Mario Colella

Questa sinistra che gioca a Risiko dal divano di casa non è figlia di Gramsci, ma dei Napolitano, quelli diventati “americani” dopo essere stati filosovietici.

Sinistra, patria, libertà…

Mi piace che a sinistra si riscoprano valori come libertà e patria. Quelle degli ucraini, però. Intendiamoci, quella ucraina e quella di tanti altri popoli vanno difese.

Ma in questa nostra sinistra c’è un’alta componente di opportunismo e di furbizia. C’è stato e c’è, da parte di questi signori, pari attaccamento alle nostre patria e libertà? No.

In Italia manca una sinistra di cuore, coraggiosa, nazionale, patriottica senza essere nazionalista. Attenzione, non storcete il naso, la patria non è necessariamente quello che pensate voi, ci hanno insegnato a disprezzare questa parola ma patria vuol dire terra, popolo, i luoghi che viviamo, dalla valle del Po di Mario Soldati alle borgate romane di Pasolini, fino ai borghi della Basilicata in cui veniva confinato Carlo Levi, al sud magico di De Martino.

Vuol dire l’operaio che si alza al mattino presto per andare in fabbrica e il disoccupato del sud che vive la periferia degradata, la giovane donna che sogna di scappare dal paesino di provincia e la professionista che è stressata dal lavoro in città, l’imprenditore che non sa cosa inventarsi e il docente che soffre cosa è diventata la nostra scuola.

Mi ricordo il D’Alema che andava alla City, dopo il crollo del muro: era come se si recasse in visita a Medjugorie. Anche la sinistra bellicista e filoamericana di queste ore non ha, come già di fronte alla guerra in Libia, un vero senso della libertà e della patria, come non lo aveva, certo, quella pacifista a senso unico del passato.

Questi qui che giocano a Risiko dal divano di casa non sono figli di Gramsci, ma di Napolitano, che è diventato “americano” dopo essere stato filosovietico ed aver benedetto i carri armati a Budapest. Tutto è opportunismo, tutto è inginocchiamento ad uno straniero, prima l’URSS e ora gli Usa (decadenti).

Anche i radicali alla Taradash, che etichettano come vigliacchi quelli che non vogliono una escalation, sono più figli della Bonino militarista che di Pannella, uno che, possiamo criticarlo quanto vogliamo, oggi avrebbe lanciato la parola d’ordine “Russia e Ucraina dentro l’Europa”.

L’europeismo della attuale sinistra è quello di chi vuole un’Europa debole, ancora sotto un ombrello americano che però è assai striminzito, pieno di falle, pronto ad essere chiuso.

A prescindere dalla minaccia nucleare, un conflitto che vada avanti ancora per molto tempo, potrebbe solo indebolire un’Europa già cadaverica, che non ha davvero una posizione comune, checchè se ne dica.

Chi uscirebbe vittorioso da una vicenda così? La Cina, la Russia (sempre più attaccata alla Cina e col problema di una resistenza in Ucraina che con tutta probabilità non cesserebbe), gli Usa. Chi perderebbe? Tutti noi, l’Europa, gli ucraini, i popoli.

Questo dovrebbero dirci i nostri intellettuali, questo dovrebbero sapere i nostri giornalisti con l’elmetto, da quelli di Repubblica – velina delle fake news del governo ucraino (non ci sono solo quelle putiniane che girano in rete) – all’incredibile ex Lotta Continua Paolo Mieli che abbiamo la innegabile fortuna che ci continuano a dispensare lezioni su come i golpe in Cile e Argentina fossero “fatti interni”, dunque con una qualche legittimità, mentre quella russa è un’aggressione schifosa (e non v’è dubbio che lo sia

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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