell’inquinamento, come dichiarato con forza dalla giunta capitolina, ebbene allora c’è solo un mito da destrutturare completamente: come scrisse Guy Debord in un breve testo del 1971, l’inquinamento dimostra anzitutto «[…] l’impossibilità della continuazione del funzionamento del capitalismo»[3].
Cosa significa combattere, in questo caso, il modus operandi del capitalismo? Significa non cedere alle lusinghe di un prodotto raffinato, preconfezionato ed industriale quantomeno ogniqualvolta sia possibile, con le proprie capacità, bypassare la filiera produttiva che lo immette sul mercato, per giunta migliorandone se possibile la qualità o l’efficienza. Allora, a quella che spererei essere una boutade di Gualtieri, vorrei rispondere con una provocazione – ma una provocazione molto realistica (a differenza della sua ordinanza) –. Se la giunta capitolina incominciasse a seminare a spaglio (che non vuol dire coltivare!) nei parchi cittadini o nelle aiuole pubbliche del tabacco – o ad incentivarne l’autoproduzione individuale nei fumatori, visto che la sua coltivazione è, oltre che molto facile, anche del tutto legale (D.L. 30 novembre 1970, n.870) –, puntando quindi ad abbattere il suo acquisto attraverso la filiera monopolistica, ebbene metterebbe a disposizione dei fumatori non solo un prodotto di ottima qualità, ma che per giunta mitigherebbe enormemente le regole malsane proprie del capitale (tra cui, ça va sans dire, quelle che dichiarano di non poter proprio prescindere da un certo inquinamento nella produzione della merce). Infatti, con questo semplice gesto di rendere disponibile a chiunque una certa materia prima, verrebbero abbattuti le sterminate monocolture in competizione con la biodiversità locale, la produzione e l’utilizzo ingente di prodotti chimico derivati (fertilizzanti, pesticidi, ammendanti, diserbanti), l’uso di macchine agricole altamente impattanti e le annacquature dispendiose quantomeno di risorse idriche; e poi la lavorazione primaria del prodotto in catene industriali energivore (controllo, selezione, pulizia, essicatura, stagionatura), tutte le lavorazioni secondarie (rollatura, impacchettamento, confezionamento), così come la filiera dello stoccaggio, del trasporto e quella della sua distribuzione. Tutto questo enorme percorso, in cui viene utilizzata una quantità spropositata di energia, verrebbe immancabilmente meno, azzerando concretamente sul nascere una quantità elevatissima di inquinanti. La provocazione in fin dei conti è la seguente: tra la produzione, l’acquisto, la rottamazione di 700 mila macchine – sembrerebbe essere questo, largo circa, il numero di autovetture che entro il 2024 non potranno più circolare nella nuova Fascia Verde romana[4] – e il tentativo di interruzione della filiera industriale del tabacco, qual è la soluzione più salubre, meno impattante a livello ambientale, quella cioè che tutela realmente, come firma Gualtieri, bambini e fumatori?
È questa la grande ipocrisia delle Istituzioni: parlare delle soluzioni ad un determinato problema trattando le prime come le uniche possibili ed il secondo come il solo rilevante. «E tutti collaborano per considerare tale questione [aggiungo: non importa mai quale] come se fosse la più scottante, quasi l’unica, fra tutti gli spaventosi problemi che una società non risolverà»[5]. “Soluzioni” e “problemi” sono trattati da una prospettiva eminentemente (se non unicamente) economica – cosa, questa, che riduce ancor più lo spazio d’azione e le possibilità d’intervento, rendendole per giunta tutt’altro che disinteressate e molto “politiche” –. Sembrerebbe cioè che non possano esistere “soluzioni” che non mettano in gioco grandi movimentazioni di capitali, ma è solo una spettacolare pantomima per celare la propria ingordigia sotto un velo di filantropismo: «I padroni della società sono ora costretti a parlare dell’inquinamento, sia per combatterlo […], sia per dissimularlo […]. Il settore più moderno dell’industria si lancia su diversi palliativi dell’inquinamento come su di un nuovo sbocco»[6]. Così che attraverso quello che parrebbe essere un gioco di prestigio, anche l’inquinamento – effetto collaterale di una economia malata – diventa magicamente capitalizzabile. Tuttavia, ogniqualvolta si prospetta una soluzione “di profitto” – come nel caso dell’ordinanza sopracitata o, più in generale, di tutta la transizione green – si può star certi che gli interessi in ballo impediscano soluzioni lungimiranti: «Il fatto è che qualunque cosa facciamo la situazione peggiora sempre. Più sono elaborate le soluzioni e più complicati diventano i problemi»[7].
[1]https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/O.S._n._27_del_28_febbraio_2023.pdf
[2]Agenzia Dogane e Monopoli, Libro Blu 2021 – Appendice – https://www.adm.gov.it/portale/documents/20182/77358098/ADM_Libro+Blu+2021_v.13.3+-+Appendice.pdf/1ad0d6b3-a02e-9ae1-7b1e-d866b3389548?t=1666794769624#page=61 (Cfr. p.59, Tabella a IX.26 – Introiti Tabacchi da IVA e accisa).
[3]G. Debord, Ecologia e Psicogeografia, Eleuthera, Milano 2021, p.109.
[4]V.Casolaro, “Nuova ztl di Roma: un altro esempio di transizione ecologica fatta pagare ai più deboli”, L’Indipendente (16/05/2023) https://www.lindipendente.online/2023/05/16/nuova-ztl-di-roma-un-altro-esempio-di-transizione-ecologica-fatta-pagare-ai-piu-deboli/
[5]G.Debord, op.cit. p.125.
[6]G.Debord, op.cit. p.112.
[7]M.Fukuoka, La rivoluzione del filo di paglia. Un’introduzione all’agricoltura naturale, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2008, p.104