Maurizio Biagiarelli

Oggi quando l’Unione Europea sentenzia, lo fa come se il resto del mondo non esistesse, senza accorgersi che è diventata un nano politico ed economico negli equilibri mondiali. E negli Stati Uniti le differenze sociali stanno innestando una polveriera a orologeria. La bolla occidentale rischia di scoppiare.

La bolla occidentale

Il grande contributo dell’internazionalismo socialista risiedeva nella rottura della bolla nazionale in cui i popoli si trovavano a vivere. Oltre i confini di ciascuno c’era di più (come oltre le gambe c’è di più).

Alle feste de L’Unità degli anni 60 e primi 70 era frequente incontrare stand di altri Paesi, dei loro movimenti democratici, e assistere a incontri-dibattito tra bianchi, neri, latino-americani, asiatici.

Ricordo benissimo che si respirava un’atmosfera di cooperazione e unione profondamente diversa da quell’appiattente mondialismo imposto dalla globalizzazione successiva, non a caso prodotta dall’espansione del capitalismo e dalla conseguente distorsione della divisione internazionale del lavoro.

Oggi quando l’Unione Europea sentenzia, lo fa come se il resto del mondo non esistesse. C’è una chiusura dentro il recinto del proprio orto e delle proprie regole, unita a una prosopopea spocchiosa, che impressiona per miopia di analisi e di prospettiva.

La UE non si sta accorgendo che oltre che un nano politico – come è sempre stata – è diventata un nano economico che conta poco o nulla negli equilibri mondiali.

Mi dà l’impressione di un aristocratico decaduto che pensa di di dettare ancora legge agli altri ed elabora editti tanto pomposi quanto privi di effetti concreti. Anche in tema di ambiente è così. Un grillo parlante preso a martellate dalla realtà, antipatico e ridicolo agli occhi dei popoli non occidentali.

L’Occidente europeo è una civiltà decadente, impaurita, invecchiata. Anche simbolicamente due esili signore, come Lagarde e von der Leyen, lo rappresentano adeguatamente sul palcoscenico mondiale.

Gli Stati Uniti rispondono con due ottantenni che si fanno la guerra come se non ci fosse un domani, mentre le cronache ci descrivono una nazione in preda al degrado sociale, infrastrutturale, urbano, fatte salve le isole glamour della California e della East Coast, tarlate anch’esse dall’esercito dei senza casa e sbandati che vivono tra i cartoni e le immondizie sotto i cavalcavia delle grandi arterie sopraelevate.

Le nostre città più grandi, le loro stazioni, i giardini pubblici e i sottopassi stanno anch’esse seguendo a ruota il modello americano, incapace di ricucire insieme i lembi di un tessuto sociale strappato che si divarica sempre di più tra i super ricchi e i disgraziati senza un futuro.

La bolla occidentale appare vicina a scoppiare. Il suo dominio sul pianeta è destinato a entrare definitivamente in crisi. Il “progressismo” evidenzia dentro le fibre della sua costruzione ideologica tutti i fili della sua autodistruttività. La cancel culture unita al catastrofismo ambientalista al crollo demografico recano in fronte come un segno di Caino tutti i sintomi di un inarrestabile declino.

Fortunatamente c’è il resto del mondo, di cui in Europa non si parla e non ci si interessa, ma che al di fuori della bolla occidentale pulsa di vitalità e che inevitabilmente ridisegnerà i confini del potere nel mondo. La sfida dell’Occidente non è quella ambientale – il pianeta cambierà come è sempre cambiato senza distruggersi.

La sfida epocale è quella storica di una svolta negli equilibri politici e di potere tra le regioni del mondo. Per noi che la viviamo da perdenti non sarà un pranzo di gala. Ma non per i motivi di cui sragiona la UE, direi per quelli opposti, che non riesce a vedere accecata come è dal suo unilateralismo e dalla sua presunzione.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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