Sull’onda delle violente proteste che si sono susseguite nelle ultime settimane in Francia e col timore che esse possano ripetersi, il governo di Macron sta prendendo in considerazione non solo l’ipotesi di censurare i social network – strumenti di diffusione delle notizie e piattaforme logistiche essenziali per organizzare le proteste – ma anche di approvare una legge che permetta alla polizia di attivare da remoto videocamera, microfono e GPS dei cittadini sospettati di terrorismo. È quanto proposto dai legislatori del governo parigino mercoledì 5 luglio. Si tratta di una misura inusuale in un sistema considerato democratico: potrebbe dare luogo, infatti, a pericolosi precedenti che rischiano di trasformarsi in un piano inclinato aprendo la strada a misure sempre più repressive. Inoltre, la misura permetterebbe alle forze dell’ordine anche di geolocalizzare computer portatili, automobili e qualunque oggetto con componentistiche elettroniche.
Dure le critiche delle opposizioni, che provengono sia da destra che da sinistra, e della società civile. L’associazione per i diritti civili online La Quadrature du Net, ad esempio, ha rilasciato un comunicato che recita: «La misura in questione solleva serie preoccupazioni riguardo all’infrazione delle libertà fondamentali. Noi riconosciamo il diritto alla sicurezza, il diritto ad una vita privata ed il diritto a privata corrispondenza. Questa proposta non fa che far scivolare (ndr. la Francia) nella sicurezza autoritaria». Il Ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti ha cercato di sdrammatizzare spiegando che la misura sarà utilizzata solo nei confronti di sospetti e con l’autorizzazione di un giudice, precisando anche che non dovrebbe superare «una dozzina di casi all’anno». Dal canto suo, il presidente Emmanuel Macron ha spiegato che la misura deve essere approvata da un giudice «quando giustificata dalla natura particolarmente efferata di un crimine e soltanto per il tempo strettamente necessario all’individuazione del sospetto». L’esecutivo ha informato anche che la misura non potrà superare la durata massima di sei e che prevede, inoltra, l’esclusione di alcune categorie definite particolarmente sensibili alla privacy come medici, giornalisti, avvocati, giudici e politici.
Oltre a ciò, il governo francese ha varato una stretta per le piattaforme social che accredita ulteriormente l’idea di coloro che parlano di pretesto per attuare una più aspra repressione del dissenso: secondo l’Eliseo, infatti, i social sarebbero una «cassa di risonanza» per le rimostranze. Da qui, l’idea del governo di valutare l’eliminazione di alcune funzionalità delle piattaforme web, tra cui la geolocalizzazione in tempo reale utilizzata per organizzare proteste o attacchi, la cancellazione di migliaia di contenuti considerati illegali e la sospensione di centinaia di account.
Da notare come, in realtà, gli avvenimenti delle ultime settimane sarebbero solo un modo per accelerare un processo che era già in atto: già l’8 giugno, infatti, Le Monde spiegava in un articolo che il Senato aveva adottato un Disegno di Legge (Dl) che prevedeva l’attivazione a distanza di telecamere e microfoni all’insaputa dei proprietari dei dispositivi, come cellulari, computer e tablet. È «la porta aperta alla sorveglianza diffusa», aveva affermato il senatore Guy Benarroche, mentre il Freedom and Digital Observatory (OLN) aveva denunciato la spinta eccessiva sulla sicurezza che rischia di rendere la nostra società sempre più controllata e trasparente. Sembrerebbe, dunque, che le proteste recenti siano quasi servite all’Eliseo per avvalorare la necessità di procedere nella direzione intrapresa, quella di una stretta sulla sorveglianza sociale. Si tratta ancora una volta, come nel caso della pandemia, di un tentativo di strumentalizzare le crisi per limitare in modo progressivo le libertà fondamentali dei cittadini e per inaugurare un nuovo metodo di governo sociale, improntato sempre di più alla tecno-sorveglianza.
Mettendo evidentemente le mani avanti, il ministro della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, con riferimento all’opera di George Orwell, ha affermato che «siamo molto lontani dal totalitarismo di 1984, potremmo salvare delle vite». Tuttavia, il disegno di legge continua ad essere al centro di dibattiti e polemiche oltralpe, mentre si attende l’approvazione del Parlamento che decreterà o meno l’entrata in vigore della discussa legge.
[di Giorgia Audiello]