Tina Merlin, partigiana, giornalista, comunista-
Come oggi, il 9 ottobre 1963, 60 anni fa. Come oggi, in una serata di tiepido autunno, in pochi secondi duemila persone – uomini, donne e bambini – venivano sacrificati sull’ altare del profitto al quale anche la scienza ufficiale aveva dato una mano, nascondendo agli Enti locali e perfino al governo le prove che sul Vajont sarebbe accaduto un disastro. Tina Merlin
DIGA DEL VAJONT.
Alle ore 22.39 di 57 anni fa: un’ enorme onda  devasta la Valle del Vajont, portandosi via case e persone, una tragedia annunciata che cancella quasi per intero una comunità, quella di Longarone, un piccolo paese di montagna in provincia di Belluno. L’ onda di morte era stata provocata da 270 milioni di metri cubi di roccia e terra si staccano dal Monte Toc, precipitando nella diga sottostante. L’ onda avvolse anche due comuni sovrastanti la diga Erto e Casso.
Nel 1963, quando fu inaugurata, la diga del Vajont con i suoi 264 metri di altezza  era la più alta del mondo.  Inoltre con un bacino di quasi 170 milioni di metri cubi, costituiva una delle grandi innovazioni dell’Italia del dopoguerra, uno dei simboli di un paese che voleva riprendersi da un passato di guerra tramite il rilancio economico ed energetico. L’impianto venne progettato per conto della SADE, Società Adriatica di Elettricità, ( proprietà di un ex ministro fascista, Giuseppe Volpi di Misurata, che  aveva ancora amicizie importanti a diversi livelli) . dall’ ingegner Carlo Semenza e fu costruito alla fine degli anni Cinquanta nei territori comunali di Erto e Casso.
Durante la costruzione vi furono molti segnali di rischio e pericolo. Il più importante fu nel novembre del 1960  una frana nell’ invaso di settecentomila metri cubi di terra e roccia, che confermò che non esistevano i presupposti per costruire una diga in quella valle, sotto al Monte Toc. Va detto che il geologo, geotecnico austriaco Leopold Müller aveva consegnato relazioni, tra le quali  lo studio della fessura perimetrale della frana del 9 novembre 1960, che prevedevano frane anche maggiori di grandi masse di terra e rocce. Cosa che avvenne il 9 ottobre 1963, perché il progetto andò avanti .
TINA MERLIN E LA DIGA DEL VAJONT.
Tina Merlin, ex partigiana bellunese, donna combattiva da giornalista mise in luce la verità sulla costruzione della diga del Vajont. Occuparsi del Vajont, scrisse, era continuare a fare quello che aveva sempre fatto anche nella Resistenza: stare dalla parte dei deboli e opporsi alle ingiustizie.
Tina Merlin, giornalista de l’Unità di Milano e negli anni ’60 seguì per il giornale la vicenda complicatissima della costruzione, in Friuli, della “più grande diga del mondo” da
parte della SADE, l’allora società elettrica privata che aveva il monopolio dell’energia in Italia. La Merlin,  partigiana, conosceva ogni angolo dei paesi di Erto, Casso e Longarone e aveva percorso mille volte i boschi intorno al Monte Toc, dove doveva essere costruita la grande diga. Aveva parlato e parlato con tutti gli abitanti che si opponevano alla costruzione della diga perché tutto il terreno di quelle zone era friabile e pericoloso, ma la SADE non voleva ascoltare niente e nessuno.
Prima di tutto il profitto, poi la popolazione.
I tecnici e gli scienziati dicevano che non ci sarebbero stati problemi e che con i suoi articoli Tina Merlin faceva soltanto dell’allarmismo per conto dei comunisti che “non volevano il
progresso sociale” ed erano soltanto contro il governo DC. La Merlin venne addirittura denunciata per diffamazione dalla SADE, ma i giudici l’assolsero dopo la testimonianza degli
abitanti di Erto e Casso. Lei continuò ad andare avanti e ibparlamentari della zona presentarono tutta una serie di interpellanze in Parlamento, ma non successe niente. La SADE era più forte di ogni altro potere e la diga fu costruita nonostante le prime frane e le grandi spaccature nel terreno.
Poi il 9 ottobre del 1963 la tragedia con il precipitare del Monte Toc nell’invaso della diga. Arrivarono giornalisti da tutta Italia e
dall’Europa, ma i pochi superstiti di Longarone, di Erto e Casso impedirono loro di avvicinarsi ai pochi sassi che restavano dei paesi. Solo Tina Merlin, la nemica della SADE, poté passare. Gli uomini, davanti a lei, si toglievano il cappello e le donne
l’abbracciavano piangendo.
Due suoi libri “Vajont 1963” e “Sulla pelle viva”, raccontano in dettaglio la vicenda.

Longarone dopo l’ onda della morte. Il campanile della chiesa di Longarone, simbolo del disastro
TINA MERLIN, INIZI DI UNA VITA DA COMBATTENTE.
Tina Merlin è nata nel 1926 a Trichiana (Belluno) da una famiglia contadina povera: la madre, sposata in seconde nozze, da bambina era stata cioda (lavorante agricola) in Trentino, il padre era anch’egli emigrante stagionale. Ultima di sei fratelli (più altri due del primo matrimonio della madre), ha frequentato le scuole solo fino alla terza elementare, poi è dovuta andare a lavorare come “servetta” a Milano. Tutti i fratelli maschi sono morti, chi di pellagra, chi in incidenti nell’emigrazione, chi in guerra: Remo disperso in Russia, Toni, comandante di un battaglione partigiano, caduto negli ultimi giorni di combattimenti (medaglia d’argento al valor militare). Anche lei, a 17 anni, è stata staffetta nella stessa brigata del fratello.
Dopo la Resistenza, nel 1946 si iscrive al Pci e nel 1951 diviene corrispondente dell’Unità, grazie ad un concorso del giornale vinto con un racconto.
Si sposa con Aldo Sirena, già comandante di due brigate partigiane. Per tutti gli anni Cinquanta si occupa dei problemi della montagna veneta, soffocata da emigrazione, sottosviluppo, disoccupazione, spopolamento.

Tina Merlin, al centro, partigiana

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: