La cultura popolare è stata cancellata sistematicamente perchè privare un popolo della sua cultura significa trasformarlo in un insieme di individui atomizzati e in quanto tali incapaci di organizzarsi e disinteressati alla politica.

Il neoliberismo contro la cultura popolare

Di Francesco Erspamer*

Oltre l’ambiente, il neoliberismo sta distruggendo le culture; non solo e non tanto quella «alta», che dopo una breve fase di espansione in coincidenza con quella dei partiti comunisti è tornata a essere ignorata o disprezzata dalla maggioranza della gente (il 90% degli americani e almeno due terzi degli italiani) ma sopravviverà, magari mummificata, in qualche nicchia accademica.

A venire cancellata sistematicamente e velocemente è piuttosto la cultura popolare, che non si può mummificare perché è vita.

Purtroppo non c’è da stupirsi che nessuno se ne preoccupi, gli intellettuali piddini, radicali e liberal meno di chiunque altro, oramai interessati esclusivamente alla libertà privata di espressione, per affermare la quale non servono radici, tradizioni, un senso di appartenenza e di responsabilità, anzi vanno scoraggiate: tanto gli unici parametri che contano sono il successo (per i pochi vincenti) e il piacere (per i tanti sconfitti, compensati da un edonismo indotto, squallido, una forma di pornografia).

Persino a scuola, dove invece di insegnare ai giovani a sentirsi parte di una collettività, i professori preferiscono esalarne l’individualismo (o sono obbligati a farlo).

Così i popoli non inventano più nulla di proprio: né lingue né miti né racconti né costumi; si limitano a consumare compulsivamente e passivamente mode prodotte altrove e imposte dalla pubblicità e dalle multinazionali dell’intrattenimento mediatico, in gran parte americane o americanizzate.

Anche le nuove tecnologie hanno assunto questa funzione: impedire che qualsiasi pensiero possa originare dal basso, localmente, autonomamente, come invece era accaduto per millenni in condizioni di povertà e oppressione molto più gravi di oggi ma con padroni e potenti molto meno pervasivi.

Lo scopo? Facile: privare un popolo della sua cultura significa trasformarlo in un insieme di individui atomizzati e in quanto tali incapaci di organizzarsi e disinteressati alla politica (che infatti ignorano e disprezzano quanto la cultura).

Ma è sostenibile nel medio e lungo termine questo vuoto di idee, competenze e pratiche “diffuse”, poligenetiche, territoriali, ossia non fabbricate in pochissimi centri di “eccellenza” inventati e finanziati dai miliardari, come Harvard, Oxford, la Bocconi, il Campus London di Google, Station F, Silicon Valley, Hollywood, la Boulder di Techstars, con i loro «lab», «incubator» e «accelerator» che forniscono al mondo intero (o quasi, ma le zone di resistenza sono sempre meno) un pensiero unico in rapido e perpetuo rinnovamento e pertanto impossibile da assimilare?

I profeti dell’individualismo e del merito individuale, per i quali la varietà è temporale, ottenuta con una frenetica successione di prodotti ed esperienze uguali per tutti (invece che spaziale, cioè dettata dalla compresenza di tante culture, ideologie, abitudini, collettive ma non universali e dunque non conciliabili), stanno giocando col fuoco; per denaro (lo fanno solo per denaro, anche la fama per loro si misura col denaro) stanno inaridendo le comunità, estinguendone la voce, lo spirito.

Diffidate di coloro che si riempiono la bocca e vi riempiono la testa di democrazia e multiculturalismo per giustificare l’omogeneizzazione del pianeta; sono i veri nemici del popolo.

* Ripreso da Francesco Erspamer, professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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