Domenico Gallo

Non v’è dubbio che quest’anno sia in atto un massiccio incremento del flusso dei profughi che sbarcano sulle coste italiane, come dimostrano le vicende di Lampedusa dove in sole 24 ore sono sbarcati oltre cinquemila profughi, un numero superiore alla popolazione dell’isola. Al punto che Giorgia Meloni ha sentito il bisogno di trascinare a Lampedusa la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per ottenere assicurazioni improbabili dall’Unione Europea e lanciare proclami tanto minacciosi quanto velleitari.

Quello che è rimasto in ombra è che, in queste circostanze straordinarie, si è sviluppato un enorme sforzo di solidarietà che ha visto coinvolti nelle operazioni di soccorso e di prima accoglienza forze dell’ordine, associazioni di volontariato, privati cittadini e diocesi di Agrigento. Paradossalmente, lo straordinario senso di umanità che guida l’impegno degli uomini e delle donne delle forze dell’ordine e del volontariato, man mano che si sale ai livelli più alti della politica diventa sempre più rarefatto fino a rovesciarsi nel suo contrario. I freddi dati statistici del Ministero elencano il numero degli sbarcati ma non raccontano nulla del dramma che si consuma fra le acque del Mediterraneo centrale, lungo quella che viene considerata la rotta migratoria più pericolosa del mondo. Se cresce il flusso dei profughi, cresce anche il numero di quelli che non ce la fanno. Ma i sommersi non esistono per lo Stato italiano e non vengono stimati. Le stime le forniscono le Agenzie dell’Onu, come l’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e l’Unhcr, e ci dicono che, dall’inizio dell’anno, sono 2.300, le persone morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo con mezzi di fortuna.

L’incremento delle persone scomparse in mare non è solo frutto dell’incremento del flusso, ma anche di una deliberata politica di omissione di soccorso da parte dell’Italia e dell’Unione Europea, che hanno smantellato le missioni di ricerca e soccorso che agivano nel Mediterraneo. In particolare Frontex nel 2019 ha ritirato tutti gli assetti navali per evitare il rischio di “salvare” i profughi in alto mare. Ma non è bastato il ritiro delle missioni ufficiali degli Stati. L’Italia si è distinta per l’ostracismo praticato alle navi delle Ong impegnate nel soccorso. Non potendo cancellare i principi del diritto internazionale, stratificati in una serie di Convenzioni internazionali che impongono il soccorso in mare e prevalgono su ogni eventuale disciplina nazionale difforme, è stata predisposta una serie di lacci e lacciuoli, per lo più di carattere amministrativo, per fermare le navi in porto e ridurne l’operatività.

Con il decreto legge 2 gennaio 2023 n. 1 (convertito con la legge 24 febbraio 2023 n. 15) il Governo ha impiantato una serie di cavilli e mezzucci per ostacolare al massimo l’attività di soccorso, disponendo che una volta effettuato un soccorso la nave deve immediatamente recarsi nel porto assegnato per lo sbarco (evitando di compiere ulteriore attività di ricerca e soccorso) e prevedendo, oltre ad altre sanzioni, il fermo amministrativo di due mesi della nave indisciplinata (https://volerelaluna.it/migrazioni/2023/01/09/il-decreto-legge-n-1-2023-come-ostacolare-il-soccorso-in-mare/). In questo modo, vietando i salvataggi multipli e assegnando un porto di sbarco lontanissimo, si ottiene lo straordinario risultato di limitare la presenza delle navi di soccorso nelle aree di ricerca e salvataggio e di far salire il tasso degli annegati.

Per le navi battenti bandiera italiana, la legge ha previsto un ostacolo ulteriore. Il comma 2 bis del decreto legge citato dispone, infatti, che «la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare opera in conformità alle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera». Nei registri navali, peraltro, non esiste la categoria della nave «che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare», tale essendo solo l’assetto navale della Guardia Costiera o di altri Corpi simili. Probabilmente questa disposizione è stato l’escamotage che ha consentito di notificare alla nave “Mare Jonio” della Ong Mediterranea un incredibile provvedimento con il quale «si ordina alla società armatrice […] la rimozione, prima della partenza, delle attrezzature e degli equipaggiamenti per lo svolgimento del servizio di salvataggio». In caso contrario si preannunciano denunce per violazione dell’art. 650 del codice penale. «È la prima volta» – ha osservato il giornalista Mauro Seminara – «scritto nero su bianco, che un simile ordine, navigare ma senza salvare vite, viene impartito a una nave e al suo equipaggio, probabilmente non solo nella storia della marineria italiana, ma in tutto il mondo. Nessuna autorità si sarebbe mai sognata di spingersi a questo dichiarandolo in termini formali, ed emettendo un’ordinanza firmata da un comandante della Capitaneria di Porto». Naturalmente si tratta di un ordine illegittimo che sarà demolito dai tribunali, ma quello che colpisce è la “banalità del male”. Notificare un divieto di soccorso non scalfirà minimamente i flussi di immigrati/rifugiati che sbarcano sulle nostre coste ma, prima o poi, i fantasmi delle mamme e dei bimbi annegati usciranno dal mare e verranno a chiederci conto della nostra disumanità.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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