Il governo, mentre ha cercato di allontanare l’antifascismo dalle scuole, ha promosso attività educative tenute da militari per preparare i giovani alla militarizzazione della società. Serve una battaglia politica e culturale contro uno strumento ideologico di assuefazione alla guerra e alla società della sorveglianza.

 di Federico Giusti  

Non è facile di questi tempi prendere posizione contro il militarismo e l’onnivora tendenza dei militari a ricoprire ruoli e funzioni nella società civile, nelle scuole di ogni ordine e grado.

Sembra paradossale, ma perfino gli addetti alla Protezione civile anni fa criticarono l’invadenza delle  forze armate in subordine alle quali dovevano operare quanti avevano impiegato il loro tempo libero per acquisire competenze necessarie a intervenire nelle calamità naturali.

Per esperienza diretta, da dipendente comunale, nell’arco di pochi anni ho visto ridurre al lumicino ruoli e funzioni degli addetti all’emergenza, come diceva un collega pensionato “siamo diventati l’ultima ruota del carro, buoni solo a portare transenne o nastro ma siamo di fatto esclusi dalle aree operative nonostante corsi sostenuti e soldi pubblici spesi per formarci”.

Partiamo dal Protocollo d’intesa firmato lo scorso 7 agosto dal ministero dell’Istruzione e del Merito e dallo Stato Maggiore della Marina militare.

Ne parla uno storico attivista contro la guerra, Antonio Mazzeo, su “Alias” de “Il manifesto” del 16 settembre.

“La Marina si impegna a offrire agli studenti opportunità formative di alto e qualificato profilo, per l’acquisizione di competenze trasversali e titoli di studio spendibili nel mercato del lavoro in continua evoluzione” riporta il protocollo. Poi prosegue “La Marina si impegna inoltre a promuovere la formazione del personale docente e amministrativo, favorendo forme di partenariato con enti pubblici e imprese, anche con l’apporto di esperti esterni per l’acquisizione di competenze specialistiche”.

La scuola diventa laboratorio sperimentale dei dirompenti e dilaganti processi di militarizzazione, privatizzazione e precarizzazione della società, dell’economia e della ricerca. La cultura della guerra globale e permanente che pervade le coscienze individuali e collettive, le interrelazioni didattiche, la pedagogia, gli istituti scolastici di ogni ordine e grado.

Bimbi in caserma, stage scuola-lavoro presso comandi delle forze armate, lezioni di storia e di educazione civica di militari che all’occorrenza diventano docenti di informatica, educazione stradale, educazione fisica.

Avviene così, nel silenzio e non senza una campagna ideologica sotterranea, la militarizzazione delle scuole; bisogna abituarsi all’idea che le aule diventino palestra dei nuovi italiani assuefatti all’idea della guerra, della militarizzazione e sostenitori, ignari, della società della sorveglianza.

Pochi giorni fa un aereo delle Frecce Tricolori è precipitato al suolo nel torinese, l’onda d’urto si è abbattuta su un’automobile, una bambina di 5 anni è morta e il fratellino dodicenne ricoverato con gravi ustioni in ospedale. Tragica fatalità e occasione per la solita sinistra di “strumentalizzare la disgrazia” per  la solita canea mediatica di odio verso le forze armate come scrivono alcuni giornali di destra?

Se le Frecce Tricolori nascono nel 1961 al fine di addestrare piloti all’uso di aerei da guerra, bisogna andare indietro nel tempo per avere un quadro esaustivo.

Ricordiamoci della Regia, e fascistissima almeno fino al 1943, Aeronautica. Correva l’anno 1923 quando Benito Mussolini, pur in ritardo rispetto alle altre nazioni europee, volle istituire la Regia Aeronautica come forza armata autonoma dal Regio Esercito e dalla Regia Marina. L’aeronautica venne definita allora come “l’arma che più si identifica nelle caratteristiche della razza che risorge dal lungo sonno”. Le trasvolate atlantiche esaltate dai media dell’epoca vennero presto sostituite dall’utilizzo degli aerei da guerra contro la popolazione civile in Africa e basterebbe rileggersi qualche pagina dello storico Angelo Del Boca (oggi dimenticato nelle scuole italiane) per documentarsi sulle stragi di civili perpetrate dal fascismo.

L’eroe per eccellenza era l’aviere Cesare Balbo messosi in risalto nella guida delle spedizioni fasciste durante la marcia su Roma.

La simbolica camicia nera indossata dalla forza armata aerea, non senza accenni alla mitologia futurista di pochi anni prima, sta a dimostrare il portato propagandistico e ideologico che stava dietro all’aeronautica, quel portato che ritroviamo in parte nelle celebrazioni del centenario di queste settimane.

E non meravigliamoci se tra gli eroi da celebrare poi ritroviamo Mussolini e Balbo dentro una agiografia antistorica ormai capillarmente diffusa.

Basterebbe ricordare che a capo della regia aeronautica ritroviamo gli esponenti di punta del ventennio fascista, Ciano, Grandi, Federzoni, De Vecchi e Pavolini. Gli aerei da guerra furono determinanti, con l’uso in Africa di gas proibiti dalle convenzioni internazionali, nella guerra in Etiopia, in LIbia e in Spagna contro la democrazia popolare che si opponeva a Franco.

Nel 1988, nel corso di un’esibizione acrobatica durante l’Airshow Flugtag nella base NATO, avvenne una collisione fra i tre Aermacchi MB-339PAN che caddero sulla folla causando decine di vittime.

Per alcuni anni le acrobazie militari delle Frecce vennero fermate salvo poi riprendersi negli anni dell’ampliamento della NATO nell’Est europeo.

E in questi anni altri incidenti, numerosi che spingono molti, tra i quali il sindacato CUB, a chiedere la sospensione delle acrobazie delle Frecce Tricolori giudicandole pericolose per la sicurezza pubblica.

Ma ci sono anche altri elementi importanti. Non si contano infatti le intese tra il ministero dell’Istruzione e la Difesa, dall’Accordo quadro del settembre 2014 per favorire l’approfondimento della Costituzione italiana (che ormai è divenuta un oggetto misterioso nelle scuole), o quello del dicembre 2017 per attivare i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (la nuova denominazione dell’alternanza scuola-industria-caserma). 

Con il governo Meloni (e i ministri Crosetto e Valditara) sta avvenendo un ulteriore salto di qualità. È in itinere l’approvazione della legge che istituirà la Giornata dell’Unità nazionale e delle forze armate per il 4 novembre, la data della “vittoria” delle truppe italiane nella Prima guerra mondiale.

Mentre si cerca di aprire le scuole al militarismo, si è tentato di chiuderle all’antifascismo. Il ministro della Pubblica Istruzione non ha rinnovato finora l’intesa con l’ANPI per promuovere l’educazione all’antifascismo e alla democrazia nelle scuole, scaduta il 21 settembre, provocando la reazione del presidente dell’ANPI, Gianfranco Pagliarulo, il quale ha scritto una lettera al presidente della Repubblica e alla presidente del Consiglio. Il ministro Valditara, così stanato, ha reagito attaccando l’ANPI – “si rilassino i professionisti della polemica politica” – ma anche dicendosi disposto “a costruire una convenzione che coinvolga tutte le associazioni partigiane, perché la Resistenza non è monopolio dell’ANPI”. Non poteva mancare la controreplica di Pagliarulo: “dopo quasi un anno di silenzio il ministro Valditara scopre l’importanza del Protocollo dichiarandosi impegnato a costruire una convenzione con tutte le associazioni partigiane. Ne siamo lieti, perché siamo i primi a sostenere il valore di tali associazioni, con cui da tempo abbiamo dato vita a un Forum unitario […]. Sappia però che non solo siamo già informati sul fatto che la Resistenza è stata opera di tante forze politiche, ma che l’ANPI stessa, che conta 141.500 iscritti, è un’associazione pluralista che accoglie nelle sue fila persone con diversi orientamenti politici, purché antifascisti”.

Per contrastare questo slittamento della scuola verso la cultura della guerra è nato nei mesi scorsi l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università, che ha già promosso iniziative importanti nelle scuole, e un vademecum destinato a insegnanti e studenti per dare concretezza alla loro azione, raccogliendo proposte di mozioni di boicottaggio del processo di militarizzazione, diffide ai dirigenti contro l’alternanza nelle basi militari e nelle industrie belliche e altro. Analoghe iniziative presto riguarderanno anche l’università dove l’invadenza delle industrie di armi nei progetti di ricerca sta diventando sempre più pesante.

Leggiamo dal sito dell’Osservatorio una nota sui percorsi adottati con l’obiettivo di “una decisa e costante attività di denuncia di quel processo di militarizzazione delle nostre istituzioni scolastiche già in atto da troppo tempo. Le scuole e le università stanno sempre più diventando terreno di conquista di un’ideologia bellicista e di controllo securitario che si fa spazio attraverso l’intervento diretto delle forze   armate (in particolare italiane e statunitensi) declinato in una miriade di iniziative tese a promuovere la carriera militare in Italia e all’estero, e a presentare le forze armate e le forze di sicurezza come risolutive di problematiche che sono invece pertinenti alla società civile.

Questa invasione di campo vede come protagonisti rappresentanti delle forze militari addirittura in qualità di «docenti», che tengono lezioni su vari argomenti (dall’inglese affidato a personale NATO a tematiche inerenti la legalità e la Costituzione) e arriva a coinvolgere persino i percorsi di alternanza scuola-lavoro (PCTO) attraverso l’organizzazione di visite a basi militari o caserme. Il tutto suffragato da protocolli di intesa firmati da rappresentanti dell’Esercito con il ministero dell’Istruzione, gli Uffici scolastici regionali e provinciali e le singole scuole.

Smilitarizzare le scuole e l’educazione vuol dire rendere gli spazi scolastici veri luoghi di pace e di accoglienza, opporsi al razzismo e al sessismo di cui sono portatori i linguaggi e le pratiche belliche, allontanare dai processi educativi le derive nazionaliste, i modelli di forza e di violenza, l’irrazionale paura di un «nemico» (interno ed esterno ai confini nazionali) creato ad hoc come capro espiatorio. Smilitarizzare la scuola vuol dire restituirle il ruolo sociale previsto dalla Costituzione italiana”.

Diventa allora centrale la lotta alla smilitarizzazione del sistema scolastico, delle metodologie, delle narrazioni interpretative e dei modelli comunicativi utilizzati nelle attività didattiche. Il lavoro intrapreso dall’Osservatorio è degno della massima attenzione e del nostro sostegno. La militarizzazione della società rappresenta uno strumento ideologico di assuefazione alla guerra e alla società della sorveglianza, contro il quale occorre riprendere una seria e duratura battaglia politica e culturale.

https://www.lacittafutura.it/editoriali/%c3%a8-in-atto-la-militarizzazione-delle-scuole

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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