(Foto di Di Werner Co. – Questa image è disponibile presso la Divisione Stampe e Fotografie (Prints and Photographs Division) della Biblioteca del Congresso)

 – Carlo Bellisai

Il 25 giugno prossimo saranno passati 167 anni dalla battaglia del Little Big Horn, ormai quasi secoli di Storia. Il 25 giugno del 1876 si concludeva un’accanita battaglia che vedeva le nazioni indiane Lakota Cheyenne e Arapajo unite contro l’esercito degli Stati Uniti d’America. La ricostruzione storica ci narra che questa battaglia segnò l’apice di una guerra già in atto da anni fra le tribù indiane delle praterie e i “visi pallidi”, nota come guerra delle Black Hills. Su queste colline, considerate territorio sacro dai Lakota, erano presenti minerali preziosi, tra cui oro e argento. Una tentazione troppo forte per gli speculatori e affaristi del proto-capitalismo nordamericano. Venne fatto di tutto per provocare i nativi americani e costringerli ad impugnare le armi. La violazione dei loro territori sacri da parte di bande organizzate e disperati cercatori d’oro, l’abbattimento indiscriminato dei bisonti, che costituivano il principale nutrimento degli indiani, riuscirono nell’intento.

Ma per l’esercito statunitense non era facile, perché i guerrieri usavano tattiche di guerriglia, sottraendosi ad uno scontro in campo aperto che, vista la superiorità tecnica delle armi in mano ai bianchi, li avrebbe visti soccombere. Quando infine il governo di Washington affidò al generale Custer l’incarico di sgombrare il campo dalla fastidiosa presenza dei nativi, le nazioni indiane della prateria si unirono in alleanza e prepararono la trappola. Dopo aver annientato le ali dell’esercito avversario, che intendevano circondare il loro accampamento, gli indiani attirarono Custer nella vallata sotto il Little Big Horn. Si stima che in quella battaglia morirono poco meno di trecento soldati, assieme al loro generale. Fu il più eclatante disastro militare delle guerre indiane. Ma anche il canto del cigno dell’opposizione ai conquistatori. Solo quattro anni dopo, infatti, nel dicembre del 1890, fu eseguito quel famoso ordine di sgombrare il territorio e, col massacro di Wonded Knee, le nazioni indiane resistenti furono definitivamente sconfitte e confinate nelle riserve.

Perché ricordare questa data così lontana? Innanzitutto perché non viene più ricordata, neppure in America, perché le piccole, grandi sconfitte della “civiltà” contro i “selvaggi”, per la narrazione pubblica, vanno dimenticate. Ce ne sono state di troppe più recenti, dal Vietnam all’Afganistan, per imbarazzare l’opinione pubblica sui racconti della bisnonna.

In secondo luogo perché quella momentanea sconfitta ha determinato l’annientamento delle resistenze indiane e quindi può ricordare, alla pari dei massacri e delle discriminazioni, perpetrati anche attraverso i virus e l’alcool, il genocidio perpetrato.

Perché la Storia va ricordata e soprattutto quella degli oppressi, che troppo spesso viene cancellata da chi pretende di ergersi a paladino della democrazia

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: