Il prossimo direttore degli Uffizi (ma anche quelli di Brera e di Capodimonte, e di inezie come la GNAM, le Gallerie Nazionali di arte antica di Roma, le Estensi a Modena, la Galleria Nazionale dell’Umbria e il Museo Nazionale d’Abruzzo) non saranno scelti da qualcuno che sappia davvero cosa sono quei musei, o che abbia almeno una conoscenza professionale della storia dell’arte. La commissione appena nominata dal ministro Gennaro Sangiuliano è infatti composta da un professore di diritto privato, una di economia e tecnica dei mercati finanziari (?!), una di archeologia e da due funzionari del Ministero, un archeologo e una formalmente qualificata come storica dell’arte, ma di fatto laureata con una tesi in storia dell’architettura ed assunta come funzionaria bibliotecaria. Tanto varrebbe far scegliere loro il primario di cardiologia del Cardarelli o un controllore di volo di Peretola. Siamo al trionfo dell’incompetenza, altro che governo del merito!
A ragione, le consulte degli storici dell’arte hanno inviato al Ministro una lettera in cui si denuncia: «Una scelta così sbilanciata nella composizione della commissione, dove gli storici dell’arte hanno un ruolo del tutto marginale, nonostante la grande maggioranza dei musei oggetto del bando siano caratterizzati da collezioni storico-artistiche, è davvero un pessimo segnale. In questo modo il MiC mette nero su bianco il disprezzo per le competenze scientifiche che onorano la cultura italiana». Il ministro fascista Giuseppe Bottai tollerava, nel governo del patrimonio, giovani storici dell’arte antifascisti (si chiamavano Brandi, Longhi, Argan…) perché competenti: i suoi attuali nipotini fanno esattamente il contrario, escludendo la competenza e pretendendo invece fedeltà. Proprio vero che la tragedia sta riandando in scena in forma di farsa.
Replicando a critiche come queste, il Direttore generale dei Musei del MiC, professor Massimo Osanna, ha, tra l’altro, dichiarato che «i musei come luoghi della cultura si configurano come piccole aziende e quindi hanno bisogno di figure complesse con capacità anche manageriali per la direzione, unite alle competenze tecniche che da sole non bastano». Parole che meriterebbero un lungo commento. La prima cosa che colpisce è la loro vetustà: sarebbero state “moderne” al tempo della Thatcher, quando si ponevano le basi ideologiche per lo smantellamento del concetto stesso di “pubblico”, in favore del trionfo del modello “privato”. Partiva allora il treno per cui abbiamo chiamato “aziende” le Unità sanitarie locali, abbiamo trasformato il preside scolastico in una specie di amministratore delegato, abbiamo immaginato la ricerca scientifica come una fabbrica di “prodotti della ricerca” da valutare a seconda della confezione (cioè del luogo di pubblicazione: quasi fossero libri del Premio Strega, che notoriamente si votano ma non si leggono)… Un treno che, per quanto riguarda i musei, Giovanni Previtali definì «il treno della mercificazione del patrimonio culturale».
Pazienza se la definizione dell’International Council of Museums ci ricorda che «il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto». No, per l’attardatissima classe dirigente italica il museo è un’azienda. Una «macchina da soldi», come disse degli Uffizi Matteo Renzi, questo Blair de noantri.
Da un direttore generale dei musei, oggi, mi aspetterei un discorso profondamente diverso: vorrei sentirlo dire che i musei sono istituti di ricerca, e che possono essere diretti solo da un vero ricercatore. E che, certo, ci vuole anche un direttore amministrativo (sotto ordinato al primo): proprio come nelle università ci sono un rettore e un direttore generale. E che dunque si troveranno i soldi per mettere accanto a veri storici dell’arte, veri tecnici dell’amministrazione pubblica: e che entrambi non saranno lottizzati da commissioni alla catena. Questo vorrei sentirmi dire: e invece prolungare la notte nera in cui tutti i direttori-manager sono neri serve solo a una cosa. A dare mano libera alla politica: che, come già con Franceschini, farà spoil system anche dei musei. E questa volta i direttori rischiano di essere neri davvero.