“La ribellione e l’anticonformismo di un’epoca precedente sono stati completamente incorporati in una società dei consumi guidati dalle aziende”.
La mercificazione della ribellione
Il fenomeno a cui la mia generazione (di “novecenteschi”) ha assistito e che ha colpevolmente agevolato è stata l’assimilazione della cultura ribelle degli anni 60 da parte del marketing delle grandi corporation.
Un libro pubblicato in America nel 2004 lo dichiara esplicitamente nel titolo: The Rebel Sell: How The Counterculture Became Consumer Culture. In altre parole “la ribellione e l’anticonformismo di un’epoca precedente sono stati completamente incorporati in una società dei consumi guidati dalle aziende”.
Però non è un’eccezione, succede continuamente così: si prendono dei valori spesso anche molto minoritari, ma che conferiscono una forte identità a chi li fa propri, si enfatizzano replicandoli continuamente in tutti i media e dopo un po’ ecco che come per magia essi diventano il motore più potente di nuovi consumi e nuovi bisogni tendenzialmente di massa.
È in questo modo che le aziende leader impongono i loro business innovativi, che si appoggiano su forti spinte motivazionali di affermazione di status: dal business delle alimentazioni vegane e del cibo artificiale, destinato ad espandersi, a tutte le forme di esperienze a distanza come l’e-commerce, la ristorazione portata a casa, il lavoro non in presenza, fino al cambiamento di sesso e alle gravidanze in affitto.
L’ambito e l’oggetto della mercificazione non conta nulla. Possono essere cose, come una stampante acquistata su Amazon, comportamenti, come quelli alimentari, oppure interventi sul corpo proprio o di altri. La “reductio ad unum” riconduce al consumo l’intera sfera dell’esperienza umana.
La capacità di controllare e condizionare i desideri – l’uomo non è altro che una sempiterna macchina desiderante – unitamente alla regolazione della paura, consente al sistema di potere delle aziende globali di gestire abbastanza docilmente il gregge umano.
Ed è per questa ragione che i loro capi guadagnano centinaia di volte di più dello stipendio medio di un loro dipendente. Il valore del loro prodotto è inestimabile, non ha più a che fare con il denaro ma con il controllo delle società, almeno quelle occidentali.
Se dunque anche le controculture vengono sterilizzate e assorbite per fini opposti a quelli originali quale speranza di liberazione rimane? Si apre un abisso per il pensiero critico. E forse più che all’organicità di un pensiero strutturato spetterà alla prassi delle piccole cose quotidiane la salvezza dalla schiavitù