L’inflazione è il prodotto della lotta di classe padronale contro il lavoratori. Le misure per affrontarla sono ugualmente orientate a salvaguardare i profitti. Il ripristino del patto di stabilità determinerà ulteriori contraccolpi per la spesa sociale. Urge costruire un movimento di lotta contro queste scelte.
Come una sorta di legge del contrappasso, in questa Unione Europea (UE) che si è data regole e istituzioni cucite addosso all’obiettivo sacro di contenere l’inflazione, trascurando ogni altra considerazione di carattere sociale, giunge una fiammata inflazionistica che non si riesce a contenere. Gli effetti della pandemia hanno potuto dilagare nel fertile terreno di un sistema produttivo fatto di esternalizzazioni e produzione just in time, in cui la razionalità dovuta alla rivoluzione informatica è andata a farsi benedire creando colli di bottiglia nelle troppo articolate filiere produttive. Le sanzioni alla Russia a seguito del conflitto in Ucraina e le politiche protezionistiche degli Usa hanno successivamente infierito su di un corpo già provato.
Il blocco delle importazioni di materie prime, concimi e prodotti energetici a basso costo dalla Russia ha determinato l’aumento dei costi sostenuti dalle imprese e dalle famiglie. Ma non tutti gli aumenti sono dipesi dall’effettivo costo di produzione di queste merci importate. Hanno inciso di più le speculazioni su questi prodotti, a cui sono agganciate per esempio le tariffe delle bollettazioni energetiche, il carattere monopolistico del sistema produttivo che consente alle imprese di salvaguardare i profitti aumentando i prezzi e l’assenza in Unione Europea di ogni controllo pubblico dei prezzi medesimi.
In Italia, come altrove, i salari al palo hanno determinato un aumento delle diseguaglianze. La mancanza di un’efficace indicizzazione delle retribuzioni consente alle imprese monopolistiche di fare lauti profitti aumentando i prezzi, senza temere che i salari vi si adeguino. Ci avevano detto che l’abolizione della scala mobile ci avrebbe difeso dall’inflazione. Sta avvenendo il contrario: i prezzi possono essere aumentati a volontà avendo la certezza che gli aumenti si tradurranno quasi tutti in profitti, visto che i salari resteranno fermi. Per questo motivo la spirale inflazionistica odierna è stata definita “da profitti”.
Nonostante l’inflazione non fosse da domanda la Federal Reserve l’ha utilizzata come pretesto per aumentare ripetutamente il tasso di interesse. In realtà tale aumento è stato per proteggere il dollaro e il debito americano verso l’estero che era stato declassato da alcune agenzie di rating. la Banca Centrale Europea (BCE), seguendo a ruota la Federal Reserve, ha pensato bene – dopo la stagione di moneta facile – di aumentare drasticamente e ripetutamente i tassi di interesse, con esiti poco significativi sui prezzi ma cacciando l’eurozona in una recessione, a partire dalla “locomotiva” tedesca che ora è in retromarcia e trascina con sé gran parte del resto dell’Europa.
I tassi elevati stanno mettendo in serie difficoltà le imprese indebitate, le famiglie con il mutuo da rimborsare e le banche che posseggono titoli del debito pubblico e obbligazioni risultati svalutati a seguito dell’aumento dei tassi [1]. Si spiegano così i fallimenti bancari registrati nei mesi scorsi. E si comprende bene come la manovra della BCE determini, con la scomparsa o l’assorbimento delle imprese malmesse, l’accelerazione del processo di centralizzazione dei capitali.
L’Istat comunica che nello scorso trimestre sono diminuite del 3,7% le registrazioni di nuove imprese e anche in termini tendenziali esse sono in diminuzione. Nel frattempo sono in aumento del 2,8% i fallimenti.
Ma anche il bilancio dello Stato viene colpito dall’aumento dei tassi. Visto che il suo debito complessivo non tende a diminuire, se non di un’inezia, quando non tende addirittura ad aumentare, al momento in cui i vecchi titoli giungono a scadenza e debbono essere rimborsati lo Stato deve emetterne di nuovi e deve piazzarli alle nuove condizioni del mercato, dato che le regole europee proibiscono che siano le banche centrali ad acquistarli. La voce “interessi” del bilancio così aumenta e, mentre le spese militari aumentano anch’esse, la quadra si potrà ottenere solo tagliando la spesa sociale o svendendo quel poco di patrimonio pubblico rimasto dopo l’ondata di privatizzazioni.
In Italia, poi, il nostro bravo governo ha pensato di introdurre la flat tax, di tagliare ulteriormente il cuneo fiscale, di fare qualche regalia agli evasori e di elargire altre mance alle proprie clientele, determinando una riduzione delle entrate. Tant’è vero che si annunciano nuovi tagli alla già devastata sanità e nuove privatizzazioni.
Emiliano Brancaccio, in un articolo sul Manifesto, riprendendo un’espressione di James Galbraith, parla di “predatori dello Stato” e afferma che “da circa un trentennio lo Stato ridistribuisce risorse dai deboli ai forti”. Sempre Brancaccio riferisce il rilievo della Corte dei conti, secondo la quale l’effetto delle privatizzazioni è stato “un impatto incerto sui prezzi, negativo sui salari, molto positivo sui profitti”. L’anti Robin Hood, quindi, ha colpito ancora.
In USA, con una nuova iniezione di liquidità e con la Inflation Reduction Act che incentiva le imprese locali a scapito di quelle europee, l’economia, sia pure moderatamente, cresce (+2,5%), mentre l’UE affonda. In USA Lotte di classe si riaccendono e il salario orario medio passa da 16 a 21 dollari (+31,25%), invece in Italia si stenta a mettere insieme un movimento di lotta per risarcire la perdita di potere d’acquisto dei salari che dura da alcuni decenni.
La proposta di salario minimo, che in linea di principio non avevamo mal visto, se si conferma nella misura di 9 euro all’ora non indicizzabili, in presenza di questa inflazione, sarà un beffa, una miseria, e non avrà neppure la funzione di incidere positivamente per i lavoratori in generale nel mercato del lavoro.
È noto che l’inflazione penalizza i percettori di reddito fisso. La lotta di classe padronale, assistita dal Governo, sta producendo questo effetto e scaricando sui lavoratori i costi della crisi.
Ma un’altra nube appare all’orizzonte. Sta scadendo la sospensione del patto di stabilità e si tratta di vedere se esso verrà ripristinato tal quale, il che sarebbe una tragedia e il quasi sicuro default dell’Italia, o se verrà ripristinato con gradualità o con alcune misure di ammorbidimento. Certo è che, finite le deroghe, lo Stato sarà ancora più feroce verso i più deboli. Lo scorso anno i tagli alle pensioni di 10 miliardi in tre anni e quasi 37 miliardi in 10 anni furono tenuti segreti fino all’ultimo momento. Quest’anno si preannuncia una manovra di 20-30 miliardi, ed è facile immaginare le vittime. Saranno seri guai per sanità, scuola, pensioni, diritti sociali a meno che non scenda in campo un forte fronte di opposizione politica e sociale. Ma i partiti politici e i sindacati in Italia sono attrezzati per questo?
Il collettivo politico della Città Futura intende aprire un dibattito e un approfondimento, che coinvolga forze politiche, organizzazioni sindacali dei lavoratori e mondo associativo, sulle cause dell’inflazione, sulle sue ripercussioni sulle classi lavoratrici, sugli obiettivi e sulle modalità di costruzione di questo fronte di opposizione. In vista di una specifica iniziativa al riguardo le nostre pagine sono aperte a contributi esterni.
Note:
[1] Un esempio rende comprensibile i perché i titoli si svalutano a seguito di un aumento dei tassi.
Supponiamo che un titolo non rimborsabile del valore di 100 euro sia stato emesso a suo tempo al tasso di mercato del 2% e dia quindi una rendita perpetua di 2 euro. Supponiamo che il tasso di mercato nel frattempo raddoppi, cioè passi dal 2 al 4%. In questa nuova condizione, per avere la stessa rendita annua di 2 euro mi basta acquistare un titolo da 50 euro. Pertanto, nel mercato il vecchio titolo da 100 è valutato quanto il nuovo da 50, si è svalutato del 50%.
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