Manifestazioni, blocchi e scontri con la polizia hanno movimentato gli ultimi dodici giorni della tranquilla isola di Rempang, nell’arcipelago di Riau, a circa 25 km a sud da Singapore. La popolazione si è mobilitata contro i piani del governo di sfrattare gli oltre 7.500 residenti per far posto a una Eco-City di co-proprietà cinese, una città “green” meta di turisti miliardari nonché polo industriale che comprenderà un’enorme fabbrica di vetro e pannelli solari. Gli abitanti dovrebbero fare i bagagli per essere traferiti nell’entroterra, a una sessantina di chilometri dalle loro case case. Molti sono coloro che si guadagnano da vivere con il mare, vendendo pesci, gamberetti, granchi e altri frutti dell’oceano pescati localmente. Andarsene nell’entroterra significherebbe perdere la propria fonte di sostentamento, oltre che la propria casa e la propria terra.
Quando ai residenti è stato detto che avevano tempo fino alla fine del mese per lasciare le loro abitazioni, le proteste si sono intensificate in diverse località di Riau, fino a scoppiare in forti scontri, lunedì 11 settembre, davanti all’edificio della BP Batam – un’agenzia governativa che gestisce l’edilizia e lo sviluppo della regione – dove si sono riunite più di 1000 persone in protesta. Lanci di pietre e bottiglie, barricate e blocchi delle strade hanno animato la giornata. La polizia ha risposto con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni, arrestando 43 persone. Un migliaio le forze dell’ordine inviate sul posto per far fronte alla rabbia dei nativi, 22 gli agenti di polizia feriti, secondo i giornali del luogo.
Le autorità si erano già confrontate varie volte con la rabbia dei residenti dell’isola nei giorni precedenti, in occasione dell’arrivo di una squadra di rilevamento del territorio per misurare l’area in vista dei lavori. Una di quelle giornate – il 7 settembre – aveva fatto scalpore perché la polizia, nel cercare di disperdere la folla in protesta, aveva lanciato molti lacrimogeni contro una scuola media e decine di studenti erano stati portati in ospedale per i gas inalati.
La costruzione della cosiddetta Eco-City, il mega complesso industriale e turistico, a luglio ha ottenuto un impegno di 11,6 miliardi di dollari dal produttore cinese di vetro Xinyi Group per un impianto di lavorazione della sabbia quarzifera, per soddisfare la crescente domanda mondiale di pannelli solari. L’isola diventerebbe la seconda fabbrica più grande al mondo nel settore.
L’impianto è stato proposto come fulcro di un polo economico denominato Rempang Eco-City, un progetto congiunto tra le Autorità di Batam (BP Batam) e una società locale, la PT Makmur Elok Graha (MEG), che sta lavorando in collaborazione con la cinese Xinyi Glass, il più grande produttore di vetro e pannelli solari del mondo. Il ministro degli Investimenti indonesiano Bahlil Lahadalia ha sostenuto il progetto, affermando che creerà circa 35.000 posti di lavoro e attirerà intorno ai 26,6 miliardi di dollari di investimenti entro il 2080.
Ancora una volta, in nome della transizione energetica si massacra un territorio e si scacciano i suoi abitanti. In nome dello sviluppo, si privatizza un’isola per farne un complesso industriale e turistico. Anche nelle intoccate isole indonesiane, gli abitanti indigeni vengono visti come un ostacolo al progresso e alla modernità. Gli scontri evidenziano le crescenti tensioni tra le autorità e le comunità locali in tutta l’Indonesia per una serie di progetti infrastrutturali – molti dei quali finanziati da aziende cinesi – che rischiano di allontanare le comunità indigene dalla loro terra. Dato che l’Indonesia corteggia da tempo gli investimenti cinesi per finanziare ambiziosi progetti in patria, sembra che queste tensioni siano destinate ad acuirsi.
A luglio, in occasione di un incontro con uomini d’affari in Cina, il presidente indonesiano Joko Widodo ha esortato i potenziali investitori a esprimere le loro preoccupazioni in caso di difficoltà con i loro progetti in Indonesia: «Se ci sono problemi relativi all’acquisizione di terreni o permessi, vi prego di comunicarmeli», ha detto. L’Indonesia sta anche cercando di sfruttare la sua posizione di primo produttore di nichel al mondo per diventare un centro di produzione di veicoli elettrici a livello globale, anche se questa spinta verso la cosiddetta transizione energetica, sostenuta dagli investimenti cinesi, sta avvenendo e avverrà a spese di gravi rischi ambientali e sanitari. A rimetterci sono sempre la natura e la popolazione indigena che la abita.
Uno dei principali oratori della manifestazione di lunedì 11, Raja Zainudin, responsabile della Cultura Malese delle Isole Riau, ha affermato a Al Jazeera che i gruppi indigeni malesi si sono uniti alle proteste contro la Eco-City perché le loro comunità sono presenti nella regione da secoli e vivono della terra e del mare circostanti. «Chi vuole sviluppare l’isola deve capire la storia», ha detto. «Imparare la storia, imparare la cultura e imparare lo stile di vita della comunità locale». Intanto, la resistenza e le proteste delle comunità locali continuano.
[di Monica Cillerai]