Il governo Meloni si appresta a varare una Legge di Bilancio all’insegna dell’austerità procedendo in sintonia con i governi tecnici, nonostante le aspirazioni cosiddette “sovraniste” che da sempre caratterizzano i partiti di centrodestra, in particolare Lega e Fratelli d’Italia: lo ha confermato lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che già ad agosto al Meeting di Rimini aveva parlato di «manovra complicata», che interverrà a favore dei redditi medio-bassi, ma con cui «non si potrà fare tutto». A complicare il varo della Legge di Bilancio del 2024 è anche il negoziato con Bruxelles per stabilire le nuove regole del Patto di Stabilità che dovrebbe tornare in vigore dal 2024 dopo la sospensione decisa nel 2020 per l’emergenza pandemica. La posizione negoziale del governo italiano prevede l’esclusione degli investimenti e il titolare del Tesoro ha chiesto alla Commissione europea di tenere conto che la «situazione è ancora eccezionale». Ciò non basterà però ad evitare di racimolare risorse anche attraverso la privatizzazione di beni pubblici come ha fatto intendere recentemente lo stesso Giorgetti secondo cui «ci sono delle situazioni che potrebbero originare una riallocazione delle partecipazioni dello Stato». Impossibilitati ad investire in deficit a causa delle rigide regoli fiscali europee o a reperire risorse attraverso la tassazione degli extra-profitti, l’unica strada che rimane al governo Meloni è quella di proseguire con la svendita del patrimonio pubblico inaugurata negli anni Novanta, perfettamente in linea con quei governi contro cui i partiti dell’esecutivo Meloni si scagliavano fino a non molto tempo fa.

«Condivido la richiesta del ministro Giorgetti di invitare ogni Ministero a verificare nel dettaglio le risorse attualmente spese, i capitoli di spesa, le misure attualmente finanziate. Sprechi e inefficienze devono essere tagliati e le poche risorse che abbiamo devono essere spese al meglio, perché questo è un governo politico e i governi sono politici se scelgono e si assumono le loro responsabilità», ha dichiarato la premier Giorgia Meloni. Un richiamo alla prudenza che si traduce in tagli ai finanziamenti e proposte da sacrificare, nel più tipico stile delle manovre neoliberiste che domina la penisola almeno dall’insediamento del governo tecnico di Mario Monti e da cui nessun governo – fino ad ora – è riuscito a discostarsi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: smantellamento dello Stato socialeaumento del debito e scarsa crescita economica. Proprio il secondo semestre del 2023 è stato segnato da un rallentamento economico più forte del previsto, pari allo 0,4%.

Tra le priorità della prossima manovra economica spiccano il taglio al cuneo fiscaleil sostegno alle fasce meno abbienti e alla natalità. Quest’ultimo tema, in particolare, secondo Giorgetti sarebbe «fondamentale», perché «non c’è nessuna riforma o misura previdenziale che tiene nel medio e lungo periodo» con i numeri che ha oggi l’Italia, ha avvertito. Il ministro ha anche spiegato che bisognerà «intervenire contro l’inflazione, come abbiamo fatto con la decontribuzione per i redditi medio bassi, perché è una tassa che riduce enormemente il potere di acquisto». Restano però da trovare ancora 20 – 25 miliardi per coprire tutte le misure necessarie: al momento la voce entrate consta solo dei 4,5 miliardi ricavati in deficit dal Def (Documento di economia e finanza) e dei 300 milioni per il 2024 previsti dai tagli dei ministeri. Cui vanno aggiunte le risorse che il governo punta a raccogliere dal nuovo rapporto “collaborativo” tra fisco e contribuente e dalla nuova tassa sugli extraprofitti delle banche, da cui sono attesi circa 2,5 miliardi. Si tratta di cifre comunque insufficienti che dovrebbero essere incrementate attraverso la tassazione degli extraprofitti delle compagnie energetiche e di tutte quelle aziende che hanno speculato grazie all’inflazione. Tuttavia, il governo non ha intenzione di estendere la tassazione ad altri settori, oltre a quello bancario, ma intende piuttosto ricorrere ad eventuali privatizzazioni: «Non abbiamo intenzione di fare altro: non ci sono altri settori in cui ci sia una così evidente divaricazione», assicura il ministro dell’Industria Adolfo Urso.

Sul fronte privatizzazioni, invece, sta prendendo forma l’idea di vendere delle quote di minoranza delle società pubbliche: attualmente lo Stato detiene quote in società sia quotate che no. Tra le quotate figurano Mps (64,23%), Enav (53,28%), Enel (23,59%), Eni (4,34%, oltre al 25,76% attraverso Cdp), Leonardo (30,20%) e Poste italiane (29,26% oltre al 35% attraverso Cdp). Con riferimento a Tim, Giorgetti aveva affermato che «Oggi discutiamo di uno Stato che entra in partecipazione strategica, può darsi ci siano altre realtà in cui sia opportuno in qualche modo disinvestire». Il titolare del dicastero di via XX Settembre starebbe dunque valutando la possibilità di vendere o quantomeno ridurre la partecipazione del 64% nel Monte dei Paschi di Siena, mentre la cessione di gran parte della quota di Ita (41%) dal Tesoro a Lufthansa fa parte delle operazioni già previste, per cui nelle mani di Giorgetti dovrebbe restare il 10%. Una tendenza, quella a svendere il patrimonio pubblico, che parte da lontano e che è andata soprattutto a beneficio della finanza internazionale e delle multinazionali e a danno dell’economia nazionale.

La prima scadenza prevista in vista dell’approvazione della Legge di Bilancio è quella del 27 settembre, quando verrà presentata alle camere la NADEF (Nota di aggiornamento al Documenti di Economia e finanza), il documento di riferimento per lo scenario macroeconomico necessario per indirizzare il Documento programmatico di Bilancio: stretto tra i rigidi parametri di Maastricht e il cappio dei mercati, il governo non potrà che varare l’ennesima manovra restrittiva – in continuità con i governi sia tecnici che politici precedenti –  che difficilmente riuscirà a invertire il rallentamento economico del Paese, acuito anche dal difficile contesto internazionale.

[di Giorgia Audiello]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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