Lavorare senza autorizzazione sulla ferrovia era una prassi abituale. Qualora ce ne fosse stato bisogno, le testimonianze già emerse sulla strage di Brandizzo chiariscono di cosa stiamo parlando: di omicidio in nome della velocità con cui si deve lavorare, della produttività e del profitto, cioè della necessità di accumulare capitale. E poi di una condizione indecente che minaccia ogni giorno, ogni ora la vita, di una vergogna che, certo esiste in ogni angolo del mondo ma che in Italia ha una criminale specifità gridata da un numero che si ripete tre volte. Qualora ce ne fosse bisogno. Sono almeno 777 i morti di lavoro dell’anno in corso in Italia. Uno stillicidio quotidiano che merita l’effimera attenzione delle cronache e del ceto politico solo per qualche giorno e solo quando si verificano “episodi” particolarmente “efferati” e letali come quelli di Brandizzo. Lo ricorda qui Fabio Marcelli, raccontando il quadro guiridico dell’orrore quotidiano e aggiungendo quello che, intanto, tutte e tutti possiamo fare subito: raccogliere firme sulla proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre il reato di omicidio sul lavoro, organizzata dall’Unione sindacale di base. Non è molto, una firma, ma è molto più di click. Anche il resto, cambiare in profondità la cultura politica che dimentica l’orrore ogni week end che passa, dipende da noi
Mi capita in questi giorni di partecipare agli affollati banchetti che raccolgono le firme sulla proposta di legge di iniziativa popolare volta a introdurre il reato di omicidio sul lavoro, organizzati dall’Unione sindacale di base. Ho deciso di dare un mio piccolo contributo a questa campagna perché si tratta a mio avviso di una questione fondamentale, nell’ottica dei diritti delle lavoratrici e delle lavoratori ma anche come più generale e direi universale battaglia di civiltà.
Voglio fare riferimento, a tale secondo proposito all’art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”, ripreso dall’art. 6 del Patto sui diritti civili e politici del 1966, secondo il quale “1. Il diritto alla vita è inerente alla persona umana. Questo diritto deve esser protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita”. Come pure la lettera b dell’art. 7 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali prevede il diritto all’igiene e sicurezza del lavoro.
La purtroppo prevalente lettura neoliberale di queste disposizioni, fatta per lo più da giuristi che al massimo rischiano di cadere dalla poltrona riportando la lussazione dell’osso sacro, tende in genere a sminuire la portata di queste disposizioni di fronte a fenomeni molto concreti come gli omicidi sul lavoro che si registrano con particolare frequenza in Italia come diretta conseguenza dell’organizzazione capitalistica della produzione, della necessità di alimentare la creazione di profitto e quindi l’accumulazione del capitale come esigenza assolutamente prevalente su ogni altra, e di incrementare a tale fine in modo scientifico lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, considerate/i alla stregua di mere propaggini delle macchine che manovrano. La vita di tali propaggini è considerata irrilevante di fronte all’esigenza imprescindibile di mantenere i ritmi e garantire il funzionamento senza impedimenti, ostacoli e rallentamenti dell’infernale meccanismo imprenditoriale e burocratico che costituisce il cuore della nostra società disumana.
La situazione appena delineata riguarda l’insieme del mondo capitalistico e anche in certa misura altri Paesi, ma in Italia essa assume dimensioni particolarmente inquietanti dato il prevalere, che si è acuito negli ultimi decenni in perfetta consonanza col venir meno del potere di controllo e di opposizione esercitato dai lavoratori e dalle loro organizzazioni, di una subcultura dell’illegalità che ha anche altri aspetti come il lavoro nero, l’esasperazione della precarietà, il mancato rispetto del salario minimo necessario a soddisfare le necessità minime dei lavoratori e delle loro famiglie dettato dall’art. 36 della Costituzione, ecc., ma che proprio nella strage sul lavoro trova la sua espressione più tragica e plateale.
Non è quindi per nulla casuale che in Italia si registrino elevati numeri di incidenti fatali sul lavoro come pure di malattie professionali gravi. Secondo l’Eurostat nel corso del 2020 si sono registrati in Europa 3355 incidenti sul lavoro fatali (Accidents at work statistics – Statistics Explained (europa.eu), 1270 dei quali in Italia (ITALY: first data on the number of accidents at work in 2020 – Eurogip). Numeri davvero impressionanti sia per quanto riguarda l’intero continente, che continua a spacciarsi per il giardino del mondo, secondo le ridicole affermazioni di taluni suoi ben stipendiati dirigenti, sia per quanto riguarda il nostro Paese, che secondo tali statistiche vanterebbe il 37% delle vittime europee totali, a fronte di un rapporto tra popolazione italiana e popolazione totale dell’Unione europea pari grosso modo al 13% , e ancora più grave alla luce del dettato dell’art. 1 della nostra Costituzione, a norma del quale l’Italia dovrebbe essere una Repubblica fondata sul lavoro, cosa che evidentemente non è, se mai lo è stata, più da tempo, mentre appare assolutamente incontrovertibile il fatto che la nostra sempre più zoppicante e arretrata economia sia pienamente basata sullo sfruttamento e anche sulla morte di chi lavora.
Situazione evidentemente antigiuridica e disumana, oltre che contraria ai più elementari valori costituzionali, cui si propone di porre rimedio la citata raccolta di firme promossa dall’Unione sindacale di base (Legge Omicidio sul Lavoro). Dal sito che la promuove apprendiamo che sono ormai ad oggi (sette settembre 2023) ben 777 i morti sul lavoro dell’anno in corso in Italia: uno stillicidio quotidiano che merita l’effimera attenzione delle cronache dell’irresponsabile ceto politico solo quando si verificano incidenti come quelli di Brandizzo colla morte simultanea di cinque operai.
Le radici di questa situazione sono tutte nell’assenza di un’adeguata presenza del controllo operaio sulle condizioni della produzione, un effetto insieme ad altri della sconfitta storica subita dai lavoratori italiani per precise responsabilità di coloro che avrebbero dovuto esserne i rappresentanti politici e sindacali.
La raccolta di firme sulla legge di iniziativa popolare promossa dall’Unione di sindacale di base si propone di rovesciare questa tendenza, che assume in taluni casi anche gli aspetti di un vero e proprio masochismo che porta i lavoratori ad immolarsi, fino al sacrificio supremo della vita, sull’altare del profitto e dell’accumulazione del capitale.
Mi limiterò qui a riprodurre l’art. 1 della proposta di legge: “A Art. 1 Omicidio sul lavoro
1. Dopo l’articolo 589-ter del codice penale, sono aggiunti i seguenti:
«Art.589-quater. (Omicidio sul lavoro). Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Il datore di lavoro che, non avendo adempiuto alla valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento di cui all’art. 28 D. Lgs. n. 81/2008 (con i criteri definiti dall’art.3 di questo DDL) o non abbia designato un responsabile del servizio di prevenzione e protezioni dai rischi ai sensi dell’art. 17 del D. Lgs. n. 81/2008, o non abbia adempiuto agli obblighi di cui all’art. 12 del D.P.R. 30-6-1965 n. 1124, cagiona per colpa la morte di un lavoratore è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.
I soggetti deputati ad accertare le cause della morte dei lavoratori devono verificare, con la partecipazione dei RLS ed il supporto di tecnici esperti nelle diverse tipologie di rischio, che tutti i dati sui quali si basa la valutazione dei rischi corrispondano al livello reale di rischio al quale sono esposti i lavoratori.
La pena indicata nel secondo comma si applica anche a chiunque, in violazione del Titolo VIII capo I, IV, Titolo IX capo I, II, e III, titolo X capo I, II e III del D.lgs. 81/2008, metta a disposizione dei lavoratori attrezzature non conformi alle disposizioni
legislative e regolamentari di recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto ai sensi dell’art. 70 D.lgs. n. 81/2008, e cagioni per colpa la morte di una persona.
La pena di cui al comma precedente si applica altresì: 1) se l’evento è stato determinato dalla violazione dell’art. 46 del D.lgs. n. 81/2008; 2) se l’evento è stato determinato dalla violazione delle disposizioni di cui al Titolo III capo II e III, Titolo IV, capo I e capo II, Titolo X-bis, Titolo XI Capo I e II, del D.lgs. n. 81/2008.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena è aumentata, se è riconosciuta anche una responsabilità della persona giuridica ai sensi del D.lgs. N. 231/2001, e se il fatto è commesso da un datore di lavoro sprovvisto di assicurazione per la responsabilità civile operai e terzi.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, a chiunque cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di uno o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo.»
2. Art. 589-quinquies. (Omicidio sul lavoro e sfruttamento sul lavoro) Nel caso di cui all’articolo 589-quater, se il responsabile è punibile anche ai sensi dell’art. 603 bis c.p., la pena è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a dodici anni”.
Lungi dal proporre un generico panpenalismo o populismo penale la proposta in questione intende frenare, col ricorso a sanzioni adeguate al valore dei beni giuridici in gioco, la vera e propria strage di lavoratori e lavoratrici che ha fatto nel nostro Paese oltre quattromila vittime negli ultimi cinque anni, e va quindi sostenuta senza riserve, anche e soprattutto perché può costituire, insieme ad altri, uno strumento importante per la ricostruzione di un’organizzazione di classe nei posti di lavoro, in mancanza della quale la classe lavoratrice italiana è diventata la Cenerentola dell’Europa, e di cui si sente ad ogni modo un enorme e crescente bisogno