Quando la rivoluzione socialista ha successo solo in paesi in cui non è possibile sviluppare subito una società socialista diviene necessaria una transizione attraverso il capitalismo di Stato. D’altra parte non si può fare di necessità virtù e scambiare questa tragica necessità storica con il socialismo del XXI secolo.
Come è noto, Marx fa notare che gli uomini si pongono realmente un problema quando sono presenti le condizioni reali per la sua risoluzione. Perciò un modo di produzione dominante non può essere generalmente superato fino a che non ha offerto tutto quanto poteva dare allo sviluppo del genere umano. Ora se i paesi a capitalismo avanzato, a causa della crisi strutturale di sovrapproduzione, non hanno più nulla da offrire, un discorso analogo non vale per il capitalismo di Stato che si è affermato in paesi come la Repubblica popolare cinese e il Vietnam. Dunque, a livello internazionale, abbiamo il paradosso per cui sono paesi saldamente guidati da due partiti comunisti a impedire al capitalismo di giungere al termine della fase in cui ha svolto una funzione storica progressiva, in relazione ai precedenti modi di produzione.
Naturalmente non si può incolpare il Vietnam e la Repubblica popolare cinese per aver “salvato” il capitalismo dalla sua crisi epocale. Innanzitutto questo discorso vale solo a livello internazionale, mentre nei paesi a capitalismo avanzato questo modo di produzione ha ormai da tempo, a partire dagli anni settanta, portata a termine la propria funzione storica progressiva. In secondo luogo, purtroppo, la crisi del capitalismo non significa necessariamente il passaggio a un modo di produzione più razionale, giusto e progressivo come il socialismo, ma potrebbe comportare il precipitare in una fase più o meno prolungata di regresso della civiltà o potrebbe aprire una lunga complessa e tortuosa fase di transizione in cui il vecchio muore e il nuovo non è ancora in grado di affermarsi. Si tratta di una fase molto delicata e pericolosa che può protrarsi per secoli, come ultracentenario può essere il regresso della civiltà. Tanto più che, se guardiamo al passato, c’è davvero poco da consolarsi. Il passaggio dalla crisi definitiva del feudalesimo nel quattordicesimo secolo, all’affermarsi del capitalismo nel diciannovesimo secolo, almeno nei paesi più avanzati, è durato all’incirca cinque secoli. Tornando al precedente grande passaggio dal modo di produzione schiavistico al modo di produzione feudale, la gestazione di quest’ultimo ha impiegato all’incirca ottocento anni, dal momento in cui il sistema precedente non aveva più nulla di significativo da offrire nel terzo secolo, all’affermazione del feudalesimo nel XI secolo, per limitarci anche in questo caso ai paesi più avanzati. Infine, ancora più lungo è stato il passaggio dal comunismo primitivo all’affermarsi del modo di produzione schiavistico.
Certo la storia sembra indicare che, con il passare del tempo e lo sviluppo della civiltà umana, i tempi della gestazione del nuovo modo di produzione tendano ad accorciarsi, per cui potrebbero volerci all’incirca due secoli prima che si possano affermare, almeno nei paesi più avanzati, delle società realmente socialiste. Tutto ciò da una parte è certamente consolante, in quanto è la evidente dimostrazione che l’ideologia della fine della storia è assolutamente falsa e tendenziosa e mira a far venir meno l’indispensabile principio speranza e lo stesso spirito dell’utopia. Peraltro la storia non è mai lineare né in un senso, né nell’altro, non c’è niente di straordinario che dopo una fase di grandi sviluppi del movimento socialista e comunista si abbia una fase di profonda crisi internazionale. Il che non toglie che anche quando non ci se lo aspetta – come nessuno aveva previsto il crollo del blocco sovietico o la rivoluzione socialista in Russia – ci possa essere un nuovo significativo sviluppo storico. Tale sviluppo non è affatto detto che debba venire da quei paesi e popoli che in passato hanno dato un contributo fondamentale al progresso storico. Anzi, probabilmente, come spiega Hegel, è più probabile il contrario, cioè che nuovi paesi, come oggi Cina e Vietnam, siano in quest’epoca i principali artefici dello sviluppo storico.
Tutto ciò a ulteriore dimostrazione che, al contrario di quanto danno a intendere i facili profeti di sventura, la spinta propulsiva della Rivoluzione di ottobre, dopo tanti anni, non è affatto terminata, se sono ancora i paesi guidati dai partiti comunisti a essere all’avanguardia nello sviluppo del genere umano. D’altra parte, non si può nemmeno cadere nell’errore opposto di chi sostiene che non ci sono alternative, che bisogna rassegnarsi, perché tanto ci vorranno secoli prima di uno sviluppo in senso socialista. In effetti, non solo il socialismo non verrà mai da solo, non si affermerà mai in modo spontaneo, ma non è scritto da nessuna parte che la specie umana continuerà a esistere o a svilupparsi fra due secoli. Le contraddizioni distruttive del capitalismo, nella sua fase imperialista di crisi, non possono che portare a conflitti sempre più devastanti, che mettono progressivamente a rischio la stessa sopravvivenza della specie umana.
Altri rischi da evitare sono quelli che portano a demonizzare paesi come la Repubblica popolare cinese, considerandola come l’avanguardia del turbo capitalismo da contrastare. Non bisogna, al contrario, perdere di vista gli aspetti innovativi e avanguardisti del capitalismo di Stato. Si tratta, in effetti, della tanto osannata terza via, che cerca una sintesi produttiva fra gli elementi ancora validi del modo di produzione capitalista e gli aspetti che già sono realizzabili del socialismo in paesi in cui i comunisti hanno conquistato il potere in condizioni in cui non era possibile sviluppare una società socialista. Si tratta di una economia socialista di mercato, in cui non si cancella il libero sviluppo della società civile, ma al contempo si cerca, per quanto possibile, di regolarla dal punto di vista superiore e universale del bene comune. Così in tali paesi non vi è il dominio degli spiriti animali del capitalismo, degli aspetti più individualisti e anarcoidi, ma al contrario si inseriscono in una moderna società di mercato alcuni aspetti tipici del socialismo, come la pianificazione e la regolazione della sfera privata da parte della sfera pubblica. In qualche modo, si tratta della realizzazione di alcuni aspetti della concezione idealistica dello Stato di Hegel. Per cui, al di sopra della società civile, che va mantenuta relativamente libera, vi sono i funzionari pubblici, che svolgono la funzione guida di classe universale, in funzione della realizzazione di una società di mercato regolata.
Certo l’attuale governo comunista cinese e vietnamita non si è inventato niente. È stato Lenin a teorizzare e sperimentare per primo la necessità di sviluppare, quando alla conquista del potere in paesi arretrati non segue la Rivoluzione in occidente, un capitalismo di Stato come passaggio intermedio per costruire in seguito una società socialista. Come sappiamo, però, questi processi nei paesi del blocco sovietico non hanno avuto successo e hanno finito con l’affermarsi le forze della controrivoluzione che hanno imposto forme di capitalismo liberista. Mentre in Cina e in Vietnam le forze della controrivoluzione sono state, momentaneamente, sconfitte. D’altra parte ai grandi successi nella lotta per lo sviluppo delle forze produttive, che ha consentito a milioni di persone di uscire dall’indigenza, non ha fatto seguito l’indispensabile lotta di classe contro le forze controrivoluzionarie. A queste ultime si è dato sempre più spazio dal punto di vista economico, in cambio della sostanziale resa dal punto di vista politico. Così se i partiti comunisti hanno mantenuto il pieno dominio sul piano politico, dal punto di vista economico si sono venute a creare delle società sempre più miste in cui il capitalismo di Stato convive con forme in espansione di capitalismo liberista.
Se sul piano economico le forze della controrivoluzione acquistano sempre maggiore forza, ciò dipende in primo luogo, dal fatto che i partiti comunisti al potere hanno rinunciato alla lotta di classe, cioè a sostenere il capitalismo di Stato contro l’offensiva liberista, ponendo idealisticamente lo Stato come arbitro imparziale. Da questo punto di vista la posizione delle attuali dirigenze comuniste di questi due grandi paesi è completamente differente da quella di Lenin e, ancora di più da quella di Mao Tse Tung, che erano pienamente consapevoli che in fasi di transizione non solo la lotta di classe non veniva meno, ma tendeva, al contrario, a inasprirsi.
Tanto più allarmante appare la tendenza sia nel marxismo occidentale che in quello orientale a fare di necessità virtù, cioè a non riconoscere che si tratta di una società in cui sempre più convivono forme di capitalismo di Stato con forme di capitalismo tradizionali, al punto da considerare l’attuale sistema misto il socialismo con caratteristiche cinesi. Il più importante teorico di questa posizione in occidente è senza dubbio Domenico Losurdo che non solo non parla di capitalismo di Stato, ma neppure di socialismo con caratteristiche cinesi, quanto piuttosto tende a interpretare l’attuale sistema misto cinese come l’unico reale e autentico socialismo, finalmente liberatosi dalle tendenze utopiste del comunismo. Non a caso Losurdo tende a ritornare dalle posizioni giudicate troppo utopiste di Marx, alle posizioni decisamente più realiste di Hegel. Tale interpretazione non ha successo solo dal punto di vista teorico fuori della Cina, ma anche dal punto di vista pratico. Diverse forze che si richiamano al comunismo tendono a fare proprie tali prospettive.
Tali posizioni sono ancora più preoccupanti di quelle degli stessi marxisti cinesi, che peraltro nel loro paese non sembrano godere di particolare popolarità. Si tratta, in effetti, di posizioni che appaiono minoritarie fra gli stessi intellettuali della Repubblica popolare cinese, che non sembrano nella maggioranza dei casi interessati a giustificare da un punto di vista socialista l’attuale corso.
Il problema è che non di rado fuori della Cina il presunto socialismo con caratteristiche cinesi viene considerato come il più significativo sviluppo della concezione del marxismo nel XXI secolo. In tal modo si finisce, generalmente in perfetta buona fede, per abbracciare una posizione decisamente revisionista che scambia un sistema misto fra capitalismo liberale e capitalismo di Stato con la forma più attuale ed efficace di socialismo. Si rischia così, per quanto inconsapevolmente, di ripercorrere i tipici errori dello stalinismo, che ha portato a interpretare tutti i compromessi e i passi indietro dell’Unione sovietica non come una più o meno necessaria, per quanto tragica, contingenza storica, ma come la via maestra per costruire una società socialista, tanto da divenire addirittura un modello
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