“Il 34 per cento dei detenuti entra in carcere per possesso di droga. Quasi il doppio della media dei Paesi dell’Unione europea (18 per cento)”. È solo uno dei dati emersi dalla nuova edizione del Libro bianco, un rapporto indipendente sul modo in cui il Testo Unico sugli stupefacenti impatta sul sistema penale, sui servizi, sulla salute delle persone che usano sostanze e sulla società, realizzato da associazioni e sindacati.
Il documento, che non a caso quest’anno è intitolato La traversata del deserto – a evidenziare la difficile situazione politica italiana su argomenti come questo – ha canalizzato la sua attenzione principalmente sul tema delle presenze in carcere per effetto della legge sulle droghe. I dati dicono che 9.961 (il 26,1%) dei 38.125 ingressi in carcere nel 2022 sono stati causati dall’art.73 del Testo unico. Di che si tratta?
Nel nostro ordinamento giuridico la detenzione di sostanze stupefacenti è sanzionata dal DPR n.309/1990, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. Questo, al suo interno, contiene due articoli particolarmente rilevanti quando si parla di droghe e galera: il 73, per il caso di detenzione ai fini di spaccio e il 75, per il caso di detenzione al fine di utilizzo personale. Il primo, in particolare, recita così: “Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000”.
Il risultato è che, alla fine, oltre un quarto dei detenuti entra in carcere per possesso di sostanze, il 34% è dietro le sbarre per il solo art. 73 del Testo unico e quasi la metà di chi finisce in cella usa droghe.
In altre parole, senza detenuti per art. 73 o tossicodipendenti non si avrebbe sovraffollamento nelle carceri, come evidenziato dalle simulazioni prodotte.
Per non parlare dei processi, che subirebbero una netta diminuzione. I dati, fermi al 2021, dicono che le persone coinvolte in procedimenti penali pendenti per violazione dell’articolo 73 e 74 sono rispettivamente 186.517 e 45.142, e che 7 procedimenti su 10 terminano con una condanna.
Al momento, sotto il comando dell’attuale Governo, l’atteggiamento proibizionistico non sembra poter essere abbandonato. In concomitanza con l’uscita del Libro Bianco, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni interveniva all’evento organizzato in occasione della Giornata mondiale contro le droghe, tenutasi il 26 Giugno scorso, ribadendo a gran voce che «le droghe fanno male tutte, senza distinzioni». E che, per lo stesso motivo, vanno punite tutte in egual modo. Di tutt’altro avviso il leader di +Europa, Riccardo Magi, per cui «davanti a una così grande questione sociale, contano i dati di realtà. Il proibizionismo ha fallito. Ha riempito le carceri di detenuti per violazione della legge sulle droghe, ma i consumi continuano ad aumentare».
Lo scorso ottobre lo stesso CESCR, il Comitato delle Nazioni Unite incaricato di sovrintendere all’attuazione del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali aveva criticato le politiche italiane sulle droghe, definendole in contrasto con le norme internazionali che tutelano i diritti umani. Dopo essersi riunito negli scorsi giorni per esaminare la condotta di diversi Paesi tra cui l’Italia, il Comitato si è infatti detto “preoccupato per l’approccio italiano che punisce il consumo di droghe e per l’insufficiente disponibilità di programmi di riduzione del danno”, raccomandando così alla nostra nazione non solo di “migliorare la disponibilità, l’accessibilità e la qualità di questi ultimi” ma anche di “rivedere le politiche e le leggi sulle droghe per allinearle alle norme e alle migliori pratiche internazionali in materia di diritti umani”.
[di Gloria Ferrari]