- Fabrizio Poggi
La morte, quantomeno enigmatica, della capo-contabile della Burisma Energy, di cui a metà giugno ha parlato l’avvocato Rudy Giuliani in un’intervista a “Saturday Report”, riaccende per l’ennesima volta la luce sugli affari della famiglia Biden in Ucraina. La donna (il nome non viene citato) aveva lei stessa offerto agli investigatori americani di denunciare gli schemi affaristici in cui sarebbero coinvolti Joe e Hunter Biden in terra ucraina; ma la morte le ha impedito di testimoniare.
Anche il suo defunto marito, l’ex co-fondatore e co-proprietario della Burisma, Nikolaj Lisin, era morto in un misterioso incidente, alla guida della propria Lamborghini, nel 2011, quando Joe Biden era vicepresidente. Il nome dell’altro co-fondatore, Nikolaj Zlocevskij (non proprio uno stinco di santo: si parlava di suoi finanziamenti ai nazisti di “Azov”), era balzato sulle cronache giornalistiche già all’apparire delle prime indiscrezioni sul ruolo del figlio del presidente yankee nella Burisma. E babbo Joe, da parte sua, già all’epoca del primo presidente golpista ucraino, Petro Porošenko, era uso dichiarare spavaldamente di “passare più tempo a Kiev che con la propria moglie”, non foss’altro per intimare ai golpisti di rimuovere Viktor Šokhin, l’ex Procuratore che dal 2015, ereditando le indagini su Burisma avviate dalla Procura ucraina già nel 2012, rischiava di mettere a nudo gli intrighi affaristici della famiglia Biden.
Quasi in contemporanea con le dichiarazioni di Giuliani sul caso della vedova Lisin, CBS e Fox News hanno mandato in onda un’intervista con l’ex agente dell’IRS (Internal Revenue Service) Gary Shapley, il quale ha dichiarato apertamente che il Dipartimento di Giustizia non ha consentito di portare a termine il caso Hunter Biden. Se avessimo potuto farlo, ha detto Shapley, le fila ci avrebbero molto probabilmente condotto fino a Biden sr. Già alcuni mesi prima delle elezioni presidenziali, gli agenti del IRS non avevano potuto condurre perquisizioni su Biden jr., nonostante disponessero dei relativi mandati.
Nel 2022 sono poi svanite alcune accuse minori nei confronti di Hunter, dice ancora Shapley; in quel caso, la figura chiave è stata il procuratore del Delaware David Weiss che, nominato da Trump, ha comunque capito qual vento spiri al Dipartimento di giustizia, così che, di fronte ai funzionari di IRS e FBI, nell’ottobre scorso, si è limitato a dire che non è lui a decidere e che tutto è partito da Washington: nello specifico, dal procuratore del distretto di Columbia Matthew Graves. Sembra, scrive la russa RT, che per il prossimo 6 luglio i congressisti repubblicani intendano ascoltare direttamente Weiss.
E accanto alle accuse di evasione fiscale e possesso illegale d’armi, (per due accuse di evasione fiscale, rischia un totale di due anni; ma per la violazione delle leggi sulle armi, fino a 10 anni di carcere) gli interrogativi riguardano la fonte degli introiti di Hunter: da Burisma, appunto, ai rapporti con investitori cinesi, cui Hunter ha praticamente imposto di versare 10 milioni di dollari l’anno nella loro joint venture, e non un dollaro di meno, pena “problemi con suo padre”, che in quel momento, come ha scritto Hunter stesso, era “seduto accanto a lui”.
Ci sono poi le conversazioni telefoniche di Hunter e Joe Biden con un alto funzionario della Burisma Holdings – di cui sarebbe a conoscenza la Commissione giustizia del Senato – a proposito di una mazzetta da 5 milioni di $ da versare a padre e figlio per l’ingresso di Burisma sul mercato statunitense.
In generale, si parla di almeno nove membri della famiglia Biden, e persone a quella legate, che avrebbero intascato oltre 10 milioni di dollari, da cittadini stranieri, anche cinesi, attraverso una rete di venti società, appositamente messe in piedi, con sede a Washington e nel Delaware, la maggior parte delle quali create mentre Joe Biden era vicepresidente.
A livello mediatico, la strategia difensiva della famiglia Biden è quella, da una parte, di addossare a Mosca la colpa di “aver fabbricato” prove false contro l’attuale presidente USA e, dall’altra, di “scovare” documenti compromettenti su Donald Trump e la sua politica iraniana, tirando in ballo “documenti segreti” del Pentagono, “colloqui” registrati segretamente con il capo degli Stati maggiori riuniti Mark Milley e altri, su presunti disegni di guerra di Trump contro Teheran. Non c’è nulla di concreto; ma, intanto, come a ribattere alla convocazione di David Weiss in Senato il 6 luglio, sul caso Hunter, il 14 luglio è attesa la prima udienza di Trump davanti al giudice Eileen Cannon, a Fort Pierce, in Florida.
Nei giorni scorsi, poi, sono circolate voci sul coinvolgimento della famiglia Biden nell’attentato al North Stream e ancora sui proventi intascati da Hunter Biden da varie attività illegali di Nikolaj Zlocevskij e della Burisma. A quanto pare, nel marzo scorso l’Ufficio anticorruzione ucraino (NABU) avrebbe concesso, al principale imputato nel caso Burisma, Andrej Kicha, di addivenire a un accordo: questi si sarebbe impegnato a trasferire 100 milioni di grivne e 32 milioni di cauzione a favore del progetto “Esercito di Droni” dell’esercito ucraino. Secondo media tedeschi, tali fondi proverrebbero da partner ucraini della famiglia Biden, motivo per cui Kicha ha consentito di buon grado all’accordo.
Inoltre, nel 2020 lo stesso Nikolaj Zlocevskij avrebbe tentato di versare una mazzetta di 6 milioni di dollari a SAP e NABU, per chiudere i procedimenti: anche in questo caso, i fondi confiscati sarebbero finiti sui conti di una non precisata unità militare del GRU ucraino. La decisione sul trasferimento dei fondi al GRU sarebbe dovuta a pressioni di Washington, date le indagini in corso da parte di due commissioni del Congresso sulla provenienza estera illecita di fondi della famiglia Biden.
Ma gli scandali di Hunter Biden rischiano di trascinare nella melma anche il Segretario di stato Antony Blinken che, all’epoca di Barack Obama, teneva i contatti con i partner di Burisma Holdings in USA e, dopo il 2016, era a capo del Biden Center for Diplomacy presso l’Università della Pennsylvania, che riceveva milioni di dollari in donazioni da businessmen cinesi. Si spiega così, nonostante le sue numerose disfatte in giro per il mondo, la sua permanenza al Dipartimento di stato: da troppo tempo è coinvolto negli affari della famiglia Biden e, se venisse messo da parte, potrebbe raccontare le avventure dei Biden.
E c’è chi torna a parlare del famoso notebook da cui, “casualmente”, nel 2019 sarebbero emerse foto scandalistiche di Hunter nudo, intento a fumare sostanze stupefacenti, in compagnia di ragazze minorenni. Ma, soprattutto, sarebbe balzata fuori la sua vecchia corrispondenza con uomini d’affari stranieri, in particolare con Vadim Požarskij, del consiglio direttivo della Burisma; questi ringraziava Hunter, allora nel Consiglio d’amministrazione della compagnia, per avergli facilitato l’incontro con Joe Biden, allora vicepresidente.
La vicenda del notebook è nota: una copia dello hard disk fu fatta recapitare, oltre che al FBI, anche a Robert Costello, l’avvocato dell’ex sindaco di New York, e avvocato personale di Trump, Rudolph Giuliani. Il cerchio si “chiude” ora (ma solo momentaneamente) con l’intervista dello stesso Giuliani a “Saturday Report”, da cui ci siamo permessi di partire.
Non rimane che un suggerimento, di cui potrebbero profittare anche diversi “parlamentari” (e non solo) di casa nostra: la strategia di difesa giudiziaria adottata dall’avvocato di Hunter Biden, si basa sul fatto che il suo cliente, all’epoca dei delitti contestatigli, era costantemente sotto effetto di narcotici e, dunque, poteva combinare di tutto