La questione della violenza delle forze dell’ordine, senza perdere la sua dimensione specifica postcoloniale e di razza, sta sempre più allargandosi a questione democratica generale, sintomo della compenetrazione completa tra neoliberalismo e autoritarismo. Così lotte sociali e lotte antiautoritarie tendono a non separarsi più
Dopo l’uccisione di Nahel a Nanterre, ammazzato a freddo con un colpo di pistola da un poliziotto dopo che si era fermato a un posto di blocco, il tentativo di difendere l’indifendibile è durato poco. Le immagini video hanno fatto piazza pulita della narrazione dell’estrema destra, e di gran parte dei sindacati di polizia, che avevano cercato di tirare in ballo la consueta legittima difesa.
Il tentativo menzognero di incolpare la vittima, abituale purtroppo come abituale è il tipo di evento, c’è comunque stato, prima che qualcuno cominciasse a pensare che non fosse ancora il caso di soffiare sul fuoco. E, insieme all’arsenale retorico sulla legittima difesa, si è immediatamente mobilitato anche il consueto apparato repressivo: schieramento dei reparti antisommossa e quartiere Picasso in stadio d’assedio «preventivo».
Davanti a un copione ormai diventato ordinario, la sorpresa inscenata dal governo e da Macron nei confronti dell’espandersi rapido della rivolta suona davvero fuori luogo. È chiaro, infatti, che i tentativi di ridurre l’episodio tutt’al più a una follia individuale della proverbiale «mela marcia», non hanno più capacità di reggere di fronte a un’evidenza inaggirabile: le violenze poliziesche sono ormai avvertite dalle persone, e in primo luogo dalle persone razzializzate, come un dato che appartiene al loro quotidiano.
Non è un caso che l’estrema destra trasformi la sua difesa «d’ufficio» tradizionale delle forze di polizia direttamente in un episodio della razzializzazione dello scontro interno, sfoderando immediatamente tutto l’ordine discorsivo sull’assedio e sulla paura dei «bianchi», proclamando esplicitamente una legittima difesa di razza e di classe.
C’è però un elemento importante di maturazione che emerge, analizzando rivolte e resistenze alla violenza di polizia: la trasformazione della resistenza delle persone razzializzate in un nodo di una rete sempre più fitta e diversificata di campagne e di lotte. In altre parole, la questione della violenza delle forze dell’ordine, senza perdere la sua dimensione specifica postcoloniale e di razza, sta sempre più allargandosi a questione democratica generale.
Così la lotta alla violenza poliziesca è entrata, come elemento centrale e qualificante, nei cicli di movimento francese più recenti: dai Gilets Jaunes al movimento contro la riforma pensionistica. E non si è trattato solo della consueta campagna antirepressiva che ogni movimento sociale si trova prima o poi ad affrontare, quanto dell’assunzione del problema della violenza della polizia come sintomo della compenetrazione completa tra neoliberalismo e autoritarismo, e della conseguente definitiva scissione tra democrazia e liberalismo che questo comporta.
Lotte sociali e lotte «antirepressive», antiautoritarie e contro la violenza strutturale delle forze dell’ordine, tendono a non separarsi più, come voleva una tradizione di difficile convivenza tra lotte «economico-sindacali» e lotte contro gli apparati di Stato.
Oggi i due aspetti, e in qualche misura anche i due diversi stili di lotta, cominciano a trovare una congiunzione molto più forte che in passato, seguendo del resto la scia dei movimenti americani, dove le campagne per sottrarre fondi alla polizia (Defund the police!) hanno alimentato sperimentazioni importanti su nuovi modelli di controllo sociale dal basso, sulla giustizia trasformativa oltre la sanzione penale, e più in generale su una nuova, intensa rivendicazione di democrazia «abolizionista», che chiede il superamento radicale delle attuali forme della polizia e del carcere.
È presto evidentemente per capire se le rivolte contro la violenza poliziesca annuncino la ripresa immediata di un movimento forte e generalizzato in Francia: ma certo una dinamica nuova, almeno potenziale, le collega alle lotte sociali. Mentre la violenza sistemica delle forze dell’ordine rivela la crisi strutturale della «democrazia neoliberale» e la sua intrinseca contraddittorietà, la riappropriazione della democrazia, in tutta la sua portata e generalità, assume sempre più l’immagine dell’«intersezionalità delle lotte» lungo le linee di razza, classe e genere.