Cariche della polizia a Genova, luglio 2001 (Foto di Ares Ferrari, Wikimedia Commons)
In queste ultime settimane le cronache si sono soffermate su una serie di casi di violenze perpetrate su cittadini e cittadine inermi. Ultima vicenda a Verona, dove numerosi poliziotti si accanivano su immigrati e non solo. Nonostante questo c’è ancora chi parla di “mele marce”, come se questa sequenza impressionante fosse casuale, tenendo presente gli episodi che per varie ragioni non vengono alla luce.
In realtà bisognerebbe capire che ormai ci troviamo di fronte ad un vero e proprio modello che ha avuto il suo battesimo nelle giornate genovesi del G8 2001. Le violenze contro gli emarginati è una peculiarità che ha sempre contraddistinto le forze di polizia, che la vittima di turno fosse una manifestante picchiato in piazza, fermato e poi portato in carcere e magari lasciato a morire, (vedi Franco Serantini a Pisa nel maggio 1972) o il “vagabondo” senza fissa dimora. Ma la sensazione è che la nota “macelleria italiana” di 22 anni abbia impresso una svolta, sia diventata un modello da perseguire nella quotidianità, nelle grandi città come nelle località di provincia. La sostanziale impunità che fu garantita allora, impunità che è una costante in quasi tutti i fatti di cronaca politica e non con protagonisti i cosiddetti tutori dell’ordine, è oramai un salvacondotto per chi si macchia di crimini dove si dispiega il peggio della natura umana.
In questi anni non c’è stato governo, espressione di qualsiasi schieramento politico, che abbia avuto il coraggio di mettere mano a reali percorsi in grado di affrontare la questione, a partire dal riconoscimento di poliziotti e carabinieri in servizio di ordine pubblico, fino ad un processo reale di democratizzazione delle forze di polizia. Processo che visse una breve stagione intorno al 1976, grazie alla spinta che negli anni precedenti era venuta dai movimenti democratici dei soldati e dei militari soprattutto dell’esercito, ma con una durata effimera, soffocato dalle vicende del 1977 e soprattutto dalla svolta provocata dal terrorismo di sinistra con il rapimento e l’uccisione di Moro e della sua scorta.
La nascita del sindacato di polizia non ha assolutamente prodotto un netto cambio di direzione, dato che quasi sempre le organizzazioni in questioni si cimentano in difese d’ufficio, o nel migliore dei casi alzano una flebile voce senza conseguenze. A volte, come accadde dopo le giornate genovesi, qualcuno dall’interno rompe il muro di omertà denunciando pubblicamente le nefandezze. Se la misura è colma, come a Verona, si interviene portando allo scoperto il marciume, ma al di là dell’indignazione ipocrita e pelosa degli organi di informazione e della classe politica, poi nulla cambia.
Del resto la mancata “costituzionalizzazione” degli apparati dello Stato è una lunga storia iniziata dopo la caduta del regime fascista e la relativa mancata epurazione di tutti i funzionari compromessi con il regime mussoliniano. Una piaga che ci siamo portati dietro per decenni, di generazione in generazione, fino ad oggi.
Dato l’attuale schieramento politico al governo un’inversione di tendenza è da escludere, anzi ci si sente ancora più garantiti e coperti. All’associazionismo sociale e democratico, a quei pochi organi di informazione fuori dal circuito mainstream, ai singoli giornalisti intellettualmente onesti, alle sparute sensibilità presenti dentro i corpi di polizia, il compito di continuare a denunciare e vigilare.