Il 12 giugno la Direttrice Generale dell’UNESCO, Audrey Azoulay, ha annunciato ai 193 Stati Membri che gli Stati Uniti d’America le hanno inviato una lettera in cui dichiarano di voler rientrare nell’Organizzazione, a partire da luglio del 2023. Il Paese aveva deciso di abbandonarla nel 2018, durante la presidenza di Donald Trump, per via di alcuni screzi dovuti sia a questioni economiche che (soprattutto) politiche: gli USA contestavano all’UNESCO, agenzia delle Nazioni Unite creata con lo scopo di promuovere la pace e la comprensione tra le nazioni, di comportarsi in maniera ostile nei confronti di Israele. Anche quest’ultimo, nello stesso anno, era uscito dall’Organizzazione dopo la decisione di dichiarare la città di Hebron, in Cisgiordania, Patrimonio Mondiale dell’Umanità – un luogo caro anche alla tradizione ebraica.

Oltre a ricomparire tra le fila degli Stati membri, gli USA torneranno a sostenere economicamente l’UNESCO dopo uno stop sancito nel 2011, deciso durante la presidenza di Barack Obama. In quell’anno, dopo l’ingresso della Palestina nell’Organizzazione, il Paese a stelle e strisce decise di tagliare i fondi – pur rimanendo all’interno del gruppo. Per le Nazioni Unite si tratta di un’ottima notizia, visto che l’operato del suo gruppo necessita dei fondi statunitensi: d’altronde gli USA si sono detti pronti a stanziare per il 2024 150 milioni di dollari, così da coprire la propria quota annuale e cominciare contemporaneamente a pagare gli arretrati accumulati in questi anni – circa 620 milioni di dollari.

Ma per quale motivo il Paese attualmente guidato da Joe Biden ha deciso di fare marcia indietro? Nel comunicato si legge che il merito è principalmente del lavoro svolto da Audrey Azoulay, Direttrice dell’Organizzazione ed ex ministra della Cultura francese, entrata in carica proprio nel 2017. Da allora «abbiamo notato gli sforzi per attuare riforme chiave nell’amministrazione e nella gestione, nonché la preoccupazione di ridurre i dibattiti politicizzati, in particolare su questioni relative al Medio Oriente» ha scritto Richard Verma, vice segretario di Stato per la gestione e le risorse degli Stati Uniti.

La verità però è un’altra – o perlomeno non è completa se si tiene solo conto di quanto detto fino ad ora. La decisione di rientrare nell’Organizzazione è molto probabilmente dettata dal tentativo americano di arginare l’eccessivo rafforzamento dell’influenza della Cina, ad oggi il Paese che più contribuisce al sostentamento economico dell’UNESCO. E che quindi per via del proprio peso economico potrebbe permettersi di mettere bocca su queste o quelle questioni e di ricoprire un ruolo decisivo in certe decisioni o su certi temi – come tecnologia e intelligenza artificiale.

È in realtà piuttosto certo che la motivazione principale sia questa, per via di una serie di esternazioni fatte da alcuni funzionari statunitensi. Lo scorso marzo, ad esempio, John Bass, Sottosegretario di Stato, si era rivolto ai suoi colleghi sostenendo che l’assenza degli Stati Uniti dall’UNESCO ha rafforzato la Cina e «minaccia la nostra capacità di essere altrettanto efficace nel promuovere la nostra visione del mondo». A suo parere l’Organizzazione è fondamentale per «stabilire e plasmare gli standard per l’insegnamento della tecnologia e delle scienze in tutto il mondo, quindi se prendiamo davvero sul serio la competizione dell’era digitale con la Cina non possiamo permetterci più di essere assenti».

Se la procedura sarà convalidata dagli Stati membri, gli USA faranno ritorno nel gruppo già dal prossimo mese.

[di Gloria Ferrari]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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