Litio a Colchani, Potosí, in Bolivia © Alexander Schimmeck/Unsplash

I metalli indispensabili per la transizione sono estratti soprattutto nel Sud del mondo. Che valuta la possibilità di creare dei cartelli

Maurizio Bongioanni

Quella di Tenge-Fukurume è una delle più grandi miniere di cobalto al mondo. Si trova nella Repubblica Democratica del Congo e soddisfa un decimo del consumo mondiale. Il cobalto, si sa, è un metallo impiegato nelle batterie dei veicoli elettrici, quindi si tratta di una risorsa molto preziosa per la transizione energetica. Ad aprile la CMOC, l’operatore cinese che gestisce la miniera di Tenke-Fungurume, ha accettato di pagare 800 milioni di dollari al governo per risolvere una controversia fiscale che aveva visto l’azienda colpita da un divieto di esportazione per dieci mesi.

Ora l’esecutivo congolese sta effettuando una vasta revisione di tutte le sue joint venture minerarie con investitori stranieri. «Non siamo soddisfatti. Nessuno di questi contratti crea valore per noi», ha spiegato al Financial Times Guy Robert Lukama, capo della compagnia mineraria di proprietà statale del Congo, la Gécamines. Lukama vorrebbe vedere più posti di lavoroentrate e attività minerarie a valore nel Paese africano.

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Numerosi metalli necessari per la transizione ecologica sono estratti in Paesi in via di sviluppo © Paul-Alain Hunt/Unsplash

La domanda di metalli preziosi sta crescendo

Per il cobalto, il Congo rappresenta il 70% dell’estrazione globale. E concentrazioni così alte riguardano anche altri metalli critici. Indispensabili per il passaggio dall’attuale economia basata sui combustibili fossili a una alimentata da energia rinnovabile. Per esempio, per il nichel i tre principali produttori, Indonesia, Filippine e Russia, rappresentano i due terzi del mercato. Per il litio, tre principali produttori, Australia, Cile e Cina, rappresentano più del 90%.

La domanda di queste materie prime chiave è destinata a crescere. E, seguendo le proiezioni dell’attuale mercato, nessuna di queste avrà abbastanza miniere operative entro il 2030. Anno entro il quale dovremo aver agito abbastanza da esserci allineati all’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a +1,5 gradi centigradi. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), entro la fine del decennio il mercato del litio triplicherà le sue dimensioni, ma allo stesso tempo mancheranno almeno 2,4 milioni di tonnellate di rame.

Un Nuovo Ordine Energetico

Allo stesso tempo, la domanda globale di questi metalli sta trasformando le economie che li estraggono. Il passaggio da fonti fossili a rinnovabili sta trasformando la geopolitica dell’energia. Mentre fin dai tempi del colonialismo, i Paesi ricchi di risorse erano puntualmente vittime di sfruttamento, ora quegli stessi Stati hanno la possibilità di acquisire più potere. E riprendere il controllo del loro destino.

La Repubblica Democratica del Congo, infatti, non è la sola nazione che vuole trarre vantaggio da questa situazione. Solo nell’ultimo anno, Zimbabwe e Namibia hanno vietato le esportazioni di litio grezzo, mentre Cile e Messico hanno aumentato il controllo statale sull’estrazione. Nel frattempo, l’Indonesia ha aggiunto ulteriori strette sulle esportazioni di bauxite (un ingrediente chiave nell’alluminio) al suo preesistente divieto di esportazioni di minerale di nichel grezzo.

Non tutti condividono le intenzioni di questi Paesi. Diversi governi, da Washington a Bruxelles e Tokyo, stanno valutando dove e come possono ottenere in modo affidabile le materie prime di cui hanno bisogno. L’Europa, per esempio, si è appellata alla World Trade Organization per opporsi al divieto di esportazione sul nickel imposto dall’Indonesia, ottenendo un primo successo. La nazione asiatica ha fatto ricorso, sostenendo di aver adottato le stesse misure commerciali utilizzate dalle potenze occidentali in passato. Il Regno Unito, per esempio, nel 16esimo secolo vietò l’esportazione di lana per stimolare la produzione interna. Più di recente, gli Stati Uniti hanno introdotto alte tasse sulle importazioni di diversi beni, per incoraggiare la manifattura nazionale.

Insomma, una trasformazione c’è e sta rendendo alcuni Paesi storicamente “sottosviluppati” delle superpotenze delle materie prime, con i loro governi intenzionati a riscrivere le regole dell’estrazione mineraria. Addirittura, alcuni di questi – Indonesia in testa – hanno proposto un cartello delle materie prime, anzi per ciascuna di queste risorse così preziose per il futuro del Pianeta. Una sorta di Opec delle materie prime, sul modello del famoso cartello del petrolio nato tra Stati del Medio Oriente negli anni Settanta.

Ma arrivare a un’Opec delle materie prime potrebbe essere molto difficile

Sebbene l’idea di un’Opec per il rame, una per il nichel, una per il litio, un’Opec per il cobalto e così via, sia molto dibattuta in questo periodo tra i Paesi produttori, è altamente improbabile che questi governi raggiungano il tipo di potere geopolitico duraturo goduto dai produttori di petrolio e gas. A sostenerlo è l’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Rinnovabile (Irena), secondo la quale i produttori saranno in grado di esercitare la propria influenza solamente nel breve termine. Mentre l’evoluzione del mercato non garantisce a litio e compagnia lo stesso ruolo che i fossili hanno avuto fino a questo momento.

Per John Baffes, capo dell’unità specializzata nell’analisi delle materie prime presso la Banca Mondiale, i cartelli di successo hanno tre caratteristiche: un numero limitato di produttori, che condividono un obiettivo ben definito, entro un breve periodo di tempo. Al momento si stanno materializzando il primo e il terzo di questi obiettivi ma è il secondo a mancare.

Infatti, un esempio di come la produzione mineraria possa spostarsi è l’estrazione del litio in America del Sud. Il Cile è oggi il principale produttore della regione, ma l’Argentina, che ha politiche minerarie più favorevoli alle imprese e al libero mercato, potrebbe alla fine superare i numeri cileni. Così, il governo argentino si è già ritrovato a discutere della possibilità di un’Opec del litio insieme a Cile e Bolivia. Ma come ha spiegato al Financial Times la ministra responsabile delle risorse minerarie, Fernanda Ávila, «nonostante gli ottimi rapporti con i nostri vicini, questo oggetto di discussione non rientra attualmente nelle nostre agende politiche».

Il mercato della transizione cambia velocemente

C’è poi un altro fattore a rendere la costituzione di un cartello tra Stati produttori difficile, ovvero la velocità con cui le batterie elettriche stanno evolvendo. Infatti, a differenza del petrolio, che è molto difficile da sostituire come fonte di energia, i metalli per batterie presentano un rischio molto più elevato di sostituzione.

I centri di sviluppo stanno già lavorando per ottenere batterie che utilizzino meno metalli difficili da ottenere. L’esempio più lampante riguarda proprio il cobalto, di cui la Repubblica Democratica del Congo è il principale produttore. L’uso di batterie senza cobalto in Cina è aumentato dal 18% del mercato delle auto elettriche nel 2020 al 60% quest’anno. In questo caso, il cobalto è stato sostituito dal manganese. Di cui la Cina è piuttosto fornita.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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