Il fumetto è divertimento, è immediata connotazione con le nuvolette sparse nelle vignette, con le battute dei personaggi buffi che vi si rappresentano; oppure è anche avventura, mistero, giallo, spionaggio.

Ed è, quindi, comunque un divertimento un po’ a priori di sé stesso, per antonomasia. Ma il fumetto può anche diventare descrittivo, cronachistico, storicistico e pedagogico. Ed allora è un vero e proprio libro, anche se ogni cosa che abbia delle pagine e sia rilegata alla fine, non fosse altro che per definizione, è comunque un libro.

Di tutto quello che accade, confesso, ho sempre preferito leggere in modo classico: se un fatto viene studiato, disarticolato, presentato al lettore con una seria analisi, mi piace che questo avvenga rigorosamente su pagine esclusivamente scritte. Le immagini – per così dire – mi distraggono, anche se possono essere interessanti approfondimenti se messe al centro di un volume oppure alla sua fine.

E’ un po’ quello che accade alle prefazioni: molti le saltano, altri le leggono diligentemente prima del contenuto del libro. Altri le iniziano e poi le lasciano a metà: per noia, perché a volte tante di queste premesse sono veramente troppo lunghe e assumono i connotati di un vero e proprio saggio, senza che, perlatro, autrice ed autore, ne abbiano premesso l’intenzione incosciamente realizzata in quanto tale nella prolissità esasperante di una grafomania che diventa prevalente rispetto a tutto.

Così, quando dieci e più anni fa ho avuto tra le mani “Carlo Giuliani, il ribelle di Genova” (ed. Becco Giallo, 2011, nuova edizione 2021), devo confessare senza infingimenti che ho provato un pregiudizio nel pensare di poterlo acquistare e leggere. Era un fumetto. Un fumetto fatto anche molto, molto bene. Ma poteva essere un libro per come io lo intendevo nel senso iperclassico del termine?

I pregiudizi sono durissimi a morire. Eppure a volte si riesce a superarli. Questo libro mi ha permesso di oltrepassarne uno, di lasciarmelo alle spalle. E’ un libro ed è un fumetto.

E’ una storia che starebbe bene sui giornali al posto delle strisce solite, oppure di tanti editoriali che sono davvero la ripetizione di parole già dette e stradette. Forse i quotidiani bisognerebbe reinventarli per aumentare la voglia di leggere di tanti italiani che l’hanno (anche un po’ comprensibilmente, ma non meno colpevolmente) persa.

Forse bisognerebbe fare come Francesco Barilli e Manuel De Carli, che hanno fumettizzato la storia di Carlo, della sua famiglia, del G8 di Genova e del processo che seguì ai fatti di piazza Alimonda: rendere più accessibile anche la complessità più profonda, che scivola nel buio delle trame di un potere che si è compromesso davanti a tutto il mondo ma che, poi, alla fine, quel mondo lo descrive, lo circoscrive, lo tiene in pugno.

Nonostante i manifestanti lo dicano a gran voce, noi 6 miliardi, voi 8, la zona rossa protegge quelli che si definiscono i “grandi del pianeta“.

Quelli che, in quanto ad enormità di sfruttamento di ogni individuo, di ogni risorsa naturale, e ad annientamento e repressione delle voci critiche – non poche e con un ritrovato temperamento sociale e organizzativo, almeno oltre vent’anni fa, quando la globalizzazione mostrava i suoi artigli neoliberisti – sono certamente tra i più grandi, se si intende l’aggettivo come peggiorativo morale, politico e (in)civile.

La storia forse la conoscono in molti. Per approssimazione, per accenno, per sentito dire o per aver letto, veduto e ascoltato quei giorni di entusiasmo e di messa in opera di una vera e propria sospensione della Costituzione repubblicana nel momento della repressione violenta da parte del potere politico, del potere dello Stato. Che, in questi frangenti, è ben altro dalla Repubblica medesima. E’ la sua antitesi.

Ma questo sarebbe un discorso a parte che, nella presentazione di un libro-fumetto, non è pertinente o, per meglio dire, ci porterebbe troppo lontano in considerazioni che concernono il diritto costituzionale e il rapporto tra forma e sostanza dlle istituzioni e, quindi, del loro modo di raffrontarsi col soggetto primo della sovranità: il tanto citato e abusato popolo.

Il racconto della storia di piazza Alimonda e della ribellione di Carlo (e di altre centinaia di migliaia di manifestanti) è affidato ora a Giuliano, ora ad Haidi, ora ad Elena Giuliani, rispettivamente padre, madre e sorella del giovane che, dai primi fotogrammi dei video girati e diffusi su tutte le televisioni e sulla nascente galassia internettiana, si diceva fosse stato colpito da un sasso, non da un proiettile che aveva oltrepassato il suo passa montagna.

Si è ascoltato ogni sorta di paradosso quando ancora il fumo dei lacrimogeni si spargeva per le vie di Genova, si sparava ad altezza d’uomo, si iniziava a mostrare i muscoli per la giornata che sarebbe arrivata di lì a poco. Quella che qualcuno aveva cercato. Quella per dimostrare che i no-global e i Social forum erano solamente delle aggregazioni criminali e criminogene.

Le marcette tambureggianti del Black Block avrebbero fatto da cornice a questa narrazione a cui, per primi i genovesi, non si potè credere vista la ferocia delle botte distribuite e la mattanza dalla Scuola Diaz alla caserma di Bolzaneto.

Carlo è la premessa di tutto questo: non è il martire dell’anticapitalismo e dell’antiglobalizzazione che nasce e cresce. E’ una giovane vita che è sospesa tra l’essere e il non essere. Nel primo stato si ritrova quando pensa al suo futuro e lotta. Nel secondo quando cerca di guardare il suo futuro e non lo vede se non attraverso la lotta stessa. Le parti del fumetto su cui di più mi sono soffermato sono le parole stesse di Carlo, mutuate dalle lettere ai condannati a morte della Resistenza italiana.

La libertà, la partecipazione, la compenetrazione di ogni differenza in un grande mondo terribile in cui tocca vivere e, a volte, pure provare ad esistere veramente. La consapevolezza, cercata e ricercata, di essere in grado soltanto di poter affermare il contrario di quello che si desidererebbe, visto che la precostituzione di un nuovo mondo sarebbe già in nuce il suo esplicito tradimento da parte dei nuovi costruttori, porta Carlo a sognare ma a stare ben piantato con i piedi per terra.

Le immagini della televisione rimandano di continuo la scena in cui il “per sempre ragazzo” ha in mano un estintore. Una icona, un emblema di una rivolta che non ha mai preteso di essere tale, di declinarsi in quei termini e che è stata forzata ad esserlo da una continua provocazione perpetrata dallo Stato di allora, dal governo di allora, dai ministri berlusconiani che incitavano alla repressione, che denigravano i manifestanti, trattati come se fossero dei sediziosi nemici della libertà.

Invece chi ha tradito la Costituzione, chi ha vilipeso la Repubblica in quei giorni è stato proprio il potere che la doveva rappresentare, custodire e salvaguardare. Ma, si sa, il potere non permette che lo si processi, che lo si accusi, che lo si critichi fino a quel punto. Almeno nelle democrazie che, in quanto tali, resistono fino ad un certo punto e poi cedono per sfinimento.

Dopo la scena iconica dell’estintore, viene quella della gip dei carabinieri che passa e ripassa sopra Carlo. Tutto intorno è caos, spaesamento, lacrimogeni, urla che non si distinguono, pianti per gli occhi arrossati e pianti per quello che si inizia a vedere. Là, in mezzo a piazza Alimonda, c’è a terra un ragazzo con un rotolo di scotch al braccio, come fosse una emblematica fascia tutta particolare. Qualcosa di veramente singolare e che rimane in ogni foto, in ogni fumetto. Per l’appunto.

Il racconto di Giuliano Giuliani continua. E’ descrittivo, puntuale, preciso, meticoloso. Eppure tanto semplice da intendere e da raccontare ad altri. C’è una ferita sulla fronte di Carlo. Una ferita che qualcuno pretenderebbe essere stata provocata dal lancio di un sasso che avrebbe oltrepassato il passamontagna che, invece, è intatto. Qualcuno ha sollevato quell’indumento, ha prodotto quella ferita con una pietra e ha tentato di depistare la verità dei fatti e le successiva indagini.

Ma in quei giorni, anzi in quei tempi di destra al potere, di inizio di guerra al terrorismo, di un mondo che si polarizza su da che parte stare, c’è qualcosa che sfugge al depistaggio a parte le inchieste di Liberazione e de il manifesto o quelle di Carta e di poche altre testate che osano dire: «Il Black Block sono loro! [leggasi: il governo, il potere, il G8, chi è dall’altra parte della zona rossa e fa fare il lavoro sporco a chi canta inni fascisti al di qua delle alte grate nere che circondano il centro di Genova…]»?

La notte non porta consiglio, ma altre paure; tanti spettri si aggirano per Genova oltre a quello del comunismo. La retorica berlusconiana cerca di far passare i manifestanti come un ammasso di squinternati devastatori, di anarchici privi di ogni punto di riferimento morale. Ma i genovesi hanno visto, sentito, osservato. E guarderanno, ascolteranno e scruteranno a fondo anche il giorno dopo. E quelli seguenti.

I portoni dei palazzi della Foce si apriranno a chi cercherà scampo dalle cariche delle forze dell’ordine, di una vera devastazione della città fatta con lo scientifico intento di mettere al tappeto il movimento dei movimenti, il noglobalismo che ha osato alzare la testa, urlare contro l’ipocrisia dei potenti e denunciare le loro politiche omicide di massa.

Carlo è anche quel ribelle che oggi tutti immaginiamo avere la sua età: oltre il tempo e oltre la morte. Avrebbe quarantacinque anni. Chissà… La penserebbe diversamente da allora? E’ probabile. Ma è anche probabile che una vena di antagonismo gli sarebbe rimasta impressa dentro. Pare una parola così brutta, vero? La dicono in televisione in senso spregiativo quanto parlano di pseudo attentati anarcoidi, di sovversivismo. Ma non quello delle classi dirigenti.

Quello inesistente di qualche gruppo di germinalisti che ancora ritengono – a ragione – che questa società faccia davvero schifo, che imputridisca in un marcescibile insieme di illusioni mercatiste, di abbondanze e di modernità tecnologiche che non danno la felicità e che sono delle visioni allucinanti in un deserto che sta in ognuno di noi.

Ed ognuno di noi è il deserto dell’altro, per dirla con qualche grande filosofo e sociologo del passato e con Carmelo Bene. Noi cinquantenni siamo la generazione ventenne che ha visto Genova, che ha pensato ad un rinascimento critico e culturale tanto dell’anticapitalismo quanto dell’antiliberismo.

Carlo era uno di quei ventenni. Era un quasi un coetaneo. Era un ragazzo biondo, bello, spalancato sulla vita. Un sole. Un po’ dell’avvenire e un po’ del suo presente. Ecco perché Carlo, in qualche modo, vive. Perché non spegni il sole se gli spari addosso

CARLO GIULIANI. IL RIBELLE DI GENOVA
FRANCESCO BARRILI – MANUEL DE CARLI
BECCO GIALLO EDIZIONI
€ 18,00

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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