“Donald Trump non può essere candidato a presidente… a meno che due terzi del Congresso non decidano di concedergli la grazia per la sua condotta il 6 gennaio”. Così il giurista Michael Stokes Paulsen mentre sintetizzava l’ineleggibilità dell’ex presidente di ricandidarsi, in un articolo scritto con il suo collega William Baude. I due giuristi hanno legami con la Federalist Society, un think tank conservatore, la cui filosofia si basa sull’interpretazione originalista e fedelmente testuale della costituzione americana.

L’articolo di Paulsen e Baude, che sarà pubblicato dalla prestigiosa University of Pennsylvania Law Review, è frutto di un anno di ricerche. Nell’articolo si legge che ci sono “prove abbondanti” che Trump è stato coinvolto in un’insurrezione per ribaltare l’esito elettorale del 2020. Gli autori sostengono che l’ex presidente è responsabile di tentativi di cambiare i risultati elettorali mediante frode e intimidazione. Inoltre Trump ha messo pressioni sul suo vicepresidente Mike Pence di violare la costituzione e di non avere adempiuto i suoi doveri presidenziali durante gli assalti al Campidoglio il 6 gennaio del 2021.

Gli autori basano le loro conclusioni sulla ineleggibilità di Trump di riconquistare la Casa Bianca citando la clausola 3 del 14esimo emendamento, adottato nel 1868 dopo la Guerra Civile. La clausola 3 impedisce a coloro che hanno giurato di sostenere la costituzione americana di mantenere o riottenere cariche politiche nel caso in cui abbiano “partecipato a insurrezioni o si ribellino” contro il governo o che abbiano “assistito o dato aiuto ai nemici” degli Stati Uniti. Nelle loro analisi i due giuristi fanno uso dell’interpretazione linguisticamente originale ai tempi dell’approvazione dell’emendamento per definire che cos’è un’insurrezione o assistere ai nemici del Paese.

Il fondatore della Federalist Society Steven Calabresi ha applaudito lo studio di Paulsen e Baude etichettandolo un “tour de force”. Anche Lawrence Tribe, professore emerito di giurisprudenza alla Harvard University, di tendenze liberal, e Michael Luttig, giudice della Corte di Appello federale in pensione, di tendenze conservatrici, sono ambedue d’accordo che Trump sia colpevole di insurrezione. Altri analisti però dicono che bisogna sconfiggere Trump alle urne e che usare una legge così vecchia sarebbe controproducente.

Il nodo della questione però diventerà chiaro a mano a mano che i segretari dei cinquanta Stati si prepareranno a produrre le liste elettorali. Il dilemma sarà se includere o escludere Trump. La costituzione ha delle regole precise per i candidati alla presidenza. L’età minima è 35 anni e i candidati devono essere cittadini americani nativi, non naturalizzati. In tempi recenti alcuni candidati sono stati sfidati con cause frivole che li avrebbero esclusi dalle liste elettorali. Barack Obama fu denunciato asserendo falsamente che non era nato in America. Ted Cruz, adesso senatore repubblicano del Texas, da candidato presidenziale nel 2016 fu denunciato perché era nato in Canada, ma infatti qualificava per la candidatura perché la madre era nata negli Usa. Denunce per escludere candidati dalle liste elettorali non sono dunque rare.

Nel caso di Trump queste denunce si profilano chiaramente. Parecchi Segretari di Stato hanno avviato dialoghi per determinare se escludere o includere Trump. I segretari di Stato del Nevada, Michigan, Arizona, e New Hampshire stanno esaminando la situazione in preparazione dell’elezione del 2024 ma anche per le primarie repubblicane. Il segretario di Stato del New Hampshire Bryant “Corky” Messner, che aveva beneficiato dell’endorsement di Trump nel 2020, è stato inondato con chiamate da sostenitori dell’ex presidente. Un comunicato dell’ufficio di Messner ha informato che fino adesso nessuna decisione è stata presa se Trump sarà escluso dalle primarie repubblicane nello Stato.

Le cause sulla questione sono inevitabili e verranno non solo da individui ma anche da gruppi che cercheranno di mettere a prova la costituzione. Due di questi gruppi, il Citizens for Responsibility and Ethics (CREW) e il Free Speech for People (FSEP), stanno programmando di avviare cause in parecchi Stati per sfidare l’eleggibilità di Trump alle primarie del Partito Repubblicano. Questi gruppi si preoccupano di difendere la costituzione che Trump, da presidente e anche dopo, ha scosso con parole e azioni fuori dalle righe.

Il segretario di Stato dell’Arizona, il democratico Adrian Fontes, ha riassunto molto bene la situazione di ciò che avverrà. Sarà impossibile che un segretario di Stato non venga denunciato per l’inclusione o l’esclusione di Trump dalle liste elettorali. Dove andranno a finire queste denunce? Tutte le strade portano alla Corte Suprema, la quale pende a destra, e quindi dovrebbe essere favorevole a Trump. In realtà, La Corte Suprema, nonostante tre dei giudici siano stati nominati proprio da Trump, non ha supportato l’ex presidente nei ricorsi sull’elezione del 2020.

Trump non ha reagito sulla sua eleggibilità ma ovviamente interpreterà i tentativi di escluderlo come parte della persecuzione subita additando alla “corruzione” del sistema. In realtà i contrappesi hanno tenuto nella sua sfida di ribaltare il risultato nell’elezione del 2020. Le 4 incriminazioni criminali che Trump sta affrontando, 3 federali e una statale in Georgia, confermano che il sistema giudiziario, nonostante alcune imperfezioni, sta facendo il suo percorso. Il giudizio sull’eleggibilità sarà anche deciso dal sistema giudiziario. Ma anche nel caso in cui Trump dovesse essere considerato eleggibile la sua vittoria nel 2024 non è affatto assicurata. I sondaggi al momento lo danno strafavorito per la nomination del Partito Repubblicano e quelli nazionali nel confronto con Biden riflettono un testa a testa. Mancano però sondaggi su quella decina di “swing states”, gli stati in bilico dove gli elettori indipendenti determineranno l’esito. Sono questi gli elettori che Trump non riesce a raggiungere, congelato nei suoi sforzi di mantenere unita la base del suo partito. Sono questi elettori indipendenti dei “swing states” che lo hanno sconfitto nel 2020 e con ogni probabilità gli negherebbero di nuovo il suo secondo mandato.

Di Domenico Maceri

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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