È stata definitivamente approvata la delega fiscale del Governo Meloni, cioè il progetto di riforma del sistema del fisco targato centro-destra che troverà poi concreta attuazione con i decreti che il Governo potrà emanare nei prossimi mesi.
Il testo finale non presenta significative novità rispetto a quello iniziale, che abbiamo già commentato nei suoi elementi essenziali (in sintesi: meno progressività e fiscalità di favore per imprese e redditi da capitale); fra gli elementi che ne sono comunque usciti rafforzati, e su cui vogliamo concentrarci oggi, c’è quello particolarmente odioso dei regali agli evasori.
La delega in effetti è particolarmente benevola verso chi le tasse decide – deliberatamente – di non pagarle proprio, o di pagarle solo in parte. L’evasione fiscale, si cui spesso si parla un po’ a sproposito, è un fenomeno che dal nostro punto di vista ci interessa soprattutto da due punti di vista:
1. È un fenomeno che – interessando nelle sue dimensioni essenziali prevalentemente le fasce più ricche della popolazione – riduce (ulteriormente) la progressività di un sistema fiscale; dunque, indebolisce la possibilità che il sistema fiscale sia uno strumento di redistribuzione della ricchezza;
2. È un “privilegio” riservato solamente ad alcune categorie di reddito (imprese, lavoro autonomo, proprietari di immobili, rendite finanziarie, etc.); un lavoratore dipendente o un pensionato subisce alla fonte le ritenute fiscali e dunque l’evasione fiscale va osservata anche dal punto di vista del conflitto di classe.
Tenendo a mente quanto sopra, si capisce che la strizzatina d’occhio agli evasori non poteva mancare all’interno di una delega fiscale tutta improntata a garantire privilegi alle categorie più vicine al Governo. Ma in cosa consistono più precisamente questi favori? Vediamo alcuni esempi.
Nella scelta (come detto, per chi può farla) fra evadere e non evadere, l’unica differenza la giocano le sanzioni: se scelgo di evadere, può essere che mi va bene e porto a casa il bottino pieno, o può essere che mi scoprano, e dovrò pagare le imposte dovute oltre le sanzioni previste. E il governo, invece, nella legge delega (all’art. 18) cosa dice (art. 18)? Si prevede che “la volontaria adozione di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale (…) possa assumere rilevanza per escludere ovvero ridurre l’entità delle sanzioni”. Si introduce un precedente pericolosissimo: un’impresa potrebbe farsi certificare dal proprio commercialista che ha istituito un sistema interno di “controllo del rischio fiscale” e grazie a questo, nel caso dovesse subire un controllo fiscale, sarebbe esentata dal pagamento di qualsiasi sanzione pecuniaria. A questo punto c’è da chiedersi perché mai l’impresa in questione debba fare una dichiarazione fiscale regolare, visto che, quand’anche dovesse subire un controllo, non subirebbe comunque nessuna punizione particolare.
Ma si può sempre fare di più, e infatti il Governo si premura di impedire a monte che possa aversi una qualche contestazione fiscale. Nell’ambito dei “procedimenti” (art. 17) si introduce l’istituto del “concordato preventivo biennale”, in base al quale il contribuente fa una sorta di accordo con l’Agenzia delle Entrate definendo preventivamente quanto pagherà di imposte per i prossimi due anni, e in cambio l’Agenzia delle Entrate si asterrà da tutta una serie di controlli ordinari. Si tratta di un istituto in realtà già esistente, ma prima riservato a limitate categorie di contribuenti, ed ora notevolmente ampliato (anche a contribuenti persone fisiche, sempre che titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo) e che di fatto limita a monte la possibilità di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate, con tutta una serie di criticità ulteriori. Prima di tutto, l’Agenzia (che, come tutte le pubbliche amministrazioni, ha subito un notevole impoverimento di personale in questi anni) difficilmente potrà controllare preventivamente nel merito un gran numero di richieste di concordato, e c’è quindi il rischio che sarà costretta a mettere un bollino su previsioni effettuate da privati, legandosi poi le mani in tema di controlli successivi. Inoltre, lo strumento del concordato preventivo pare fatto apposta perché un contribuente possa pianificare quanto pagare di imposte e quando, spalmando nel corso del tempo alcuni ricavi che in questo modo sfuggirebbero completamente a imposizione. Infine, è una procedura che per l’ennesima volta avvantaggia i più ricchi, in quanto è ovvio che quanto più è bravo il tuo consulente (e quanto meglio puoi permetterti di pagarlo) maggiore sarà il tuo risparmio fiscale.
Il Governo, insomma, pare superare la stagione dei condoni (che comunque non spariranno…) semplicemente istituzionalizzando una sorta di condono preventivo, in cui è il contribuente stesso a decidere quanto e quando pagare, con la garanzia che in caso di irregolarità comunque non subisce sanzioni!
Il trattamento con i guanti di velluto per gli evasori è particolarmente odioso se pensiamo che negli stessi giorni si assiste alla definitiva cancellazione del reddito di cittadinanza, con un rilancio della retorica della caccia a qualche “furbetto” che avrebbe mandato in rovina il bilancio dello Stato ricevendo indebitamente tale misura di sostegno, che in realtà ha permesso a centinaia di migliaia di famiglie in difficoltà in questi anni semplicemente di campare. Una retorica che non regge neanche alla prova dei numeri, se pensiamo che il reddito di cittadinanza è costato 8 miliardi nel 2022 mentre le stime dell’evasione fiscale e contributiva oscillano fra 90 e i 100 miliardi l’anno. E attenzione: stiamo parlando dell’intero stanziamento annuale per il RdC. Ma quali sono i dati sulle indebite percezioni di questo strumento di sostegno al reddito? Prendendo in considerazione i dati della Guardia di Finanza relativi al periodo dal 1° gennaio 2021 al 31 maggio 2022, gli illeciti relativi al RdC sono stati pari a 288 milioni di euro, l’1,4 per cento del totale dello stanziamento nel medesimo periodo. Per fare un confronto, nello stesso rapporto la GdF sottolinea di aver accertato frodi per oltre 5,6 miliardi di euro nel campo dei crediti d’imposta agevolativi in materia edilizia ed energetica. Per non parlare dell’evasione fiscale e contributiva, che nel 2019 (dati NADEF 2022) ha raggiunto la ragguardevole cifra di 99 miliardi di euro. Eppure, il governo Meloni va a premiare implicitamente proprio chi ha contribuito in maniera determinante a questo dato.
Questo il segno della politica economica del Governo Meloni: togliere ha chi ha poco o niente, per permettere a chi ha molto di avere sempre di più, anche quando questo vuol dire sottrarsi ai (residui) obblighi fiscali. Anzi, è necessario togliere agli ultimi proprio per regalare ulteriori sconti ai più ricchi. Questo perché, quando si aprirà la fase di attuazione concreta della delega, entrerà in campo un convitato di pietra, rappresentato dall’ossessione del Governo per il rispetto di una rigida disciplina di bilancio, per cui ogni misura di favore verso i soggetti più abbienti (sia nella forma di sconto che di condono fiscale) dovrà essere finanziata da nuovi tagli alla spesa pubblica, a cominciare da quella sociale. È per questo che da settembre la questione fiscale sarà uno degli ambiti su cui continuare a costruire l’opposizione al Governo