Sono già 264 le persone che nei primi quattro mesi del 2023 hanno perso la vita a causa del proprio lavoro. In media 16 a settimana. Una cifra che secondo il Centro Studi della Confederazione sindacale Unitaria di Base (Cub), che ha diffuso i dati, “è fortemente in difetto”. Le ultime vittime si sono susseguite una dietro l’altra nel giro di neppure ventiquattro ore, a poca distanza l’una dall’altra.
A Castegnato, in provincia di Brescia, Sami Macakulli è precipitato giù dritto per 45 metri dal traliccio a cui si era appeso per effettuare alcuni lavori di manutenzione. Il ventitreenne è praticamente morto sul colpo, sotto lo sguardo incredulo dei colleghi della ditta privata per cui lavorava. Pare che il ragazzo fosse legato alla struttura con un grosso cavo, che però poi ha ceduto.
A pochi chilometri di distanza la stessa sorte è toccata a Tiziano Pasquali, sessantenne originario di Piove di Sacco (Padova), schiacciato da un mezzo pesante operante nei cantieri tra Desenzano del Garda e Brescia della A4, mentre era impegnato in un intervento sotto un cavalcavia. Anche Angelo Aleo è morto in un incidente verificatosi in un cantiere, questa volta edile. L’operaio cinquantaseienne, di Acireale, è morto dopo una caduta da tre metri di altezza mentre stava lavorando alla realizzazione del solaio di un edificio per abitazione civile, a Misterbianco (Catania).
Non ce l’ha fatta neppure Pasquale Cosenza, morto dopo la caduta del 9 giugno da un’altezza di circa 10 metri. L’uomo è precipitato dal tetto di un’azienda di Pastorano (in provincia di Caserta) su cui era salito per montare dei pannelli fotovoltaici. Tra le vittime delle ultime ore ci sono anche Giovanni e Filippo Colapinto, rispettivamente padre e figlio di 81 e 47 anni, morti durante l’ispezione e la pulizia di una cisterna di vino a Gioia del Colle (in provincia di Bari). Le prime ricostruzioni dicono che il figlio sia caduto per primo all’interno del ‘pozzo’, probabilmente perché intossicato e stordito dalle esalazioni di anidride carbonica. Il padre, che avrebbe cercato di salvarlo, sarebbe poi caduto a sua volta.
Perché sono ancora così tante le persone che in Italia muoiono sul posto di lavoro?
Secondo Walter Montagnoli, membro della segreteria nazionale della CUB, il motivo è che «manca una seria cultura della sicurezza sul lavoro, mancano soprattutto severi e capillari controlli sul rispetto delle normative di legge» e «manca la volontà politica di arginare una volta per tutte questa strage quotidiana». Una piaga che in realtà affligge anche molti altri Paesi europei.
Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea, tenendo conto del numero di infortuni in rapporto alla popolazione occupata e dei vari settori in cui questi si verificano, dice che nel continente nel 2020 ci sono stati 1.446 infortuni non fatali e 2.1 fatali ogni 100mila lavoratori – in quest’ultima classifica l’Italia è undicesima, con 3 morti ogni 100mila occupati (dati elaborati da Openpolis). Numeri che, in entrambi i casi, negli ultimi dieci anni (in media) si sono abbassati nella maggior parte degli stati membri.
Una buona notizia sì, ma non sempre veritiera, visto che, come sottolinea Eurostat, alcune cifre potrebbero risultare particolarmente basse per via di un sistema di denuncia poco sviluppato. Molte vittime potrebbero ad esempio decidere di non dichiarare il proprio incidente perché scoraggiate, come spiega Openpolis, “da una scarsità di incentivi finanziari oppure da leggi meno rigide nei confronti dei datori di lavoro” – ovviamente solo nel caso di incidenti non mortali. Secondo Montagnoli «l’approvazione del reato di ‘omicidio sul lavoro’, che preveda la chiusura delle aziende ove siano avvenuti decessi per l’incuria nel rispetto delle normative sulla sicurezza», potrebbe contribuire ad abbassare ulteriormente le statistiche.
«Auspichiamo che il Governo voglia seriamente valutare questa proposta, a fronte di una situazione che riteniamo vergognosa per un Paese che si voglia definire moderno e civile».
[di Gloria Ferrari]