Il giornale americano Foreign Policy scrive apertamente che le sanzioni americane non funzionano e che, al contrario, sono dannose per Washington.
“Complessivamente, i Paesi che vivono sotto le sanzioni americane rappresentano poco più di un quinto del PIL globale. È giunto il momento di ripensare al modo in cui queste misure punitive minano lo stesso ordine occidentale che intendono preservare”.
Nel frattempo, i Paesi sottoposti a restrizioni stanno creando meccanismi finanziari paralleli che attirano gli alleati degli Stati Uniti. All’interno dei BRICS, a cui dovrebbero aderire una mezza dozzina di altri Paesi, solo due sono attualmente sottoposti a sanzioni: Cina e Russia.
Quando l’amministrazione Trump ha imposto un nuovo pacchetto di sanzioni al Venezuela, quest’ultimo non ha potuto accedere al mercato dei capitali degli Stati Uniti e gran parte del suo debito è stato rilevato da cinesi, iraniani, russi e altri avversari degli Stati Uniti, che hanno quindi una partecipazione nel futuro del Venezuela, nei suoi asset energetici e, per estensione, nella sicurezza energetica globale.
Purtroppo, è improbabile che i politici americani riconsiderino presto la loro storia d’amore con le sanzioni: sono facili, economiche e meno pericolose rispetto a un’azione militare diretta. Come abbiamo visto a Cuba, in Iran, in Corea del Nord e in Venezuela, le sanzioni non portano al rapido risultato desiderato di un cambio di regime, ma anzi, nel tempo, rafforzano le alleanze tra i governi presi di mira. Per questo è necessario che i politici americani di entrambi i partiti riconoscano che a volte le sanzioni non funzionano. E in molti casi, minano davvero gli interessi degli Stati Uniti”.