Lo Stato indipendente della regione del Nagorno-Karabakh cesserà di esistere ad inizio 2024, consegnando di fatto il territorio nelle mani dell’Azerbaigian, e mettendo fine ad oltre 30 anni di conflitto con l’Armenia.
L’ultima offensiva portata avanti dall’Azerbaigian, ufficialmente sotto il nome di operazione antiterrorismo, è risultata decisiva nel decidere le sorti del conflitto con la vicina Armenia circa la regione del Nagorno-Karabakh, ponendo di fatto fine ad una disputa che si protraeva sin dalla fine dell’Unione Sovietica. Proclamatasi indipendente il 6 gennaio 1992, quella che ha assunto il nome ufficiale di Repubblica dell’Artsakh ha a lungo mantenuto il controllo fattuale di gran parte della regione contesa, forte del sostegno dell’Armenia, ma l’entità non riconosciuta dalla comunità internazionale cesserà di esistere ad inizio 2024, consegnando de facto il controllo dell’area all’Azerbaigian, e provocando la rapida evacuazione di gran parte della popolazione armena.
Un decreto firmato dal presidente della Repubblica dell’Artsakh, Samvel Shakhramanyan, cita un accordo del 20 settembre per porre fine ai combattimenti in base al quale l’Azerbaigian consentirà il “movimento libero, volontario e senza ostacoli” dei residenti del Nagorno-Karabakh verso l’Armenia. L’accordo con Baku non è altro che una capitolazione di fronte alla superiore forza militare dimostrata dall’esercito azerbaigiano, ma risulta soprattutto figlio della fallimentare politica filo-occidentale portata avanti dal governo armeno di Nikol Pashinyan, colpevole di aver voltato le spalle alla Russia, che fino ad ora aveva sempre aiutato Erevan a salvare la faccia su una questione fortemente sentita dal popolo armeno.
Secondo i dati diffusi dagli organi di stampa, nella sola giornata di giovedì, oltre 78.300 persone – più del 65% della popolazione di 120.000 abitanti del Nagorno-Karabakh – erano fuggite in Armenia, e l’afflusso continuava senza sosta, portando ad un vero e proprio svuotamento della regione, pronta ad essere ricolonizzata dall’Azerbaigian. Sebbene l’Azerbaigian si sia impegnato a rispettare i diritti degli armeni nella regione, infatti, la popolazione armena non nutre nessuna fiducia nel governo di Baku, fatto comprensibile dopo oltre trent’anni di conflitto e trentamila morti, temendo che possa essere messa in piedi una vera e propria pulizia etnica. Lo stesso Pashinyan ha affermato che “nei prossimi giorni non ci saranno più armeni nel Nagorno-Karabakh”. Attualmente, il numero di rifugiati in Armenia avrebbe raggiunto quota 97.000.
La capitolazione della Repubblica dell’Artsakh completa dunque la riconquista azerbaigiana della regione, iniziata in occasione della guerra durata sei settimane svoltasi nel 2020, in cui l’Azerbaigian aveva già ottenuto il controllo di una parte della regione montuosa del Nagorno-Karabakh. In quell’occasione, la Russia era intervenuta come mediatore, evitando la capitolazione del governo di Stepanakert e delle forze armene. Tuttavia, questa volta neppure le forze di pace russe hanno potuto evitare la fine dello Stato indipendente. In questo momento, del resto, la Russia pensa piuttosto al suo confine occidentale, e questa soluzione potrebbe anche andare bene a Mosca, qualora contribuisca a portare stabilità nella regione del Caucaso.
La volontà della Russia di garantire la stabilità lungo il proprio confine meridionale trova conferma anche nelle parole di Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, il quale ha sottolineato che la questione della firma del trattato di pace tra Armenia e Azerbaigian rimane rilevante anche dopo la decisione di porre fine all’esistenza della Repubblica dell’Artsakh. Mosca spera anche di creare infrastrutture di collegamento trilaterali: “Ci sono piani per sviluppare le comunicazioni di trasporto e la logistica nella regione. Ciò è estremamente importante per l’Azerbaigian, l’Armenia e la Russia. Speriamo che questo lavoro continui“, secondo le parole di Peskov.
L’altro problema che si pone è quello delle forze armate della Repubblica dell’Artsakh, che potrebbero entrare a far parte dell’esercito armeno, secondo quanto dichiarato da Arman Sargsyan, vice ministro della Difesa del governo di Erevan: “Ci piacerebbe moltissimo che i militari dell’Esercito di Difesa [del Nagorgno-Karabakh] continuassero il loro servizio come truppe del Ministero della Difesa armeno poiché sono nostri compatrioti e la loro esperienza militare sarebbe di beneficio alle forze armate armene“, ha dichiarato Sargsyan.
Certamente, l’esito del conflitto del Nagorno-Karabakh segna una nuova dura sconfitta per il primo ministro Nikol Pashinyan, il quale oramai non gode più della fiducia del popolo armeno, per il quale quella della regione montuosa era una questione di vitale importanza, legata alla storia, all’orgoglio e all’identità nazionale. Già precedentemente criticato per l’arretramento in seguito al conflitto del 2020, Pashinyan era comunque riuscito a restare al potere dopo le elezioni del 2021, ma questa volta la sua carriera politica potrebbe essere vicina alla fine.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog