Sono passati 22 anni dai giorni tremendi ed esaltanti di Genova e delle contestazioni al G8. Poco è rimasto nella memoria dell’immensa ricchezza culturale, sociale e politica che aveva trovato modo di ritrovarsi in quelle calde piazze, calde per la bellezza, la capacità di accogliere, di includere le mille diversità, di lanciare messaggi di speranza che non risuonavano da anni nel Paese, calde per la violenza della repressione, poi condannata anche in sedi internazionali, ma per cui pochi hanno pagato. Chi in quegli anni nasceva oggi difficilmente viene raggiunto da tentativi di ricostruzione completa di quel clima. Sono quasi spariti gli spazi che hanno provato a raccontare dal di dentro, restano alcuni film, uno fra tutti, Un mondo diverso è possibile, un magnifico sforzo collettivo che coinvolse il meglio del cinema italiano di allora, 33 registe e registi partirono per il capoluogo ligure, almeno in 50, di ogni generazione, vennero coinvolte/i, per un racconto corale forte, preciso, vissuto e militante nel senso profondo del termine. Una memoria che resta di cui bisogna essere grati a Citto Maselli, a Stefania Brai e a quel mondo vicino a Rifondazione Comunista di allora che ebbe la capacità di scegliere e di agire.

Ma di quei giorni, soprattutto per chi c’era, restano le ferite, la morte di Carlo Giuliani, i pestaggi indiscriminati, la macelleria della scuola Diaz e poi della detenzione a Bolzaneto. I ricordi sono flebili, i leader politici di allora che guardavano dalle sale dei commissariati l’evolversi degli eventi: Fini, Scajola, Castelli, sembrano lontani nel tempo, gli uomini che materialmente eseguirono o fecero eseguire gli ordini sono invece, in gran parte, ancora in sella, anche se magari impegnati in altre carriere. Uno fra tutti, il cui cognome ancora riecheggia nella memoria, è certamente l’allora Capo della Polizia, Gianni De Gennaro, sparito dalla scena pubblica e poi riapparso.

Uno degli uomini più potenti e nebulosi, della storia italiana recente, sembrava aver deciso di godersi un buen retiro a Roma in Via Michelangelo Caetani, dove era ed è ancora Presidente del Centro Studi Americani, un’istituzione nata, sotto altro nome, nel 1918, con la comunità statunitense a Roma per rendere più solidi i rapporti fra Usa e Italia. Con l’acquisizione della sede attuale, nel 1936, il Centro è cresciuto non solo dotandosi di una biblioteca di oltre 50 mila volumi, principalmente riguardanti la storia degli Usa nelle sue relazioni con il nostro Paese, ma organizzando sovente convegni, visite di studio bilaterali fra Stati Uniti e Italia e mantenendo relazioni con numerosi enti e iniziative che vedono la partecipazione dell’ambasciata statunitense. Il vicepresidente è, come il suo superiore, un prefetto, Roberto Sgalla, si tenga a mente questo nome a seguire. Fra i prossimi appuntamenti organizzati dal Centro Studi segnaliamo quello del 20 luglio prossimo, la presentazione del libro La guerra in casa. Come e perché la corsa al riarmo riguarda tutti noi di Roberto Arditti, a cui interverranno, oltre all’autore, Giuliano Amato, Presidente emerito della Corte costituzionale (ricordare anche questo nome) e Lorenzo Guerini, Presidente del Copasir.

Ma torniamo a Gianni De Gennaro partendo dalle onorificenze: Commendatore dal 1993, Grande Ufficiale dal 1994, Cavaliere dal 2000. Al di là degli onori, avventuriamoci nella sua biografia. Dopo una veloce carriera, costellata di successi in operazioni antimafia, nel 1989 era divenuto il primo direttore del neonato SCO (Servizio Centrale Operativo), una sorta di struttura di coordinamento nazionale di tutte le squadre mobili che a loro volta si coordinano con i Carabinieri del Ros e la Guardia di finanza (Gico), con compiti investigativi soprattutto nei confronti della criminalità organizzata, ma non solo. Di fatto allo Sco afferiscono tutte le indagini più importanti. Nel 1992 De Gennaro diviene vicedirettore della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), l’anno dopo prefetto, nel 2000, finalmente è nominato dall’allora Primo Ministro, Giuliano Amato (sì, proprio lui), diviene Capo della Polizia. L’anno dopo è fra i protagonisti del G8 di Genova e della “macelleria della Diaz”. Accusato di induzione alla falsa testimonianza per quanto accaduto in quelle tragiche ore ne uscirà alla fine assolto giuridicamente solo in Cassazione, ma con un pesante alone di sospetto nella pubblica opinione. Durante quelle giornate di cui ricorre a breve l’anniversario (19-21 luglio 2001), si provi ad indovinare chi era il Responsabile dell’Ufficio Relazioni esterne della Polizia di Stato, quello che in una conferenza stampa che successivamente ricordò in maniera confusa, aveva definito la scuola Diaz come covo dei famigerati “black block”? Ebbene sì lo stesso Roberto Sgalla, che uscì poi indenne da ogni accusa. Sia De Gennaro che Sgalla, va ricordato, divennero elementi fondamentali per la Polizia di Stato, con il centro-sinistra, il primo era addirittura dirigente sindacale del Siulp (il sindacato di polizia considerato democratico), ma la loro carriera è sopravvissuta ad ogni spoil system. Una annotazione, nei giorni immediatamente antecedenti al G8, ufficiali dello SCO sono inviati a Genova per indagare e garantire la sicurezza. Ma cosa c’entra un servizio dedicato al crimine organizzato con un vertice di capi di Stato e un controvertice di movimenti sociali? Negli anni successivi, nonostante le inchieste e le critiche, anche dall’Europa, nella gestione del vertice, De Gennaro resta intoccabile. Al Viminale, nei servizi, in polizia, capita di tutto, dagli scandali per i fondi neri, alle inchieste sulla gestione del G8 che proseguono. È il periodo in cui al ministero dell’Interno transitano continuamente dirigenti Telecom, azienda impegnata nel realizzare, attraverso la messa in orbita di satelliti, sistemi di sicurezza e di intercettazione delle comunicazioni. Sono gli anni in cui il timore di attentati porta ad aumentare le risorse per i sistemi di controllo, si diceva già allora che “siamo costretti a rinunciare a parte della nostra libertà in cambio della sicurezza”. De Gennaro resta Capo della Polizia fino al luglio 2007, quando assurge al ruolo di Capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno. Che allora era… Giuliano Amato. Il “dottor sottile” come veniva chiamato, evidentemente nutre molta fiducia nel prefetto De Gennaro che, instancabile, è nominato per un periodo anche Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania. Caduto il secondo governo Prodi, di cui Amato era ministro, Gianni De Gennaro non si fa da parte, anzi viene premiato con la nomina a Direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, in pratica il numero uno dei Servizi. Cade il governo Berlusconi, si passa a Monti, la storia non cambia, anzi: la sua affidabilità viene ancora una volta riconosciuta con la nomina a sottosegretario di Stato della presidenza, con delega alle “informazioni per la sicurezza della Repubblica”, l’ormai famosa “delega ai Servizi” che allora viene accolta come un’ottima scelta e per cui, nei governi di oggi, si scatenano lotte furibonde. Ricoprire tale incarico significa essere il tramite fra chi dovrebbe garantire la sicurezza dello Stato e il governo. Nel 2013, a 65 anni, potrebbe godersi una “meritata” pensione, ma il governo di Enrico Letta lo sceglie per diventare il presidente di Finmeccanica, che poi assumerà il nome di Leonardo, la più importante azienda a partecipazione statale della difesa, specializzata in ricerca aerospaziale e sicurezza, campi in cui il neopresidente è in effetti già altamente qualificato. Manterrà l’incarico fino al 2020. Passano 3 anni, si giunge al governo Meloni e l’ineffabile colpisce ancora. Diviene Presidente di Eurolink, general contractor, una sorta di consorzio di imprese impegnato per la progettazione e la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. La nomina giunge da Webuild, un colosso internazionale che opera in 50 Paesi e si occupa tanto di sicurezza quanto di (prendiamo dal sito), “realizzazione di grandi opere ed infrastrutture complesse per la mobilità sostenibile, l’energia idroelettrica, l’acqua, i green buildings”, quello che oggi in gergo si chiama global player. Webuild ha il 45% del consorzio, il resto è diviso fra imprese spagnole, italiane e giapponesi. L’ormai anziano dirigente di polizia è stato scelto in quanto esempio di “esperienza istituzionale e di azienda, integrità e trasparenza sempre orientate ad un approccio di legalità e sicurezza per il Paese”. Le ipotesi sono due: o abbiamo la fortuna di avere un grande manager, di cui noi comuni mortali, non abbiamo ancora apprezzato le immense qualità e su cui abbiamo ignobilmente disquisito a causa di ingiuste calunnie oppure…

Durante le indagini per il G8 di Genova e anche, negli anni successivi, Gianni De Gennaro si trovò a rispondere anche al Copasir, per la gestione dell’ordine pubblico in quella tremenda fase. Ne uscì, nonostante le accuse, immacolato e la frase più ricorrente, ascoltata in ambienti diversi e in momenti diversi era “quest’uomo tiene per le palle mezzo paese”. Che brutti termini. Un’illazione che, per dovere di cronaca, riportiamo ma che non possiamo prendere per buona. Se avesse fondamento, di queste cose si sarebbe occupata la magistratura e non si può credere che gran parte del sistema politico di questo Paese, delle classi dirigenti italiane e statunitensi possano poter riporre tanta fiducia in una persona, per tanti anni, se questa non fosse immacolata e al di sopra di ogni sospetto. Però magari, proprio per fugare le perplessità sollevate dopo l’inchiesta sul G8 e a seguire, in vista di quello che sarà uno degli affari del secolo, per l’economia italiana, sarebbe giusto sentir rispondere pubblicamente il manager/prefetto che potrà dimostrare, non solo in tribunale ma anche pubblicamente, di essersi sempre comportato da fedele servitore dello Stato.

Stefano Galieni

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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