In Ecuador, quasi il 60% della popolazione ha stabilito un precedente mondiale, scegliendo in una consultazione referendaria di bloccare lo sfruttamento del petrolio da uno dei suoi più importanti giacimenti, sito nel Parco Nazionale Yasuní, cuore dell’Amazzonia ecuadoriana. Il risultato del referendum – che si è svolto ieri parallelamente alle elezioni presidenziali, che sfoceranno nel ballottaggio tra i candidati Luisa González e Daniel Noboa – rappresenta una clamorosa vittoria per la coalizione ambientalista Yasunidos, che ha promosso la consultazione, e di tutto il movimento indigeno contro lo strapotere dei petrolieri.

Il referendum era stato convocato per chiedere ai 13,45 milioni di elettori ecuadoriani se volessero che lo sfruttamento del petrolio nello Yasuní, in atto da alcuni anni, proseguisse o meno. Il quesito recitava: “Sei d’accordo che il governo ecuadoriano mantenga il greggio dell’ITTnoto come blocco 43nel sottosuolo a tempo indeterminato?”. Una questione che ha spaccato la politica e la stessa sinistra ecuadoriana, divisa tra la fazione “indigenista”, favorevole allo stop, e quella “urbana”, che auspicava invece che lo Stato continuasse a incamerare le royalities derivanti dallo sfruttamento petrolifero dell’area. Eppure, il risultato finale è stato netto: hanno avuto ragione Yasunidos e il movimento indigeno, rappresentato in particolare dai Waorani, il gruppo etnico più numeroso che abita il Parco Nazionale.

Il Parque Nacional Yasuní è stato istituito nel 1979 su una superficie di 1.022.736 ettari. Nel 1989 l’Unesco lo ha dichiarato Riserva della Biosfera e nel 1999 è stata creata la riserva integrale Zona Intangible Tagaeri-Taromenane (ZITT). Nonostante a Yasuní siano stati segnalati dati sorprendenti sulla biodiversità per diversi  gruppi di flora e fauna – qui sono state trovate più di 2mila specie di alberi e arbusti, 204 mammiferi, 610 uccelli, 121 rettili, 150 anfibi e più di 250 pesci – nell’ottobre 2013 l’Asamblea Nacional dell’Ecuador ha approvato l’estrazione di petrolio in un’area di 1.030 ettari nel cosiddetto eje ITT. Tre anni dopo è iniziata l’estrazione di greggio, che secondo la compagnia petrolifera statale Petroecuador ha fruttato allo Stato più di 4.500 milioni di dollari di entrate.

Come indicato da una sentenza della Corte Costituzionale, lo Stato avrà ora un anno di tempo per smantellare le strutture, per un costo di circa 500 milioni di dollari. Petroecuador afferma che, a causa dei protocolli che a tal fine devono essere applicati, rispettare la dead line sarà materialmente impossibile. Il governo stima che il danno ammonterà a 1.200 milioni di dollari l’anno di mancati profitti, mentre i movimenti ambientalisti minimizzano le conseguenze economiche della chiusura, affermando al contrario che la gestione di greggi pesanti come quello di Yasuní potrebbe finire di essere redditizia nell’arco di pochi anni per la caduta del prezzo del petrolio.

Ad ogni modo, affinché lo Stato sia in grado di recuperare le entrate petrolifere che andrà a perdere con il blocco delle estrazioni, Yasunidos ha proposto la riduzione delle esenzioni fiscali, la rinegoziazione delle tariffe per le grandi compagnie telefoniche, la riscossione di debiti milionari dai primi 500 debitori del Servicio de Rentas Internas (SRI) e la promozione e l’aumento del turismo.

[Stefano Baudino]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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