C’è tutta la risolutezza spietata della concezione etnocentrica delle destre, di una xenofobia nemmeno tanto strisciante, di un volutamente evidente messaggio di lotta e di governo della conservazione e preservazione dell’italica specie nella parte e nel tutto della “Legge Cutro“.

Complessivamente si tratta di un pasticcio bislacchissimo di norme che contraddicono non solo la Costituzione in senso molto lato e stretto al tempo stesso, ma pure i princìpi cardine di un diritto nazionale che mai e poi mai aveva considerato l’opzione anglica della cauzione come metodo di riscossione della libertà personale.

Quei cinquemila euro che il governo Meloni pretenderebbe dai migranti per non farli finire nei Centri di permanenza temporanei, per non essere sotto regime di custodia fino a diciotto mesi e poi essere più facilmente espulsi verso una decina di paesi d’origine africani (e non solo) con cui l’Italia avrebbe rapporti stabili riguardo i rimpatri, sono una vera mostruosità giuridico-etica. Si stabilisce qualcosa di veramente innovativo nel senso più negativo e deleterio del termine.

Altro che riforma della Giustizia, con la gi maiuscola.

Un provvedimento come quello della cauzione, prevista nel decreto interministeriale, è di per sé una novità che altera gli equilibri storici di una piattaforma giuridica che si è sempre fondata sul riconoscimento della parità tra accusa e difesa e in cui la terza parte giudicante non ha mai avuto bisogno di chiedere soldi in cambio della temporanea sospensione della reclusione. Peggio è se si va a leggere il decreto. Si scoprirà che il migrante qui cinquemila euro deve garantirli allo Stato dietro fideiussione bancaria.

Il che significa poter dare ad un istituto di credito la garanzia di potersi impegnare al riguardo per il migrante stesso. E questa garanzia da dove la si ricava? Da un conto deposito che il malcapitato avrebbe magari nel suo paese di origine?

Come fare, nello strettissimo tempo del riconoscimento della sua identità, a far avere i soldi alla banca italiana? E non basta. Perché nessuno può pagare per il migrante, nessun “conto terzi“. Se, dunque, non hai il passaporto sottomano, e non puoi dimostrare chi sei e da dove vieni, lo Stato italiano da oggi ti chiede cinquemila euro come ammenda di garanzia.

Quale banca ti concede una fideiussione se non hai nemmeno i documenti di identità? E’ del tutto evidente che questo decreto scritto e condiviso dai ministeri dell’Interno, della Giustizia e dell’Economia, è un abominio, un pretesto per cercare di disequilibrare i trattamenti in materia di immigrazione e di impedire spicciamente quelle regolarizzazioni di posizioni personali che, anche in tempi non certo brevi, potrebbero essere concretizzate lasciando alle persone che arrivano in Italia il tempo per potersi dirigere in altri paesi dell’Unione Europea.

Una Unione Europea che smentisce il governo italiano quando afferma di stare applicando, in merito alla “Legge Cutro” e, nello specifico, della decretazione cauzionaria, una direttiva comunitaria che imporrebbe esattamente l’opzione citata riguardo l’alternativa tra regolarizzazione e permanenza oppure espulsione e rimpatrio.

Ed anche in questo frangente, se si va a leggere su Internet le disposizioni emesse dalla Commissione europea e approvate dall’Europarlamento, si potrà facilmente verificare che il diritto continentale non prevede nulla di quello che l’esecutivo di Giorgia Meloni fa riecheggiare.

La direttiva UE 2013/33, all’articolo 8, comma 4, sancisce che, per evitare il trattenimento nei centri di permanenza temporanei (che poi tanto temporanei non sono…), il migrante può avere l’obbligo di presentarsi periodicamente e regolarmente presso le autorità competenti; avere una dimora alternativa stabilita e fissa da cui non allontanarsi (una specie di detenzione domiciliare…); infine la garanzia finanziaria che, ben lungi dall’essere quella “interpretata” e messa nero su bianco dal governo di Roma, viene posta come l’ultima risorsa cui fare ricorso e, comunque, deve essere valutata caso per caso.

Non c’è nessun dubbio sul fatto che Meloni e i suoi ministri vogliano dare un giro di vite ad una situazione oggettiva che, altrettanto oggettivamente, gli sta ampiamente sfuggendo di mano. L’azione di governo è lontanissima dalla anche pur minima soluzione di un problema che, pur ereditato dalle contigenze passate, sta divenendo incontrollabile, proprio perché non si attivano risorse laddove andrebbero impiegato per implementare canali e flussi regolari che non sono mai stati presi in seria considerazione.

Tutto tracima e rovina sul governo anche dal punto di vista di una opinione pubblica che non può fare a meno di assistere alle centinaia di sbarchi, in condizioni disumanissime, con una Lampedusa stracolma, mentre a Pontida qualcuno si inventa la regalia dell’isola alla Tunisia o il ministro delle Infrastrutture asserisce che, tutto sommato, visto che i migranti vengono qui con orologi e telefonini, forse cinquemila euro possono pagarli.

Qui non siamo nemmeno ad un livello di superficialità disarmante.

Qui ci troviamo davanti ad una totale inadeguatezza nei confronti dell’operato di governo, ad una verosimiglianza alla lontana con la responsabilità alta, e per questo grave, di gestire problematiche di tipo umanitario e internazionale con la banalità del male di fraseggi vuoti, ricchi di becera propaganda populista e pseudo-nazionalista, ma senza capo né coda sul piano tanto dell’interpretazione giuridica quanto su quello della semplice empatia di una politica che diventa macchiettismo di bassa lega.

Ecco dove il governo cade rovinosamente: sulle sue più ardimentose, eclatanti, urlate promesse di sbarramento dell’ingresso sul sacro suolo nazionale a chiunque non dichiari di essere un migrante regolare. Per farla breve, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, sono arrivati in Italia circa 173.000 migranti.

Sono bianchi, più vicini a noi, li percepiamo forse come “fratelli e sorelle” d’Europa… non si sa… Ma, sulla scia della pur giusta indignazione per l’aggressione russa a Kiev, si è dato vita ad un contesto di accettazione dei rifugiati differenziato per provenienze. Quelli africani e mediorientali, che fuggono da fame, guerre, morte e miserie, proprio come gli ucraini, sono degli “invasori”. Gli altri sono accolti con lo sventolio delle bandierine, canti e cori.

Perché questa differenza di interpretazione delle sofferenze?

Perché i bianchi, che giustamente vengono accolti in Italia, stretti nella morsa di una guerra imperialista fatta tanto da Est quanto dal nostro civilissimo Occidente, sono accettati come una conseguenza naturale dei fatti orribili che accadono, e che sono infatti tali, mentre gli africani, i siriani, gli iracheni, i pachistani e i bengalesi, tanto per fare alcuni esempi delle tratte migranti maggiori, sono ridotti al rango di esseri inferiori, di una diversità così evidente da assurgere a quella delle tinte fosche della scia di sangue novecentesca?

C’è un tratto marcatamente xenofobo nelle politiche dei governi europei che si dicono pronti ad accogliere i migranti ucraini e che, invece, erigono muri e barriere, promettono chiusure delle frontiere, ripristino di vecchi controlli doganali, blocchi navali impossibili, al limite delle dichiarazioni di ostilità tra paesi che si guardano dalle sponde opposte del mare o che pagano oligarchi e dittatori per trattenere lì i disperati che vengono abbandonati alle soglie del deserto, senza cibo, acqua, senza nulla di nulla?

Questo tratto c’è, anche se ufficialmente si nasconde dietro una serie di provvedimenti che, di tanto in tanto, vengono contornati dalle parole dal sen fuggite di qualche altro ministro: sulla sostituzione etnica, sui crocifissi in classe, sulla preservazione dell’italianità come se questa fosse soltanto una caratteristica attribuibile a chi ha un colore della pelle e non anche una cultura, un sentimento, una propensione, un vero e proprio affetto per il Paese in cui è nato, cresciuto e dal quale non riceve la cittadinanza…

Col provvedimento interministeriale sulla cauzione si è nuovamente rimessa mano alla muscolarità ideologica, alla presunzione di colpevolezza per origine etnica, riattivando il corto circuito del sospetto e dell’odio nei confronti di chi viene qui per invaderci, per rubarci il lavoro, per violentare le donne, per imporre una cultura che non è la nostra.

Il peggiore armamentario della xenofobia da propaganda elettorale è stato riesumato dalla notte della ragione, nei chiaroscuri di un altalenante indecisione se procedere con l’ipocrisia smascherata del galateo istituzionale, che dovrebbe considerare anche un approccio molto differente sulla questione delle migrazioni, se non uguale, quanto meno molto simile a quello richiamato dal Presidente Mattarella; oppure se rovesciare il tavolo con tutte le carte e buttarla in caciara.

Per ora il governo ha preferito la seconda soluzione, visto che la confusione genera altra confusione e i problemi reali, anzitutto l’origine complessa degli stessi, sfugge alla comprensione razionale se la ragione viene messa temporaneamente da parte per abbracciare l’istinto malpancista di una disperazione largamente diffusa e non certo biasimabile.

Il tentativo del Presidente della Repubblica, di rimettere sul binario della democrazia sostanziale una situazione ampiamente degenerata, è l’ultimo appiglio, forse l’unico in questo momento, che ha una empatia sociale, diffusa e largamente condivisa da una non indifferente parte della pubblica opinione per farsi largo in mezzo alle schermaglie di un potere che sarà anche legittimato dal voto ma che sta perdendo sempre di più qualunque riferimento con la realtà.

C’è tanta parte della società italiana che non condivide questo approccio repressivo, incoerente con ogni principio di uguaglianza e di fondamentalità dei diritti umani e civili. Questa parte deve organizzarsi intorno a poche parole ricostituenti la democrazia sostanziale e, quindi, ripristinanti la verità della Repubblica, in quanto espressione di inclusività e di soluzione condivisa dei problemi. Senza cauzioni, senza alcun versamento di denaro.

La solidarietà e l’uguglianza possono avere un prezzo?

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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