In Perù è iniziata mercoledì 19 luglio la terza ondata di manifestazioni contro il governo golpista della presidente Dina Boluarte: sei persone sono state arrestate e otto sono rimaste ferite secondo quanto riferito in tv dal ministro dell’Interno Vicente Romero. Nel tentativo di arginare la rabbia popolare, il governo peruviano ha prorogato di altri trenta giorni lo stato di emergenza. L’obiettivo della misura – ha detto il presidente del Consiglio dei ministri, Alberto Otarola – è quello di garantire la «libera circolazione» sulle principali arterie stradali nazionali, soprattutto in vista delle marce antigovernative che si stanno preparando e che puntano a convergere nella capitale Lima. Proprio a Lima ieri una folla di manifestanti che chiedeva le dimissioni della presidente Dina Boluarte è stata dispersa con i gas lacrimogeni dalla polizia, che ha formato un cordone intorno al Congresso nazionale. Gli agenti, in assetto antisommossa, hanno caricato il corteo, causando diversi feriti. Le manifestazioni sono parte di una protesta che va avanti da mesi contro l’insediamento della presidente Boluarte, a seguito dell’arresto e della destituzione del presidente socialista Pedro Castillo, democraticamente eletto e sostenuto dalla maggioranza della popolazione. In un disegno che ripercorre uno schema classico in Sudamerica la liberista Boluarte è stata prontamente riconosciuta come presidente legittimo dagli USA.
Lo scorso 7 dicembre, Castillo ha annunciato lo scioglimento del parlamento e un governo di emergenza nazionale mentre il Congresso si riuniva per votare la terza mozione di impeachment nei suoi confronti. Tuttavia, i deputati, riuniti in emergenza, hanno approvato la mozione, proclamando, nelle ore in cui veniva arrestato, la sua vice, Boluerte, nuova presidente. La popolazione da allora chiede elezioni anticipate, ritenendo illegittimo il governo dell’ex vice di Castillo. Una richiesta che non è mai stata presa in considerazione dal governo, nonostante le numerose e animate proteste dei cittadini che, fino ad ora, hanno causato la morte di 49 persone, compreso un agente di polizia. Altre undici persone, tra cui un bambino di un anno, sono morte in incidenti legati ai numerosi blocchi stradali messi in piedi dai manifestanti. Secondo l’ex presidente della Repubblica, Martín Vizcarra, Boluarte non ha mai voluto elezioni anticipate e basterebbero le sue dimissioni per porre fine alla crisi politica e sociale nel Paese.
Diverse organizzazioni non governative hanno denunciato un uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine del Perù. Secondo Amnesty International, l’ufficio del procuratore generale del Perù dovrebbe indagare su tutti coloro che hanno ordinato o tollerato l’uso illegittimo della forza da parte delle forze di sicurezza. «L’uso di armi da fuoco letali contro i manifestanti mostra un palese disprezzo per la vita umana. Nonostante gli sforzi del governo per dipingerli come terroristi o criminali, le persone uccise erano manifestanti, osservatori e passanti. Quasi tutti provenivano da ambienti poveri, indigeni e contadini, il che suggerisce un pregiudizio razziale e socioeconomico nell’uso della forza letale», ha affermato Agnes Callamard, segretario generale di Amnesty International. Dopo una visita in Perù risalente allo scorso maggio, il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di riunione pacifica e di associazione, Clément Nyaletsossi Voule, ha parlato di un «uso eccessivo della forza», chiedendo a Lima indagini «trasparenti, indipendenti, e che coinvolgano anche le vittime, per sapere esattamente cosa è successo e in quali condizioni si sia dato l’uso eccessivo della forza».
Il nuovo governo di Boluarte non ha tardato a rivelare la sua collaborazione con gli Stati Uniti e la stessa giravolta politica dell’attuale presidente che, dall’appartenenza al partito socialista di Castillo – Perù Libre – è passata ad un’alleanza con la maggioranza conservatrice, lo conferma. Maggioranza da sempre incline a portare avanti le politiche liberiste statunitensi, contrariamente al programma politico di Castillo che, per questo, infastidiva una parte dello “Stato profondo” peruviano. L’ex presidente rappresentava una speranza per la popolazione più povera del Paese, in quanto si proponeva di combattere lo sfruttamento delle risorse minerarie da parte delle multinazionali straniere, difendendo contadini e indigeni dallo strapotere delle élite economiche che «governano il Paese con il saldo contributo degli Stati Uniti e delle multinazionali che operano sul territorio». Non a caso, lo scorso giugno, Boluarte ha firmato due risoluzioni legislative con le quali ha dato il via libera all’ingresso di militari e materiale bellico statunitensi nel Paese.
La popolazione peruviana continua a chiedere legittimamente elezioni anticipate che però Boluarte non vuole concedere, preferendo piuttosto continuare a reprimere le manifestazioni nel sangue e dispiegando migliaia di agenti per garantire “l’ordine pubblico”. Anche per questa nuova ondata di proteste, infatti, le autorità hanno deciso di impiegare circa 8000 agenti, nonostante ritengano che la partecipazione non sarà alta come le volte precedenti. Si prospetta, però, ugualmente il rischio di scontri violenti e di un abuso della forza da parte della polizia che potrebbe portare ad aumentare il numero complessivo di morti e feriti dall’inizio della crisi politica del Paese.
[di Giorgia Audiello]