di Geraldina Colotti
“Se un cane morde un uomo non fa notizia, ma se un uomo morde un cane, sì”. La frase data del 1882, viene attribuita a John B. Bogart, caporedattore del New York Sun e viene solitamente citata nelle prime lezioni di giornalismo per introdurre i reporter al favoloso mondo dell’informazione modello nordamericano. Da quando, però, la storia, da scontro di interessi fra le classi è stata trasformata in “narrazione”, e l’informazione in una merce al servizio dei grandi oligopoli, che la gestiscono e frammentano nei centri di smistamento globale, il trucco è quello di trasformare i fatti in uno spettacolo da baraccone, occultandone l’origine e le cause, per costruire “matrici d’opinione”.
Il Venezuela, e prima ancora Cuba, esempio di resistenza e prospettiva generale, ne sono una prova: qualunque latrato, emesso ad uso mediatico dai personaggi agiti da Washington viene moltiplicato fino a sembrare, a seconda degli obiettivi – mostrare forza, commuovere o convincere – un ruggito, o il guaito di un animaletto perseguitato, o la canea minacciosa di una muta che attacca.
Lo schema si intensifica, in Venezuela, a ogni appuntamento elettorale. A cinquant’anni dal golpe in Cile dell’11 settembre 1973, l’imperialismo Usa la pensa ancora come Kissinger che così diceva qualche mese prima della vittoria di Allende alle elezioni del 1970: “Non vedo perché dobbiamo aspettare e permettere che un paese diventi comunista solo per l’irresponsabilità del suo popolo”. Un’”irresponsabilità” che il popolo venezuelano si è assunta da 25 anni, votando ripetutamente il socialismo bolivariano, e per questo continua a sopportare un assedio multiforme, tanto feroce quanto inutile, definito con il termine di “sanzioni”, ma che deve intendersi con quello di “misure coercitive unilaterali”.
Un tema che torna a premere, in forma di rinnovato ricatto o di distorsione simbolica, sulla campagna presidenziale per il 2024, mediante pronunciamenti di organismi internazionali, ong, o personaggi della destra più rancida, che si servono delle piattaforme mediatiche messe a disposizione dagli Usa e dall’Europa.
E così, mentre il vertice dei BRICS denuncia questa pratica genocida, volta a provocare sofferenza nei popoli per indurli a rivoltarsi contro i loro legittimi governi, ecco comparire su quotidiani e piattaforme interviste e dichiarazioni di “opinionisti”, che ribadiscono quanto lo strumento delle “sanzioni” sia fondamentale per indurre il governo bolivariano a cedere il campo alla destra, affinché possa mettere le mani sulle straordinarie risorse del paese.
Come ha dichiarato di recente, Trump avrebbe preferito impossessarsi delle risorse venezuelane con metodi spicci e senza troppe mediazioni, ma la democrazia borghese ha bisogno di ammantare di retorica la propria vera natura, soprattutto quando deve governare con altre intonazioni, come ora è con Biden.
Mentre il lawfare, l’uso della magistratura per fini politici, sta dilagando in America Latina; mentre i potentati economici usano ogni cavillo per violare le loro stesse norme internazionali, arrivando persino a sequestrare e torturare un diplomatico come Alex Saab; mentre, come si è visto con Lula in Brasile, con Cristina in Argentina o con Correa in Ecuador, la destra al governo fa ampiamente uso del lawfare per inabilitare gli avversari politici, si pretende che una golpista dichiarata come Maria Corina Machado usi a proprio piacimento le istituzioni dello Stato, per disconoscerle o servirsene a seconda delle convenienze. La deputata ultra-atlantista, è stata inabilitata per 15 anni non per le sue “idee”, ma per aver capeggiato la parte più violenta dell’opposizione venezuelana.
Durante la trasmissione n. 13 de programma Con Maduro+, nella quale ha illustrato “i quattro consensi fondamentali per il progresso della Patria, per avanzare verso il benessere reale della nazione”, il presidente venezuelano ha commentato l’esistenza di nuovi piani golpisti, confessati da Antonio Ledezma e diffusi sulle reti sociali. L’ex sindaco della Gran Caracas, fuggito in Spagna perché accusato di tradimento, cospirazione, istigazione a delinquere e associazione a delinquere, è membro del Consejo Político Internacional della campagna di Machado.
Ora è oggetto di un altro mandato di cattura internazionale e di una richiesta di estradizione, spiccati dal Pubblico Ministero dopo le sue dichiarazioni rivelate nel programma “Factores de Poder” di Patricia Poleo, altra oppositrice residente a Miami. Secondo Ledezma, Machado sta “conversando” con ufficiali della Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) affinché appoggino azioni di “disobbedienza civile” in caso il governo volesse far rispettare la legge ed escludere dalla competizione elettorale la pre-candidata inabilitata che, come al solito, si considera al di sopra delle leggi.
Viste le ripetute violenze politiche scatenate in precedenza da questa frangia dell’opposizione, ha detto il presidente Maduro, “la rivelazione non poteva essere più esplicita. Non gli è bastato imporre oltre 900 sanzioni al Venezuela”, ha aggiunto. E ha spiegato che, in una riunione con Diosdado Cabello e la direzione nazionale del PSUV, si è deciso di attivare oltre 4 milioni di Cuadrillas de Paz in tutto il paese. Uomini e donne a capo di queste brigate- ha affermato il presidente – garantiranno l’unione civico-militare in ogni angolo del Venezuela.
E il vicepresidente del Psuv, ha rafforzato il concetto: “Se in Venezuela si verificasse un’azione militare di forze straniere, tutti coloro che hanno richiesto un’invasione saranno considerati nemici di questa Patria e riceveranno lo stesso trattamento riservato ai nemici del Paese”, ha detto Cabello, ribadendo che, in ogni paese, le leggi si rispettano e che se la legge decide di inabilitarti per 15 anni, non lo si può ignorare.
Quindi, ha invitato il popolo a stare all’erta per essere pronto a rispondere alle minacce in maniera efficace e per tempo. “Non c’è niente di più violento, in ambito politico – ha aggiungo il capitano – che annunciare una ribellione militare. Però se io dico che risponderemo, allora il violento sono io: per quei media che censurano, quello violento sarà per forza il PSUV”.
Un punto importante, quello del capovolgimento di responsabilità imposto dalle “matrici di opinioni” e ripetuto sulle reti sociali. Il presidente Maduro vi ha posto l’accento annunciando la necessità di adeguare il linguaggio al livello dell’attacco e a quello dello sviluppo tecnologico. “Bisogna fare – ha detto – un lavoro di qualità e produrre contenuti di qualità per incidere con forza sull’opinione pubblica nazionale e internazionale, sui media, sulle reti e sui muri”.
L’obiettivo è quello di costruire “una nuova maggioranza popolare, superiore a quella di cui già conta la rivoluzione, per vincere la censura contro il paese e far conoscere la verità del Venezuela in ogni angolo del mondo”. Per questo, occorre moltiplicare gli strumenti di formazione ideologica e di organizzazione politica delle basi popolari del paese: “Siamo milioni – ha aggiunto il presidente -, ma dobbiamo essere molti di più, per vincere sempre le campagne contro la Patria che si generano sui social network. Bisogna organizzare reti di reti, per superare il veto e la censura contro il Venezuela, non è la prima volta che ci mettono a tacere”.
In questo ambito, anche Maduro, come Chávez, fa la sua parte sulle reti sociali, mostrando tutte le immagini delle mobilitazioni, affinché il popolo possa constatarne l’ampiezza. E il popolo chavista è sceso massicciamente in piazza in ogni stato del Venezuela, per manifestare il sostegno al socialismo bolivariano e al proprio presidente. “Quando il popolo è in piazza – ha detto Maduro – c’è tranquillità, c’è sicurezza”.
Al contrario, la destra venezuelana non deve render conto al popolo, a cui impone – per sua stessa ammissione e per dichiarato obiettivo dei suoi padroni nordamericani – ogni tipo di privazioni e sofferenze affinché si rivolti contro il governo e avalli il fallimento del socialismo in tutte le sue forme. E così, non stupisce il contenuto di un video filtrato, diffuso dal deputato chavista Pedro Carreño, a proposito delle primarie dell’opposizione.
Si sente María Corina Machado lamentare la poca partecipazione ai suoi comizi e a quelli degli altri candidati, confessare il “terrore” di un fiasco ancora più grande a Caracas, e ammettere a malincuore che comunque si deve andare avanti perché “il finanziamento è già stato erogato e ne abbiamo beneficiato tutti”.
Sempre a proposito di finanziamenti, il 16 agosto, nel programma “Con el Mazo Dando”, Diosdado ha ripreso una notizia di Venezuela News e del portale Dolar Today, una piattaforma economico-finanziaria, diretta da venezuelani residenti negli Usa, che per anni ha pervertito il corso del mercato monetario. Diosdado ha denunciato che un’altra pre-candidata della destra, Delsa Solórzano, avrebbe ricevuto 3 milioni di euro dalla fondazione tedesca “Hanns Seidel”.
Sia in questo caso che dopo la diffusione del video, è partita la levata di scudi delle piattaforme foraggiate da Washington, che, nell’affanno di negare le affermazioni del chavismo, hanno messo in evidenza il meccanismo con cui queste reti tossiche costruiscono campagne mediatiche basate su fake-news contro la rivoluzione, ripetute e rilanciate in una strategia “a matrioska”.
Da queste “fonti” traggono spunto i media europei per sostenere l’assenza di libertà di stampa e la “mancanza di trasparenza” che daterebbero dai tempi di Chávez. La lotta contro il latifondo mediatico, come parte della lotta contro i monopoli che privatizzano risorse e potenzialità, è una delle eredità più importanti lasciate dal comandante Chávez alla rivoluzione bolivariana e alla lotta dei popoli nel mondo.
Al contrario, in molti paesi, anche in quelli che godono di una posizione elevata nel parzialissimo World Press Freedom Index 2022, elaborato dalla Ong Reporters senza frontiere, la proprietà dei media è concentrata nelle mani di pochi grandi operatori, che controllano produzione e distribuzione di media diversi, e anche la relativa pubblicità.
Un dato confermato anche dal Rapporto sulla libertà dei media 2023, redatto da Liberties e relativo a 18 paesi europei – Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Germania, Ungheria, Irlanda, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Svezia – che segnala un aumento delle aggressioni fisiche, spesso da parte della polizia, e delle cause legali contro i giornalisti.
Il rapporto dice inoltre che le norme sulla protezione dei dati vengono usate per limitare la libertà di informazione, e che la “sicurezza nazionale” serve da pretesto per leggi che limitano la libertà di parola. In Italia, la preoccupazione maggiore è quella legata, da una parte, alle querele temerarie contro i giornalisti, che ne mettono a rischio il lavoro, soprattutto considerando che, in alcuni casi, queste cause sono state promosse da persone che ora ricoprono ruoli cardine al governo del paese; dall’altra, dalla “costante politicizzazione della televisione pubblica, che mina la libertà dei giornalisti”.
L’informazione, insomma, è una merce, che si trasforma in arma per difendere gli interessi del capitale. Ovvio, quindi che le democrazie borghesi dell’Europa e degli Usa, preferiscano la situazione esistente in Venezuela prima del 1998, quando la quasi totalità dello spettro radioelettrico era monopolio delle imprese private della comunicazione, per le quali l’informazione era una merce da regolare in base alle norme del “libero mercato”.
Lo Stato aveva il compito di osservatore passivo, ostaggio di quegli interessi, deputato ad assegnare ulteriori spazi alle imprese private e commerciali. Non per niente, esisteva un solo canale pubblico nazionale, Venezolana Televisión Venezuela (VTV). Si formava così una “opinione pubblica” a misura di mercato, orientata ad impedire i cambiamenti politici che si stavano preparando.
Con la rivoluzione bolivariana, e soprattutto dopo il golpe del 2002 nel quale i grandi media privati ebbero un ruolo attivo a fianco delle oligarchie pilotate da Washington, si mise invece in atto un ampio processo di democratizzazione dei mezzi di comunicazione che, garantendo l’accesso alle classi popolari, consentì di dare contenuto reale al tanto decantato “pluralismo dell’informazione”, ventilato ma negato nei fatti nei paesi capitalisti.
Usando la disinformazione come arma, la guerra mediatica ha preso di mira, con un’intensità mai vista, la figura del presidente Nicolas Maduro, oggetto di discredito quotidiano da quei grandi media che si riempiono la bocca con il “diritto di replica” e con la “libertà di espressione”, quando nessun diritto di replica è stato mai concesso al presidente venezuelano, né si sono presentate rettifiche quando le menzogne diffuse sono state palesemente smentite dai fatti.
E così, ecco partire l’attacco contro la proposta di Maduro circa la necessità di riformulare il Sistema dei Media Pubblici e la Politica comunicativa per adeguarla allo sviluppo delle nuove tecnologie e anche alla sofisticazione raggiunta attraverso queste degli apparati ideologici di controllo, che se ne servono per aumentare il livello della guerra cognitiva e la balcanizzazione dei cervelli.
Un dibattito che il paese porta avanti da anni, raccogliendo suggestioni e proposte nei dibattiti internazionali o nei luoghi particolarmente deputati a questo fine com’è l’Università Internazionale della Comunicazione, diretta da Tania Diaz.
“Siamo liberi, scriviamo in un paese libero e non ci proponiamo di ingannare il pubblico”, disse Chávez, quando, il 30 agosto del 2009, rifondò il quotidiano El Correo del Orinoco. Le stesse parole pronunciate dal Libertador il 27 giugno del 1818, al momento della creazione del Correo del Orinoco: per contrastare la propaganda di guerra usata dall’oligarchia e dall’impero spagnolo contro le gesta indipendentiste, mediante le menzogne quotidiane diffuse dalla potente Gaceta de Caracas.