Le recenti elezioni suppletive britanniche hanno visto il governo conservatore perdere due seggi, ma il Regno Unito si trova nel bel mezzo di una crisi strutturale che va ben oltre quella del partito al potere.
Il 20 luglio si sono tenute le elezioni suppletive britanniche per la riassegnazione dei seggi nei collegi di Selby and Ainsty (North Yorkshire), Somerton and Frome (Somerset) e Uxbridge and South Ruislip (Greater London). Il Partito Conservatore, attualmente al governo con il primo ministro Rishi Sunak, deteneva tutti i tre seggi in questione, ma al termine delle elezioni sono riusciti a conservare solamente lo scranno londinese, cedendo ai laburisti nello Yorkshire e ai liberal-democratici nelle suppletive del collegio del Somerset.
Indubbiamente, il risultato di queste elezioni suppletive indebolisce il governo Sunak e mostra come le politiche dei Tories siano poco gradite all’elettorato. Infatti, anche nel caso della vittoria dei conservatori, nel collegio di Uxbridge and South Ruislip, il partito di governo ha subito una perdita di oltre sette punti percentuali rispetto alle elezioni del 2019, con i laburisti che hanno perso l’occasione di ottenere un nuovo scranno per meno di 500 schede di differenza. Insomma, il Conservative and Unionist Party, nome ufficiale del Partito Conservatore, non se la passa di certo bene, e su questo non vi sono dubbi.
Tuttavia, la crisi dei conservatori deve essere inserita all’interno di un contesto più ampio, quello della crisi strutturale del Regno Unito come tale, come dimostrano le continue spinte centrifughe provenienti da Scozia e Irlanda del Nord. Questa osservazione è corroborata anche dal dato sull’affluenza alle urne, che, come accade oramai in molti Paesi europei, palesa la scarsa fiducia della cittadinanza nei confronti delle istituzioni tipiche della democrazia borghese. In tutti e tre i collegi che sono andati al voto, infatti, la maggioranza assoluta degli aventi diritto ha deciso di disertare le urne, con solamente il 44-46% degli elettori che ha partecipato al voto.
“La crisi politica della Gran Bretagna riflette una crisi più profonda dello Stato britannico e delle sue istituzioni“, secondo Alex Gordon, leader del sindacato RMT (National Union of Rail, Maritime and Transport Workers). Da notare come le sue parole, riportate dal sito del Communist Party of Britain, siano state pronunciate lo scorso 12 giugno, senza avere dunque nessuna connessione diretta con le recenti elezioni suppletive, in quanto la crisi strutturale del Regno Unito è un qualcosa del quale gli analisti e i conoscitori della politica britannica sono ben consapevoli da tempo.
L’analisi di Gordon, del resto, colpisce allo stesso modo sia la maggioranza conservatrice che quella che dovrebbe essere la principale forza di opposizione, il Labour Party, che sotto la guida di Keir Starmer è tornato ad essere totalmente passivo di fronte ai dettami dei mantra neoliberisti: “Nel frattempo, il leader laburista sempre più autocratico e la sua fazione stanno epurando il loro partito e l’unico deputato verde britannico ed ex leader del partito sta lasciando la Camera dei Comuni perché lì non si può ottenere nulla di utile”, ha commentato il sindacalista. “Mentre i conservatori affrontano tre sconfitte elettorali, la classe dirigente sta preparando il partito laburista per il governo mentre Sir Keir Starmer abbandona le politiche di sinistra in cambio di un sacco di soldi versati dalle grandi imprese“.
Dobbiamo infatti ricordare che quella del 20 luglio non rappresenta di certo la prima sconfitta subita dal governo Sunak, che aveva già pesantemente perso in occasione delle recenti elezioni locali. Allo stesso tempo, i laburisti, vista la guida poco lungimirante di Starmer, non sono riusciti ad approfittare del calo dei conservatori, cedendo il passo ai partiti locali o persino ai Liberal Democrats. Negli ultimi tempi, i laburisti hanno anche pagato il loro completo allineamento alla politica bellicista antirussa del governo Sunak, che, insieme agli Stati Uniti, è diventato il principale sostenitore di Kiev. A tal proposito, Gordon ha affermato che “i principali mass media britannici spacciano rigorosamente un unico programma a favore della guerra, delle armi nucleari e anti-Cina, escludendo tutte le voci critiche dalla copertura televisiva”.
“La classe capitalista al potere in Gran Bretagna ha perso il suo ruolo all’interno dell’UE come paladina del neoliberismo economico e della politica estera e militare USA-NATO, eppure i tentativi dall’esterno di creare una relazione economica, tecnologica e mediatica esclusiva con gli Stati Uniti vengono respinti mentre il presidente Biden cerca alleati e mercati altrove“, ha affermato il leader sindacale. Allo stesso tempo, la dipendenza parassitaria del capitalismo britannico dai servizi finanziari, dagli investimenti all’estero e dal profitto a breve termine in patria sta guidando l’attuale offensiva contro gli standard di vita, l’occupazione stabile e i diritti democratici: “I lavoratori reagiscono sulla base della politica di classe, poiché la disaffezione verso i principali partiti politici, le elezioni e l’integrità del governo e dello Stato continua a crescere“, ha insistito Gordon.
Le elezioni suppletive non costituiscono dunque che un ennesimo tassello che va ad aggiungersi al mosaico della crisi strutturale del sistema politico britannico, che presto potrebbe portare al crollo dello stesso ed alla scomparsa del Regno Unito come lo conosciamo. Sebbene il movimento indipendentista scozzese abbia subito una battuta d’arresto dopo l’uscita dalla scena politica di Nicola Sturgeon, i sentimenti anti-londinesi tanto in Scozia quanto in Irlanda del Nord prendono più piede, e presto potrebbero porre fine a questo retaggio dell’imperialismo inglese, che, secoli or sono, iniziò la propria espansione proprio dai territori contigui.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog