- Piccole Note
“I funzionari dell’intelligence USA non si aspettano che, nel corso della controffensiva, l’Ucraina raggiunga la città di Melitopol occupata dai russi, hanno riferito fonti che hanno familiarità con un documento riservato che riferisce sulle prospettive future. Melitopol si trova all’incrocio di due importanti autostrade e di una linea ferroviaria che consentono alla Russia di spostare truppe e rifornimenti dalla penisola di Crimea agli altri territori occupati nell’Ucraina meridionale […] Se non riusciranno a cacciare le truppe russe da Melitopol, ciò vorrà dire che l’Ucraina non ha raggiunto uno degli obiettivi chiave della controffensiva in corso: tagliare il ponte di terra che collega la Russia alla penisola di Crimea”. Così sul Washington Post di oggi.
In realtà, tagliare il ponte di terra in questione non è uno degli obiettivi chiave dell’offensiva, è stato ed è l’obiettivo unico. Non potendo conseguire tale obiettivo, l’offensiva ucraina è fallita.
Ma questo si sapeva. L’intelligence USA ci è arrivata solo adesso, denotando poca intelligence oppure che le sue analisi sono fortemente influenzate dai falchi, che vogliono a tutti i costi previsioni trionfalistiche.
Questo il palese fallimento di un attacco costato sangue agli ucraini, mandati al macello in modo tanto sconsiderato solo per alimentare la narrazione di una possibile, anzi sicura, vittoria di Kiev, cosa alla quale nei piani alti non credeva nessuno. Un attacco inutile dal punto di vista strategico, ma forzato a tutti i costi per impedire che la dura realtà costringesse le parti all’inevitabile negoziato.
Per alimentare tale narrazione trionfalistica, ieri tutti i media internazionali hanno rilanciato a sirene spiegate la prima vittoria delle forze di Kiev, la conquista di Urozhaine, come se avessero vinto la battaglia di Stalingrado. In realtà, si tratta di una vittoria secondaria – si tratta di un villaggio di mille abitanti – ottenuta a prezzo di immani sacrifici.
In quella zona, infatti, si è concentrato il massimo impegno delle forze di Kiev, nel tentativo di riprendere Rabotino, conquista che dovrebbe aprire loro ulteriori spazi di manovra e che da mesi cercano invano di espugnare.
Al fronte le ultime riserve di Kiev
Così su Forbes: “Le forze aeree ucraine hanno finalmente dispiegato la loro unità più potente. Infatti, l’82a brigata d’assalto aerea di 2.000 persone, accompagnata da veicoli da combattimento Marder e Stryker e carri armati Challenger 2, è entrata in azione presso Rabotino”.
“Tale dispiegamento è una buona e, insieme, una cattiva notizia per la tanto attesa controffensiva di Kiev”, dal momento che “l’82a brigata e la sua unità d’assalto aerea gemella, la 46a brigata, erano tra le ultime grandi unità che lo stato maggiore ucraino teneva in riserva”.
“Inviando finalmente quelle formazioni al fronte, gli ucraini possono aumentare notevolmente la loro potenza di fuoco lungo uno degli assi principali della controffensiva, quello che si estende per 50 miglia da Rabotino a Melitopol […] a Nord della riva del Mar Nero”.
“Ma nessuna brigata può combattere per sempre. Quando la 46a e l’82a brigata si ritireranno per far riposare gli uomini e ripristinare e riparare gli armamenti, potrebbero non esserci nuove brigate altrettanto potenti per sostituirle”.
Sul punto una nota di colore. L’apparizione dei Challenger 2 sul campo di battaglia è atto dovuto, perché sui media erano iniziati a circolare articoli nei quali si ipotizzava che i britannici avessero ordinato agli ucraini di non utilizzarli, temendo di vederli distrutti.
Si temeva, infatti, un danno di immagine per il Regno Unito, oltre che un danno ben più concreto al portafoglio legato alla commercializzazione dei Challenger, che si è aperta a nuove prospettive dopo la débâcle dei Leopard tedeschi sui campi di battaglia ucraini (sulla sparizione dei tank britannici anche articoli meno maliziosi, come quello dell’Express.uk dal titolo: “Dove sono finiti i carri armati Challenger britannici? Si chiede il tenente colonnello Stuart Crawford”).
Stallo o attacco
Al di là, il fallimento della controffensiva e l’evidente degradamento dell’esercito ucraino pongono la Russia di fronte a un bivio: deve decidere se conservare lo stallo attuale o meno.
La prima prospettiva si fonda sulla speranza che l’andamento della guerra e le prospettive future non altrettanto trionfali spingano gli sponsor di Kiev ad avviare colloqui di pace. Ma il rischio per Mosca è che in Occidente continuino a dominare i falchi e che questi usino lo stallo, soprattutto durante il gelido inverno, per ripristinare l’esercito di Kiev con nuovi fanti, armi, munizioni e mercenari.
In tale prospettiva, peraltro, si prolungherebbe, diventando sempre più perniciosa, anche la campagna di sabotaggi in territorio russo condotta dagli incursori ucraini con l’indispensabile assistenza NATO (i russi parlano di terrorismo, con certa ragione dal momento che i raid sono chiaramente diretti contro obiettivi civili).
Date le incognite dello stallo, c’è l’ipotesi di sfruttare l’attuale debolezza di Kiev per assestare un colpo decisivo. Non importa l’obiettivo specifico quanto ottenere un successo eclatante, impossibile da celare nella nebbia propagandistica, un po’ quel che avvenne in Vietnam con l’offensiva del Tet.
Se tale rovescio avvenisse durante le presidenziali statunitensi, Biden – o un candidato democratico a lui alternativo ma sodale nella guerra ucraina – avrebbe serie difficoltà con gli elettori americani, che non hanno simpatia per i perdenti. D’altronde politica USA e guerra ucraina fin dall’inizio sono intrecciate in maniera inestricabile.