La Commissione europea, con una comunicazione congiunta rivolta al Parlamento europeo e al Consiglio, delinea la condotta da adottare sul fronte del cambiamento climatico in rapporto alla sicurezza e alla difesa. Tra le varie tematiche affrontate nel documento emanato dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, compare anche quella inerente la geoingegneria. Lo studio e l’utilizzo di tecniche e tecnologie climalteranti viene così confermato, mettendo in guardia dalle possibili conseguenze di un loro utilizzo. D’altronde, sia la politica che la comunità scientifica si muovono da anni nel campo della geoingegneria, segno che la questione è più che reale.
Al punto numero 4.1 del testo “A new outlook on the climate and security nexus:
Addressing the impact of climate change and environmental degradation on peace,
security and defence”, vergato dalla Commissione europea, si scrive: “Nel contesto del riscaldamento globale accelerato, un intervento deliberato su larga scala sui sistemi naturali della Terra (indicati come “geoingegneria”), come la modificazione della radiazione solare, sta attirando più attenzione. Tuttavia, i rischi, gli impatti e le conseguenze impreviste che queste tecnologie pongono sono poco conosciute, e regole necessarie, procedure e istituzioni non sono state sviluppate. Queste tecnologie introducono nuovi rischi alle persone e agli ecosistemi, mentre potrebbero anche aumentare gli squilibri di potere tra le nazioni, innescare conflitti e sollevare una miriade di questioni etiche, legali, di governance e politiche. Guidata da principio di precauzione, l’UE sosterrà gli sforzi internazionali per una valutazione globale dei rischi e le incertezze degli interventi sul clima, compresa la modificazione della radiazione solare e promuovere discussioni su un potenziale quadro internazionale per la sua governance, tra cui aspetti legati alla ricerca”.
L’Unione europea ha dichiarato di voler rimanere fedele al Protocollo di Nagoya sull’accesso alle risorse genetiche e l’equa condivisione dei benefici derivanti dal loro utilizzo, ovvero un accordo del 2010 supplementare a quello adottato con la Convenzione sulla diversità biologica del 1992. Lo scopo del Protocollo è l’attuazione di uno dei tre obiettivi della Convenzione: la condivisione giusta ed equa dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche, contribuendo così alla conservazione e all’uso sostenibile della biodiversità.
Non pare però esserci una chiusura totale alla questione della geoingegneria; infatti, il documento afferma anche che l’UE vuole “promuovere” nuovi colloqui internazionali su come governare gli sforzi in ambito di geoingegneria, nonché “sostenere” studi per comprendere meglio i rischi che tali esperimenti potrebbero comportare. Anche perché, molte tecnologie di ingegneria del clima sono già in funzione in centinaia di luoghi in tutto il mondo. Questo lo si capisce anche dalle parole di Frans Timmermans, capo della politica climatica dell’Unione europea: “Nessuno dovrebbe condurre esperimenti da solo con il nostro pianeta condiviso [..] Questo dovrebbe essere discusso nella sede giusta, al più alto livello internazionale”. Il messaggio sembra quindi essere che la geoingegneria non deve essere vietata quanto piuttosto governata per tramite di istituzioni internazionali. Vogliamo ancora una volta sottolineare che il documento, prodotto dall’Ufficio di Josep Borrell, riguarda la politica estera, la sicurezza e la difesa, e di come la questione climatica influisce su tali settori; non stiamo parlando di ambiente o salute ma di eserciti, apparati di sicurezza, controllo e gestione. Tant’è che nel documento, oltre a riferirsi all’ONU e a varie organizzazioni politiche come Artic Council, Lega Araba, G7, G20, e altre, la prima organizzazione citata è la NATO, in accordo con la Joint Declaration UE-NATO cooperation – del gennaio di quest’anno – circa la necessità di agire congiuntamente nell’affrontare le implicazioni poste alla sicurezza da parte del cambiamento climatico.
Proprio l’Europa, insieme al Nordamerica, è dove maggiormente si stanno studiano le tecnologie di ingegneria del clima e dove si stanno sviluppando il maggior numero di progetti. Già a partire dagli anni Novanta, l’UE ha finanziato diversi progetti nel campo della geoingegneria, con un incremento molto importante di fondi erogati negli ultimi anni, passando da qualche decina di milioni di euro agli inizi di questo secolo fino alle svariate centinaia di milioni di oggi.
Il numero di lobby che lavorano sulla geoingegneria nell’UE è raddoppiato negli ultimi anni. In Europa ci sono almeno 20 organizzazioni – grandi e piccole – che promuovono attivamente l’utilizzo delle tecnologie di geoingegneria. La metà di queste organizzazioni lobbistiche sono state fondate negli ultimi cinque anni. Anche nel Regno Unito ci sono iniziative private che utilizzando, e cercano di utilizzare, fondi pubblici per azioni di geoingegneria, compreso il CCUS Advisory Group. Questo gruppo ha lo scopo di sostenere l’attuazione del piano d’azione CCUS UK e comprende rappresentanti di Shell, BP, Tata Steel e Drax. E proprio le industrie del settore energetico fossile sembrano essere le più interessate a incentivare l’utilizzo di tecniche e tecnologie per l’alterazione climatica.
Quale che sia l’effettivo comportamento che adotteranno le istituzioni europee e gli stati membri dell’UE, il fatto che questa abbia deciso di affrontare l’argomento in termini chiari e che voglia aprire una discussione a livello internazionale, è indice che il settore sta raggiungendo gradi di sviluppo e applicazione che non permettono di tacere o far finta che nulla stia accadendo e gli enormi interessi che il settore sarebbe in grado di produrre.
[di Michele Manfrin]