Nel mirino le politiche adottate fino a oggi. Il dossier migranti sta diventando per la premier sempre più una spina nel fianco

E’ madre, è donna, è cristiana – come ha voluto ricordare anche ieri in Ungheria – ma Giorgia Meloni rischia di essere soprattutto una donna politicamente sola. Meglio: una premier isolata che nelle immagini di quanto accade a Lampedusa vede crollare miseramente gli sforzi fatti finora per fermare gli sbarchi dei migranti.

Da qualunque parte lo si guardi, il dossier immigrazione sta infatti diventando per la premier sempre più una spina nel fianco. Forse non la più importante, sicuramente meno pericolosa della decisione se ratificare o meno il Mes, ma di sicuro la più devastante dal punto di vista dell’immagine di una premier che sull’imperativo «Stop ai migranti» ha costruito le sue fortune elettorali.

E le persone ammassate sul molo dell’isola siciliana certificano anche il fallimento di quel Memorandum con la Tunisia che Meloni ha fortemente voluto, tanto da recarsi, nei giorni caldi della trattativa con il presidente Saied, per ben tre volte nel paese nordafricano.

Non proprio un bel risultato da presentare agli elettori tra poco più di un mese, quando il governo delle destre celebrerà il suo primo anno di vita. Non a caso i segnali del vuoto che si sta lentamente creando intorno alla premier si fanno sempre più forti. Matteo Salvini, ad esempio.

Finora il leader leghista non ha certo risparmiato bordate sui migranti, ma finora si era limitato a ricordare che con i suoi decreti sicurezza gli sbarchi erano diminuiti. Mai, però, dal Carroccio era arrivata una bocciatura esplicita dell’operato della premier.

E’ successo ieri, quando il vicesegretario della Lega Andrea Crippa, rispondendo a chi gli chiedeva se la strategia diplomatica attuata da Meloni, con i suoi viaggi in Tunisia insieme alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen abbia funzionato, ha risposto secco: «A occhio no».

«Meloni ci ha provato, giustamente, con la via diplomatica a risolvere il problema, ma l’Europa ci sta lasciando soli», ha proseguito. «Salvini ha dimostrato che i problemi si possono risolvere con atteggiamenti più rigidi. Non parlo solo del ripristino dei decreti sicurezza, ma anche di un atteggiamento che deve essere più deciso».

Parole che potrebbero essere solo l’antipasto di quanto Salvini dirà domenica a Pontida con la leader dell’estrema destra francese Marine Le Pen (mentre la nipote Marion Le Pen ha annunciato che si recherà a Lampedusa).

Un altro segnale non certo buono, per Meloni arriva propri dalla Tunisia con la decisione del governo di non far entrare nel paese una delegazione di europarlamentari. Saied colpisce Bruxelles, ma in realtà mira anche a Roma. Il gesto ha l’aria di una ritorsione visto che dei 250 milioni di euro promessi dall’Ue alla firma del Memorandum finora non si sarebbe visto neanche un soldo. E niente da fare anche per il prestito da 1,9 miliardi di dollari bloccato dal Fmi per il quale palazzo Chigi si era offerto di mediare.

Che dire infine dell’Europa? Se mai c’è stata veramente, la luna di miele con Bruxelles e i leader europei sembra appartenere ormai al passato.

Parlando mercoledì di migranti nel suo discorso sullo Stato dell’Unione von der Leyen non ha neanche citato l’Italia, mentre la scelta di Francia e Germania di blindare le frontiere e fermare l’accoglienza dei richiedenti asilo dal nostro paese è una ritorsione per l’annosa questione di movimenti secondari, i migranti che, contrariamente a quanto previsto dal regolamento di Dublino, raggiungono il Nord Europa pur essendo arrivati in Italia.

Ma soprattutto in questo modo Parigi e Berlino mettono in forse l’approvazione del patto immigrazione e asilo che prevede una redistribuzione obbligatoria dei migranti tra gli Stati come fortemente voluto proprio dall’Italia.

A conti fatti Meloni rischia di ritrovarsi sola con i vecchi alleati di Visegrad, Ungheria in testa, che però sull’immigrazione la pensano diversamente da lei. Proprio su Patto migranti e asilo, ad esempio, mentre l’Italia lo ha approvato Budapest e Varsavia lo hanno bocciato senza appello. «La migrazione è una sfida comune per l’Ue che richiede una risposta collettiva», hanno detto ieri Meloni e Viktor Orbán. Già comune, ma con chi?

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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