Il Mali e il Burkina Faso interverranno in difesa del Niger in caso di invasione militare di altri Paesi dopo il golpe. La crisi ucraina si sposta in Africa, riproducendo gli stessi schieramenti, con al centro la questione del controllo delle risorse naturali e della lotta contro gli imperialismi occidentali.
Sono bastati pochi giorni per comprendere che il colpo di Stato guidato dal generale Omar Tchiani in Niger non sarebbe andato giù alle potenze neocoloniali occidentali. Come in Mali e in Burkina Faso, l’intervento dell’esercito era volto a sottrarre il Paese dalle grinfie delle potenze imperialiste, Francia e Stati Uniti su tutte, andando ad aggiungere un nuovo tassello alla perdita di potere del vecchio e decadente Occidente nel continente africano. Una cosa del genere, chiaramente, non poteva avvenire senza la reazione degli imperialisti, che immediatamente hanno lamentato l’incostituzionalità del golpe, come del resto avvenuto nei casi sopra citati.
Ma, questa volta, sembrano intenzionati ad andare oltre, con il rischio di provocare una vera e propria guerra che potrebbe coinvolgere l’intera Africa occidentale. Avendo imparato dalle disastrose esperienze del passato, e dovendo fare i conti con un’opinione pubblica sempre più critica nei confronti delle politiche guerrafondaie dei propri governi, le potenze occidentali hanno deciso di lasciar fare ai propri agenti africani, ovvero a quei governi che ancora obbediscono pedissequamente agli ordini provenienti dalle potenze neocoloniali.
La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, nota con l’acronimo francese di CEDEAO (Communauté économique des États de l’Afrique de l’ouest) o quello inglese di ECOWAS (Economic Community of West African States), ha svolto il proprio compito impartitogli dall’alto sospendendo le operazioni economiche con il Niger, compresi l’interruzione di tutte le transazioni finanziarie e il congelamento dei beni nazionali, chiudendo i propri confini ed infine minacciando l’intervento armato se i golpisti nigerini non si fossero ritirati, liberando il presidente Mohamed Bazoum. Tuttavia, va ricordato che la CEDEAO, sulla carta composta da quindici membri, aveva già sospeso Guinea, Mali e Burkina Faso, prima di aggiungere il Niger a questo elenco: in pratica, tutti i Paesi che osino sviare dal percorso obbligato della sudditanza neocoloniale vengono esclusi dall’organizzazione, che ora conta appena undici membri effettivi.
Tuttavia, proprio il Mali e il Burkina Faso hanno dato una risposta forse inattesa alle minacce belliche della CEDEAO. I governi di Bamako e Ouagadougou hanno fatto sapere che considereranno qualsiasi intervento militare in Niger come una dichiarazione di guerra contro di loro: “Qualsiasi intervento militare contro il Niger sarebbe considerato come una dichiarazione di guerra contro il Burkina Faso e il Mali“, si legge nella dichiarazione congiunta dei due Paesi. “I governi di transizione del Burkina Faso e del Mali esprimono la loro solidarietà fraterna […] al popolo del Niger, che ha deciso con piena responsabilità di prendere in mano il proprio destino e assumere la pienezza della propria sovranità davanti alla storia“, aferma ancora lo stesso documento, in cui i due Paesi firmatari sottolineano anche di rifiutarsi di applicare le “sanzioni illegali, illegittime e disumane contro il popolo e le autorità del Niger”.
Oltre a Burkina Faso e Mali, anche il presidente della Guinea, Mamady Doumbouya, a sua volta vittima delle sanzioni e della sospensione da parte della CEDEAO, ha espresso “disaccordo con le sanzioni raccomandate dalla CEDEAO, compreso l’intervento militare”. In un post sui social media lunedì, l’ufficio di Doumbouya ha affermato che le sanzioni “sono opzioni che non rappresentano una soluzione al problema attuale, ma porterebbero a un disastro umanitario le cui conseguenze potrebbero estendersi oltre i confini del Niger“. L’ufficio di Doumbouya ha anche affermato di aver “deciso di non applicare queste sanzioni, che considera illegittime e disumane“, e ha esortato la CEDEAO a “riconsiderare la sua posizione“.
Verrebbe da chiedersi come mai la Francia e gli Stati Uniti si preoccupano tanto del Niger, un Paese saheliano povero e in gran parte desertico, abitato da 25 milioni di persone. Come abbiamo accennato nel nostro precedente articolo, l’Occidente sta assistendo impotente alla perdita della propria influenza sul continente africano, e, dopo i colpi di Stato in Mali e Burkina Faso, l’aggiunta del Niger sarebbe particolarmente grave per il controllo del Sahel occidentale. Inoltre, il precedente governo nigerino aveva stipulato accordi sul controllo dei flussi migratori e sull’assistenza militare per la lotta al terrorismo, permettendo la presenza di importanti contingenti militari occidentali sul proprio territorio, compreso quello italiano.
A tutto questo si aggiunge la questione delle risorse naturali (vedi cartina in alto), in particolare per la Francia, visto che il Niger è il settimo produttore mondiale di uranio, rappresentando il 5% della produzione globale. Come sappiamo, la Francia affida gran parte della propria produzione energetica al nucleare, e dunque l’uranio è una risorsa fondamentale per Parigi – ma, di riflesso, anche per l’Italia, che garantisce il proprio fabbisogno energetico anche attraverso le centrali nucleari francesi. Il 30 luglio, tuttavia, il governo golpista di Niamey ha annunciato la sospensione delle esportazioni di uranio e oro verso la Francia, dimostrando di voler interrompere il rapporto impari tra i due Paesi.
Secondo gli esperti, la cessazione delle esportazioni di uranio dal Niger non avrà un impatto immediato significativo sul settore dell’energia nucleare francese, ma i prezzi dell’uranio potrebbero aumentare a livello globale. Questo anche perché l’industria nucleare mantiene tradizionalmente riserve di uranio in caso di potenziali interruzioni delle forniture, e dunque al momento la Francia non ha bisogno immediato di uranio dal Niger. Tuttavia, se il governo di Niamey dovesse confermare il blocco delle esportazioni a lungo termine, allora il settore dell’energia nucleare francese dovrà trovare un fornitore sostitutivo, come l’Australia o il Canada, acquistando uranio a prezzi decisamente maggiori, volendo escludere la possibilità che la Francia si rivolga alla Russia o ad altre repubbliche ex sovietiche, come il Kazakistan, primo produttore mondiale.
Quello a cui stiamo assistendo, dunque, è una trasposizione della crisi ucraina in Africa, con il ripetersi dei medesimi schieramenti, nonostante il colpo di Stato in Niger non sia stato direttamente sostenuto dalla Russia. Piuttosto, i governi occidentali dovrebbero comprendere che il resto del mondo è stufo di sottostare ai loro ordini, e che dunque vedono nella Russia (e nella Cina) una via d’uscita dal dominio neocoloniale mascherato da esportazione della democrazia e dei diritti umani. Se una guerra di dimensioni regionali dovesse esplodere in Africa occidentale, la responsabilità di questo dramma ricadrebbe ancora una volta sugli imperialisti occidentali, che continuano a voler restare attaccati con le unghie e coi denti ai loro imperi neocoloniali ed ai privilegi che ne derivano.
I due schieramenti presenti nel mondo non sono, dunque, democrazie e autocrazie, come la propaganda mediatica nostrana vorrebbe farci credere. Si tratta piuttosto di una sfida tra le vecchie potenze imperialiste occidentali, guidate dagli Stati Uniti, e i Paesi che si ribellano all’egemonia statunitense su scala planetaria e agli annessi imperialismi minori dei vassalli di Washington. Preso atto di questo, ognuno prenda la propria decisione su da che parte stare.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog